L'Editoriale della Domenica. Draghi, un visionario in cerca dell'Europa che non c'è
Aggiornamento: 15 set
di Giancarlo Rapetti*
Commentare Draghi è un esercizio ambizioso, acrobatico, temerario. Mario Draghi è l’autore del Rapporto sulla competitività della Unione Europea, nel quale individua cinque fondamentali categorie di investimento, sulle quali impegnare risorse in misura mai vista prima.[1] Il dibattito si è acceso non tanto sulle singole aree di intervento, o sulla loro quantificazione, o sul relativo contenuto, quanto su di uno specifico aspetto della proposta: finanziare l’operazione a debito, e con debito comune. In Italia, con alcune scontate marginali eccezioni, l’accoglienza è stata assai favorevole, anche da parte di coloro che avevano sfiduciato il Governo Draghi: nello stivale l’arrivo di soldi gratis suscita sempre entusiasmo.
Per opposte e simmetriche ragioni, in Germania e Paesi Bassi hanno prevalso critiche e distinguo. Anche in questa circostanza, si sono creati due poli: quello dei paesi che spendono o pensano di spendere, e quello dei paesi che pagano o pensano di pagare. Effettivamente nella proposta Draghi, parlando con tutto il dovuto rispetto, c’è un punto critico. Il debito può essere comune, ma la spesa no. Non esiste l’Europa federale, esiste l’Europa condominiale. La Commissione propone, ma il Consiglio dispone.
Più ancora che il Consiglio europeo, quello dei capi di Stato e di Governo, conta il Consiglio dei ministri delle singole materie. Giorgetti, Lollobrigida o Pichetto-Fratin contano più di Meloni. Tanto è vero che spesso approvano in sede europea provvedimenti che poi il loro capo, in un curioso gioco delle parti, critica o contesta. Ma soprattutto, la spesa fa capo ai singoli stati, l’Europa può solo stabilire regole e indirizzi, spesso le prime violate, i secondi ignorati. Ci vorrebbe un potere federale, non solo per indebitarsi, ma anche per impiegare le risorse acquisite.
Non è che Mario Draghi non lo sappia: semplicemente, non potendo abbattere il muro, prova ad aggirarlo. Dove non può la politica, potrebbero i soldi. Dall’alto della sua competenza ed esperienza, e della sua capacità di visione, prende atto che l’Europa federale non la vuole nessuno, raro caso di unanimità del mondo politico. D’altro canto, l’unica cosa davvero europea è l’euro e la connessa Banca Centrale, non a caso l’istituzione infondatamente più criticata. Detto tra parentesi: nonostante la propaganda di regime, l’inflazione in Italia è scesa grazie a Christine Lagarde, non a Giorgia Meloni. Chiusa parentesi, ritorniamo a Draghi.
Supermario pensa che facendo debito comune, e un grande debito comune, i condòmini virtuosi faranno rispettare almeno alcune regole e alcuni indirizzi ai condòmini tendenzialmente morosi e attraverso quella strada l’Europa politica farà un passo avanti. E nel frattempo si farebbero gli investimenti necessari per il rilancio del continente, che altrimenti non avrebbe futuro, e non può aspettare che si sviluppino le istituzioni europee con i tempi delle piccole politiche nazionali. La sua sfiducia nell’evoluzione federale dell’Europa si evince anche dalle sue proposte di governance: attutire la regola dell’unanimità e prevedere, nei casi consentiti dai Trattati, l’Europa a due velocità. Si tratta di misure che riguardano l’Europa degli Stati, non quella dei popoli, che non c’è e non è nemmeno all’orizzonte.
E’ comunque, quella di Draghi, una grande visione. Però noi abbiamo davanti un brutto esempio, l’esperienza del PNRR. Che avrebbe dovuto finanziare nuovi progetti, destinati a produrre sviluppo e reddito per ripagare gli investimenti. Invece è servito per riciclare progetti vecchi, oppure nuovi progetti improvvisati senza strategia e, addirittura, incredibile a dirsi, spese correnti, per quanto urgenti. E qui va aperta un’altra parentesi: quando il PNRR finirà, le spese correnti non saranno più finanziate e allora dovranno essere tagliate, oppure produrranno nuovo debito, ma più oneroso. Chiusa anche questa parentesi. Insomma, Draghi immagina che l’Europa debba investire per rilanciarsi, che non possa aspettare che le istituzioni europee si adeguino alle necessità, e punta sul fatto che nuove risorse a debito comune siano efficaci sul piano delle materie da affrontare e, nel contempo, facciano bene anche alla politica europea. Una grande visione, come detto: ma resta il timore che siamo oltre l’ottimismo della volontà.
*Componente della Assemblea Nazionale di Azione)
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