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L'EDITORIALE DELLA DOMENICA. Distrazioni e supponenza dell'intelligence di Israele

di Germana Tappero Merlo

Sulla presunta onniscienza dei servizi di intelligence c’è un passo tratto da Il Giardiniere Tenace di John Le Carré, che è diventata battuta nota negli ambienti. Narra di quando la protagonista, Tessa, rivolgendosi al responsabile dei servizi britannici in Kenia, dice: “Credevo che i suoi agenti sapessero tutto” e lui ribatte: “Solo Dio sa tutto, ma lavora per il Mossad…”. Ebbene, questa è la perfetta sintesi di un mito, quello dell’intero mondo dell’intelligence israeliana, guadagnato sul campo in oltre settant’anni (ufficialmente) di attività, fra vittorie, per lo più rimaste segrete – com’è nella vocazione di qualsiasi agenzia di informazione ed è opportuno che rimangano tali - e sconfitte, queste sì conosciute e rimarcate (la più nota, quella di 50anni fa dell’attacco a sorpresa nel giorno del Kippur), anche con eccessiva enfasi dai media nostrani in questi giorni. E poi la letteratura e la filmografia che ne hanno alimentato la leggenda, sovente ricorrendo a stereotipi di cinici e spietati agenti, risolutori infallibili, una sorta di deus ex machina, in copioni dalle trame complesse e le più inverosimili. Da qui il mito, la leggenda del Mossad, non dissimile da un James Bond dell’MI6 britannico, quello invincibile però che, per chi è dell’ambiente e nel suo caso, sa che è solo frutto di immaginazione e finzione. Perché il vero agente, quello operativo, è altro: è anonimato, normale quotidianità, ombra, anodino, addirittura amorfia.


"L'attacco di Hamas? Una sorpresa totale"

Poi c’è l’altra intelligence, che dal latino acquisisce il significato di “intendere”, “concepire”, “comprendere”, ossia quell’elemento della partizione aristotelica dell’animo umano (accanto a vegetativo, sensitivo, motivazionale e razionale) che ci distingue dagli animali: e qui sta per conoscenza, quella che raccoglie, custodisce e diffonde ai soggetti interessati le informazioni rilevanti per la tutela e la sicurezza del Paese e dei suoi cittadini. È il lavoro più complesso, addirittura più difficoltoso delle rocambolesche operazioni dei protagonisti di film e romanzi, perché si tratta non solo di sapere ma di capire, comprendere, contestualizzare ciò di cui si è venuti a conoscenza e anticipare fenomeni e rischi per il futuro della sicurezza nazionale. Questo è il vero ruolo dell’intelligence.

Perché umana, di fatto l’intelligence non è infallibile, è fallace, anche se questa consapevolezza può risultare scioccante soprattutto quando, come per la tragedia che si sta consumando in questi giorni in Israele e Gaza, si sente affermare da Yaakov Peri, ex capo dello Shin Bet-Shabàk (servizio interno israeliano e responsabile della sicurezza dai Territori), “da un punto di vista dell’intelligence è stata una sorpresa totale… un vero fallimento dell’intelligence israeliana”. All’orrore per le stragi si affianca il senso di frustrazione e lo smarrimento nel sentirsi sguarniti di un servizio di protezione proprio di un mito, soprattutto alla luce di documenti con dettagli dell’attacco, ritrovati in un veicolo di Hamas usato per l’azione di infiltrazione, e recante la data dell’ottobre 2022.

In pratica, piani per attaccare gli insediamenti israeliani erano stati preparati da almeno un anno, anche se Hamas ha parlato di due anni, come a rimarcare ulteriormente la beffa all’intelligence israeliana. Propaganda o verità? Eccessiva fiducia ebraica nelle proprie capacità informative tanto da distrarsi da un pericoloso nemico che si conosceva crescente, latente e non più, a quanto pare, rassegnato e clemente?


Sottovalutato il clima d'odio verso gli israeliani

Ma non si è trattato solo di sopravvalutazione dell’efficienza dei servizi di sicurezza israeliani. Vi hanno concorso innumerevoli fattori, tanto da comporre un mix diabolico per la tempesta perfetta di Hamas contro il nemico ebraico la mattina del 7 ottobre.

Hanno contribuito, infatti, valutazioni errate da parte del governo israeliano sulle capacità operative di Hamas, nonostante la capillare conoscenza (e da parecchio tempo) di quartieri generali, sedi di stoccaggio di armi e addirittura case private-covi dei capi di questa organizzazione terroristica, diventati ora (come già in passato) tutti oggetto degli attacchi dal cielo ed ora da terra da parte dello Tsahal, le forze militari israeliane. Non da meno, è stato sottovalutato il peso reale delle ambizioni di Hamas: eppure si era a conoscenza del clima e della cultura dell’odio verso Israele e gli ebrei, forgiato, e da tempo, persino nelle scuole primarie di Gaza, quando alle recite di fine anno, di fronte alle autorità politiche e religiose del borgo, ai piccoli viene fatto mimare l’uccisione di un ebreo con armi giocattolo, a cui seguono applausi, inni alla violenza e per la cancellazione dell’odiata Israele.

Bambini che, nel tempo, hanno superato le varie intifade e le operazioni mirate della rappresaglia israeliana, diventati ora i giovani assalitori feroci e sanguinari dei kibbutz e dei moshav lungo tutto il confine dello stato ebraico e Gaza, e massacratori di centinaia di coetanei di un rave pro-Palestina, in quella che è stata una sorta di Bataclan[1] nel deserto.


Una fiducia eccessiva nella tecnologia

Circa il lavoro delle agenzie di intelligence è però necessario sottolineare come i problemi possano essere derivati anche da una raccolta scarsa o incompleta di informazioni circa l’operazione di Hamas, soprattutto tramite l’HUMINT, ossia di quelle ottenute attraverso la presenza diretta di infiltrati nei Territori, così come – eventualità non rara – essere dovuti a pregiudizi cognitivi e a sfide analitiche.

Sulla carenza di HUMINT, che peraltro è pressoché impossibile effettuare per Israele nei Territori senza l’aiuto di collaboratori interni ormai inesistenti, c’è chi punta il dito sull’eccessiva fiducia data dall’intelligence, e non solo israeliana, verso la raccolta di informazioni esclusivamente per mezzo della tecnologia della signal intelligence (SIGINT), ossia l’attività informativa mediante l’intercettazione e l’analisi di segnali, sia tra le persone che tra apparecchiature audio e video, come quelle di sorveglianza dei confini, disattivate dagli aggressori all’inizio dell’operazione.

Eppure si sapeva che questi giovani terroristi sanno comunicare anche senza cellulari e internet, e che in Gaza il collaborazionismo con il nemico è pressoché inesistente: la fedeltà alla rivoluzione dell’asse della resistenza di Hamas e Hezbollah è ormai la parola d’ordine che travalica i confini di Gaza e di Cisgiordania, e va oltre, sino ai fratelli palestinesi e musulmani di Libano e Siria, e ad ogni gruppo che si riconosca del desiderio di distruggere Israele, con l’appoggio incondizionato di ambienti iraniani e quello finanziario del Qatar. Ed è un dato assodato che questa fedeltà alla resistenza sia presente nello stesso territorio ebraico, là dove, all’indomani degli attacchi, le agenzie di intelligence interne israeliane scoprivano e sgominavano, una rete di contrabbandieri formata da cittadini arabi-israeliani che tentava di infiltrare esplosivi e armi per conto di Hezbollah. Eppure, nella furia omicida delle prime ore del 7 ottobre, sono stati numerosi anche i cittadini arabi-israeliani caduti vittime dei fratelli palestinesi.


Beffato un sistema di sicurezza da un miliardo di dollari

Sta di fatto che i terroristi di Hamas hanno fatto breccia in un sistema di sicurezza ultra-tecnologico da 1 miliardo di dollari al confine con Gaza, utilizzando dei semplici ma potenti bulldozer e comunicando fra loro con una rete di cellulari 2G a fronte di alta tecnologia di comunicazioni, uso di satelliti e droni da parte di Israele; se non bastasse, Hamas è riuscita attraverso i droni a disattivare alcune stazioni di comunicazione cellulare e torri di sorveglianza dell’IDF lungo tutto il confine, impedendo monitoraggio e trasmissione di dati e immagini fra i militari israeliani. Questo avrebbe impedito la ricezione di messaggi che lo Shin Bet aveva inviato ai comandi militari lungo il confine con Gaza, avvisandoli di un imminente pericolo, dato che aveva rilevato un’impennata di attività su alcune reti di militanti di Gaza che stava monitorando. Una chiamata all’azione per i terroristi di Hamas probabilmente, verso il massacro di soldati e soprattutto di civili.

Eppure, si è sempre parlato di un’asimmetria di mezzi e potenza militare deterrente a favore di Israele; ma ora stordisce scoprire il capovolgimento di questo vantaggio che ha permesso l’azione terroristica di Hamas anche perché questa ha modificato (come prima i tagliagole dello Stato Islamico) la sua operatività sul campo, superando i pro ma soprattutto i contro di una tecnologia telefonica più moderna ma facilmente rintracciabile. Un ritorno quindi a metodi tradizionali di comunicazione a fianco di strumenti tecnologici, come i droni, e sfruttando appieno l’effetto sorpresa, con l’uso di deltaplano – questa sì una novità - per calarsi nel territorio nemico. E sebbene quest’ultimo mezzo si sia dimostrato fallace (alcuni terroristi deltaplanisti si sono carbonizzati sulle linee dell’alta tensione israeliane, altri colpiti dalle forze di sicurezza a terra), tutto ciò dimostra che il terrorismo è pura tattica liquida che si adatta alle misure di contrasto poste in essere ed è sempre pronta all’emulazione e a fare tesoro dalle lezioni apprese da altri criminali.


Guerre intestine nei servizi segreti di Tel Aviv

Ma non basta tutto questo per minare la credibilità dei servizi israeliani, quanto anche errori di valutazione o non comprensione della realtà a causa di preclusioni cognitive e sfide analitiche fra agenzie. Sono noti da tempo - almeno due anni, e non a caso coincidenti con le crisi governative interne ad Israele – i disaccordi fra il Mossad (che, è bene sottolinearlo, è il servizio segreto di spionaggio per l'estero), lo Shin Bet-Shabak (interno e per i Territori) e l’ Aman (quello militare)[2] circa gli accordi di Abramo con i Paesi della Penisola Arabica, che per il Mossad hanno una chiara proiezione securitaria e strategica regionale e per lo Shin Bet, invece, sono il perno per il contrasto muscolare agli avversari del Paese, in particolare l’Iran.

Negoziazioni diplomatiche che stavano procedendo in questi ultimi mesi per un riavvicinamento fra i nemici storici, Israele e Arabia Saudita, e che ora, su decisione di Riyad stessa, sono state congelate. Ebbene, le discordie "operative" fra agenzie ebraiche hanno avuto effetti anche su come comportarsi ed affrontare nemici vicini, quali appunto Hamas ed Hezbollah. Da qui le lacune analitiche e le sfide informative finali a chi è al potere. Una sorta di bisticci anche per un ruolo da primadonna fra servizi segreti che denota la vera debolezza securitaria del governo di Netanyahu.

Lo stesso Premier sarebbe stato informato una decina di giorni prima dell’attacco dall’intelligence egiziana, per mezzo del suo capo Abbas Kamel, di “qualcosa di insolito, un’operazione spaventosa” a Gaza, verso cui tuttavia Netanyahu avrebbe mostrato “indifferenza”; altri fonti affermano che l’avvertimento ci sarebbe stato, ma non sarebbe stato portato all’attenzione del Premier, forse nel tentativo di minare qualsiasi possibile collaborazione e mediazione egiziana per un cessate il fuoco. Entrambe le notizie, tuttavia, sono state smentite e definite fake news di propaganda egiziana dal consigliere per la sicurezza nazionale ebraico Tzachi Hanegbi.


Il 7 ottobre "Dio era distratto"

Tuttavia, è lo stesso Haaretz, quotidiano israeliano, a riferire che l’intelligence americana aveva avvertito Israele il 5 e il 6 ottobre di attività inusuali di Hamas in Gaza, tanto da ipotizzare un attacco imminente. Senza cadere in una facile e bieca dietrologia, questi elementi, fra i numerosi emersi in questa settimana, sollevano numerosi interrogativi sul primo ministro Netanyahu, il suo esecutivo, la loro intelligence.

Sarebbe infatti un ulteriore shock scoprire, come ha dichiarato alla radio israeliana Aharon Zeevi-Farkash, ex capo dell’Aman, che quando “saremo in grado di indagare su quanto è successo, vedremo che sapevamo quasi tutto. C’erano valutazioni di intelligence ore prima. La domanda è: abbiamo capito quello che sapevamo?” Insomma, Dio sarà anche al servizio del Mossad, ma il 7 ottobre 2023, era certamente distratto e la sua presenza altrove, non certo a protezione dei kibbutz, dei moshav e dei giovani al rave nel deserto, nel sud di Israele e lungo tutto quel confine con Gaza.


Note

[1]L'attentato terroristico al teatro Bataclan di Parigi è avvenuto il 13 novembre del 2015 ad opera di militanti del sedicente Stato Islamico. Provocò la morte di 90 persone. [2] Vi è una quarta agenzia, il Centre for Political Research, la branca di intelligence che fa capo al Ministero degli affari esteri ebraico.

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