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Beppe Borgogno

L'Editoriale della domenica. Complessità e visione di città del sindaco Stefano Lo Russo

Aggiornamento: 24 minuti fa

di Beppe Borgogno


Ieri l'altro, venerdì 13 dicembre, giorno di venerazione della Chiesa Cattolica per Santa Lucia, protettrice del fondamentale senso della vista, la Città di Torino e il suo sindaco Stefano Lo Russo hanno organizzato alle OGR un evento per raccontare il bilancio di metà mandato. Dunque, per proseguire con la metafora della vista (forse, la data scelta ed evocativa non era così casuale), un momento di comunicazione sul passato, ma con gli occhi puntati sul futuro. In altri termini, un sistema comunicativo che impone chiarezza su ciò che è stato realizzato e una intensa profondità di luce culturale per illuminare, e trasmettere, i propositi sul domani. Insomma, una comunicazione semplice..., in apparenza. Ma le cose accadute l'altra mattina sono diventate l’occasione per un piccolo salto nella complessità, e su come essa sbuchi da ogni angolo, anche quando si prova a fare ordine e a mettere qualche punto fermo, e su quale possa essere oggi il senso da dare a ciò che chiamiamo “comunicazione”.

Per cominciare, venerdì scorso c’era lo sciopero dei mezzi pubblici. Chi era in strada, non ha bisogno di descrizioni; gli altri provino ad immaginare il traffico e la difficoltà per chi, come chi scrive, in auto cercava di raggiungere il luogo dell’evento.

Nella stessa mattinata, proprio nella stessa zona, ha deciso poi di passare anche una manifestazione pro Palestina organizzata da gruppi di studenti e centri sociali. Conseguenza: traffico deviato, Forze dell’Ordine in movimento, Polizia Locale a sbarrare alcuni percorsi. Ancora più traffico, ancora più difficoltà.

Dopo qualche giro in più, si arriva alle OGR: uno dei templi della Torino industriale di fine ‘800, e contemporaneamente uno dei simboli del recupero di un patrimonio, storico, ma non solo, alla base del rilancio della città, a cavallo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del 2000. Lì vicino c’è il Politecnico, che invece parla di innovazione e di futuro. Ancora prima di entrare, quindi, complessità, scenari  e contraddizioni in abbondanza.

Infine, si entra. Sul palco, in fondo a quell’enorme salone, un po’ freddo e non solo per il termostato, Stefano Lo Russo, intervistato da una giornalista, descrive il lavoro fatto fin qui e i programmi per il 2025. Giustamente orgoglioso, netto negli argomenti, preciso. Giusto con una postura curiale - perfettamente in linea con la città che ha ritrovato un cardinale, monsignor Repole - con quelle mani intrecciate sul petto, ma certamente più a suo agio su quel palco di quanto non lo fosse tempo fa. Racconta dei cantieri che verranno, della fiducia nel fatto che trasformeranno la città, riconosce che su alcune cose bisogna migliorare. Ad ascoltarlo, in platea, tanti stakeholders, ma anche un gruppone di studenti di varie scuole della città, invitati all’evento.

A sottolineare ogni argomento, sullo schermo alle spalle del Sindaco, le voci e i volti di diversi dipendenti del Comune di Torino (“i nostri collaboratori”, versione Lo Russo), cioè la vera squadra di chi amministra, quella che ogni giorno interpreta un mestiere non semplice e fin troppo bistrattato. Ognuno propone un flash sul suo lavoro, con la convinzione e, anche qui, l’orgoglio di chi sa di fare cose per nulla banali.

E poi le piccole clip per ogni singolo assessore, ognuno a dare la propria punteggiatura della città che sogna. Infine, prima dell’intervento dell’ex Rettore del Politecnico Guido Saracco per parlare di innovazione, un gioco con effetti speciali: i ragazzi delle scuole compongono una “nuvola di parole” per descrivere la città che vorrebbero, e l’Intelligenza Artificiale le trasforma in una immagine della loro città futura. Ne deriva una cartolina con il Po balneabile, tanto verde, niente auto.

Un evento a metà tra la conferenza e lo show, bello e sobrio, a tratti anche emozionante: il racconto sacrosanto di un lavoro e, finalmente, anche della squadra che lo porta avanti. Per le sue caratteristiche, certo non il momento delle analisi approfondite sulla realtà che sta prima e dopo quella che oggi si usa definire "narrazione": dalla crisi dell’industria automobilistica alla ricerca di nuove vocazioni per il futuro. Cose  comunque imprescindibili, che non si possono scansare, che tutti, a cominciare da chi amministra la città, sanno benissimo.

Già, la realtà.  Perché oltre a quella intorno al racconto, c’era anche la realtà di ciò che stava accadendo fuori, tra la manifestazione e chi si è occupato che tutto, quella mattina, potesse convivere in sicurezza: traffico, cortei, evento, e anche, per esempio, l’illustrazione delle tesi degli universitari che si potevano incontrare nei bar attorno al Politecnico.

E c’era un’altra realtà in più anche lì dentro, ovviamente. E’ bastato incontrare uno dei tanti dipendenti comunali presenti, orgoglioso del suo lavoro, per sentirsi spiegare come esso sia diventato tanto più difficile rispetto a qualche anno fa: meno risorse, meno colleghi, più anni sulle spalle, anni che pesano più del calendario, man mano che si va avanti.

Insomma tante storie, tante sfaccettature, tanta complessità dappertutto. E così finisce che l’evento diventa l’occasione per farsi un po’ di domande e riflettere su quanto sia difficile, oggi, governare una grande città. Ed anche su quanto sia difficile interpretare una delle giuste ossessioni di chi amministra: il dialogo con la città e con i cittadini, che di fronte ad una realtà così articolata non può essere solo tecnica per comunicare bene, e tanto meno semplice narrazione. Appunto, la complessità della comunicazione.

Oltre al racconto e al dialogo, oggi serve trasmettere e restituire qualcosa che aiuti a dare il senso della comunità, e a far emergere la consapevolezza di essere tutti parte dello stesso organismo, tanto più in un’epoca in cui ognuno di noi tende a vivere dentro una “bolla” o addirittura ad occuparne diverse nella stessa giornata. Qualcosa che aiuti a togliere i diaframmi che dividono, e ad evitare le semplificazioni che separano ancora di più. Ad etichettare tutti e ognuno.

Sentirsi “parte” di qualcosa, un po’ come i dipendenti comunali che si fiondano nella descrizione del loro lavoro, può essere il risultato di un’alchimia difficile, forse persino un po’ casuale, ma che vale sempre la pena di provare a comporre. In passato, a Torino, è già capitato di riuscirci. Tra i propositi di Stefano Lo Russo per il 2025 c’è quello di accelerare sul cosiddetto City Branding, che è anche un lavoro di comunicazione.

Tornano alla memoria alcuni articoli apparsi sulle cronache cittadine a fine ottobre, a proposito di questo lavoro: rappresentanti del mondo delle imprese, manager dei marchi, ma anche di Università e Politecnico riuniti per trovare insieme “l’identità di Torino da raccontare nel mondo”. Insieme, perché, come spiegava giustamente il Sindaco “la nostra città non si salva da sola”. Due giorni dopo, sempre sulle pagine locali dei quotidiani, si raccontava invece della visita a Torino della Commissione Parlamentare sulle  periferie, definite da qualcuno “zone franche” e per cui il Comune chiedeva giustamente “una strategia sociale permanente” . Insomma, luoghi della stessa città su due palcoscenici diversi. Cioè, quasi la proposizione plastica di due città, col rischio che  finiscano davvero per sentirsi tali.

Perché, invece, non chiedere alla platea del lavoro sul brand, allargandola magari ancora un po’, e di aiutare anche nel dialogo con tutta la città, attraverso tutte le sue problematiche, e non solo ”nel  mondo”?  E provare, insieme, a ricucirne il tessuto e a ricostruire quella fortunata alchimia?

Perché non consegnare anche a quegli interlocutori la complessità del presente, per vedere, e sottolineo vedere, di ragionare insieme sul futuro? Perché non cominciare anche da qui a far cadere qualche diaframma, trasformando un brainstorming in qualcosa che possa assomigliare ad una sorta di Stati Generali della città, come sul finire del Novecento lo furono gli Stati generali del Piemonte, e magari con risultati migliori?

Temi, anche questi, per l’anno che si apre e per quelli successivi. Sperando che, per i ragazzi che venerdì erano seduti in platea, sia per sempre chiara, e non solo alla vista, la differenza tra il futuro deciso dalle persone che scegliamo per rappresentarci, e quello interpretato dall’Intelligenza Artificiale. E che non cadano nella tentazione, anche attraverso essa, di saltare a piedi giunti i tanti, ma sani, problemi che la realtà ogni giorno ci impone.

 

 

 

 

 

 

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