L'Editoriale della domenica. Alluvioni: tante domande per inconcludenti risposte
di Alberto Cotti
Le ultime vicende meteorologiche europee con il suo drammatico pedaggio di vite umane, sfociate nelle vaste alluvioni nella regione spagnola di Valencia (dove continuano le manifestazioni di protesta) e dell’Emilia Romagna, pongono domande e chiedono risposte. Le risposte però non sono semplici e le parole che si utilizzano, purtroppo, non sono mai utili a risolvere i problemi. Non sono utili perché ovunque si leggono parole sagge con approfondimenti di ogni tipo, dal tecnico al sociale; puntualmente, però, queste vengono disattese dalle decisioni dei governanti. Probabilmente nella “stanza dei bottoni” l’equilibrio degli ecosistemi non incrocia le esigenze di gestione di una società moderna; più facilmente, le politiche si incrociano con le richieste della transizione energetica, della salute garantita, delle città smart e dell’utilizzo dell’ambiente a fini ludico-turistici. Maggiore si fa la grancassa mediatica riguardo la protezione ambientale e minori sono le pratiche per metterla in atto.
I deceduti, i dispersi, i feriti; ancora lo scorso venerdì si contavano numerose persone intrappolate in tutta la provincia di Almeria. Gli alvei dei corsi d’acqua si trovano ormai costretti in spazi estremamente circoscritti di territorio, arginati al limite massimo rispetto ai centri abitati. Addirittura ne fanno parte, nascosti, tombati da coperture di cemento e asfalto che li sottraggono alla percezione umana. Non esistono più e, in molti casi, le persone ne vengono a conoscenza solo quando le preziose acque si manifestano in maniera estrema, durante gli eventi di piena disastrosa.
L'equilibrio perduto
La terra sottratta dall’uomo alla natura, una storia millenaria che si manifesta come la storia dell’uomo stesso. Posto in cima alla piramide ecologica globale, l’homo sapiens per oltre 200 mila anni ha adattato il territorio a sé, in equilibrio con il territorio stesso per un timor di dio (quale che fosse) o per una legge morale che lo guidava in questa azione plasmante, mantenendo sempre la giusta distanza dall’eccesso. Perché il troppo stroppia e la fretta è una cattiva consigliera.
Con il declino di tali leggi morali e con l’affermarsi del profitto senza scopo, l’equilibrio tra l’azione plasmante dell’uomo e la capacità degli ecosistemi di mantenersi vivi si sta perdendo fino all’ultimo stadio e questo accade anche in ambito idrologico, quel processo continuo di trasporto e trasformazione dell’acqua tra la forma liquida, solida e gassosa all’interno dell’ecosistema terrestre. Da oltre un secolo studiamo e osserviamo le evoluzioni climatiche del corso naturale e in questo tempo abbiamo alterato i cieli, i corsi d’acqua, i mari e le falde idriche sotterranee; finché la portata di tali alterazioni era in grado di essere assorbita dalla resistenza dell’ecosistema in causa, l’uomo ha potuto godere di abbondanza e libertà.
Oggi, invece, in questi tempi di cambiamento meteorologico rapido, siamo di fronte al momento in cui tale resistenza si impone su di noi; il territorio a disposizione va diminuendo drasticamente, in parte per aumento della popolazione, ma ancor più per l’utilizzo non razionale dei luoghi già sfruttati e là, laddove rimangono gli ultimi scampoli di naturalità, lo sfruttamento umano applica i suoi miopi interessi; si, proprio nei luoghi in cui permangono le ultime possibilità di realizzazione della resistenza ecosistemica, anche là, ciecamente, si insiste nella sottrazione indebita di territorio alla natura e i fautori delle decisioni non vedono quanto è davanti agli occhi di tutti. Vale a dire che il problema non sta nel corso d’acqua che esonda, nella meteorologia avversa o nell’eruzione potente; il problema è l’insediamento umano, inadeguato, presuntuoso e fuori luogo, fuori tempo massimo.
La lezione di San Francesco d'Assisi
Osserviamo anche quanto accade con l’intelligenza artificiale. Milioni di litri d’acqua per raffreddare le città delle macchine, elaboratori dell’effimero; mezzo litro d’acqua per ogni venticinque risposte fornite dall’A.I., 3 milioni di litri di acqua potabile ogni weekend.[1] Eppure, nonostante le lamentele che ormai giungono da ogni editoriale, si procede a spron battuto. Quasi mille anni fa, San Francesco d'Assisi già scriveva contro la mentalità mercantile (per cui la natura risulta da sfruttare a fini economici), sostenendo che la natura fornisce all'uomo tutto ciò di cui ha bisogno ed invitando anzitempo a non affannarsi per ricercare sempre maggiori, quanto inutili beni materiali.
Sono passati secoli e siamo ancora qui, studiosi indefessi e parolai sopraffini, ma con una mentalità mercantile ed estrattivista sempre più radicata, in un processo di sviluppo che, ben lungi da esser tale, si sta “mordendo la coda” in un circolo vizioso, senza possibilità di interruzione a buon mercato. Ora, dunque, ci troviamo nella necessità di restituire lo spazio sottratto alla natura, liberare i corsi d’acqua, spostare gli edifici, abbassare gli argini, diminuire le superfici impermeabili, curare le sorgenti e costruire cisterne, ricreare le casse di espansione che abbiamo cementificato e restituire agli spazi naturali il loro giusto valore, quello di aree sacre per la vita. Anche la nostra.
L’unica via d’uscita è rivoluzionare la nostra mentalità sociale, tornare al trascendente, valorizzare l’approccio compassato dei secoli precedenti al ‘900, incentivare l’utilizzo di ciò che esiste già senza forzare l’economia del nuovo e applicare forme di etica, di equilibrio e di logica alla scienza e alla politica, liberandole allo stesso tempo da un’idea di profitto sterile. La risposta è dentro di noi (e però è sbagliata, direbbe il saggio).
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