L'augurio per il 2023 che verrà
di Michele Ruggiero
Buon anno a tutte le lettrici, i lettori, agli amici e ai soci de La Porta di Vetro. Nella notte di San Silvestro non sarà difficile intercettare e interpretare l'auspicio che più di ogni altro ci accomuna: non rivedere il 2022, annus horribilis, con un numero diverso, ma eguale nella sostanza e nei suoi aspetti più orribili e tragici con cui ci ha incalzato, senza risparmio. L'elenco è lungo e ne abbiamo parlato quotidianamente, respingendo le ipocrisie, condividendo e dividendoci anche sui nostri vissuti e sulle interpretazioni della realtà: dalle soluzioni prospettate, accolte, cassate per la pandemia alla guerra in Ucraina, un conflitto scatenato in toto il 24 febbraio dall'aggressione della Federazione Russa, in cui però ha prevalso sistematicamente una lettura manichea che non ha favorito la diffusione di una cultura e di una politica di pace nel segno del primato dell'amore verso le genti e della diplomazia tra le Nazioni. Un primato auspicato con grande coerenza nelle parole, nei gesti e nei comportamenti da Papa Francesco, sempre vicino al dramma dei popoli: nella circostanza, accanto a quelli ucraino, il cui nazionalismo esacerbato rischia di produrre frutti avvelenati in un futuro prossimo, e russo, quest'ultimo subornato da un Potere manipolatorio che lo vuole distaccare dalle sue più profonde radici culturali e geografiche.
Un primato, quello della pace, diffuso dalla voce coraggiosa Papa Francesco, instancabile nella denuncia degli interessi che "vivificano" la guerra in Ucraina e altre guerre che si combattono nel mondo, catastrofi volute avallate da leader e lobby finanziarie e industriali che costano all'Umanità migliaia di lutti ogni giorno e la riproduzione di dolore e odio in misura inversamente proporzionale alla redistribuzione della ricchezza e la distruzione dell'habitat naturale. E nell'ultimo giorno dell'anno, assume una carica simbolica anche l'addio alla vita terrena del Papa Emerito Benedetto XVI, Papa Ratzinger, che nel 2005 scelse quel nome per l'ascesa al soglio di Pietro, proprio per ricordare papa Benedetto XV, il pontefice che definì la Grande Guerra "l'inutile strage".
In ultimo, un'osservazione di politica interna che tocca il caposaldo su cui si fonda La Porta di Vetro e su cui si sono unite persone di diversa cultura, estrazione sociale e orientamento politico, cioè il fermo rifiuto di ogni forma di totalitarismo e di pregiudizio ideologico. Con questa premessa si ritorna sul recente episodio che ha visto protagonista il presidente del Senato Ignazio Benito Maria La Russa, fondatore di Fratelli d'Italia, primo partito della coalizione al governo del Paese. Il 26 dicembre, Ignazio La Russa ha omaggiato la nascita nel 1946 del Movimento sociale italiano (Msi) con un ricordo del padre Antonino, che fu segretario politico del Partito Nazionale fascista di Paternò (Catania) negli anni Quaranta del Novecento, e successivamente senatore del Msi. Partito, quest'ultimo, di cui il senatore Ignazio La Russa è stato un dirigente noto e di estrema visibilità (anche in episodi controversi) con ruoli di responsabilità politica, nonché coprotagonista della famosa svolta di Fiuggi - il passaggio dal Msi ad all'Alleanza Nazionale - operata dall'allora segretario, e delfino di Giorgio Almirante, Gianfranco Fini.
Dunque, il presidente del Senato Ignazio La Russa conosce perfettamente la storia dell'Italia contemporanea. E sa altrettanto perfettamente che è una traiettoria politica (interna e internazionale) intrisa di ombre, veleni, misteri, in cui il Movimento sociale italiano - fondato il 26 dicembre del 1946 da un pugno di reduci del regime fascista, come ha affermato Isabella Rauti, figlia di Pino Rauti, combattente con le mostrine della Repubblica sociale italiana (RSI), dirigente del Msi e fondatore di Ordine Nuovo - ha avuto per decenni un ruolo antitetico e opposto alla libertà conquistata dal popolo italiano il 25 aprile del 1945.
Non fosse altro per le storie - estremamente coerenti - di "quel pugno di reduci del regime fasciste": Arturo Michelini (combattente in Spagna al servizio del generale Franco), Giorgio Almirante (capo di gabinetto al Ministero della cultura popolare della Repubblica di Salò, condannato nel 1947 per collaborazionismo con le truppe naziste), Pino Romualdi (direttore della Gazzetta di Parma che il 3 dicembre 1943 scrisse: "Gli ebrei sono stati messi al loro posto... I puri sangui saranno messi in campi di concentramento, mentre i sangui misti saranno guardati e controllati molto da vicino dalle autorità di polizia), Cesco Giulio Baghino (fondatore dei Fasci di azione rivoluzionaria, un'organizzazione che terminata la guerra si rese protagonista di numerosi attentati dinamitardi), Giacinto Trevisonno (dirigente dei Fasci di Azione rivoluzionaria) e altri veterani della Repubblica di Salò.
Questo è stato il retroterra di esperienza del Movimento sociale italiano su cui non sussistono, né possono sussistere veli di ipocrisie, equivoci e confusioni. Perché quel partito, prima della sua lunga traversata rifondativa, ha rivendicato a sé la continuità storica, morale e politica con il Partito nazionale fascista. E che per un tempo nostalgico e passatista ha mantenuto una linea collettiva antidemocratica, inneggiante alla illiberalità, sostenitore di ambienti reazionari e figure desiderosi di rovesciare il nostro sistema democratico anche con l'apporto di centrali e strutture militari sovranazionali; "amico" di dittature militari e fascistoidi in Europa (Spagna, Portogallo, Grecia) e nel mondo (Brasile, Cile, Argentina). Un partito che, presente in Parlamento, che fomentato rivolte in città al grido di "boia chi molla"; che ha lambito, se non addirittura fiancheggiato con alcune sue aree, il terrorismo nero responsabile delle più gravi stragi avvenute nel nostro Paese; che ha difeso militanti all'assalto - eufemisticamente definiti "manifestazioni" - di sedi istituzionali con i tascapane colmi di bombe a mano sottratte dalle caserme che hanno provocato la morte di agenti di polizia; un partito riluttante a emarginare "squadristi" del calibro del parà e deputato missino Sandro Saccucci, la cui abitudine a mostrare la rivoltella durante i comizi avrebbe provocato nel 1976 drammatiche emulazioni con morti e feriti.
Insomma, è un quadro che non trova punti di contatto, né colori espressivi, con quello su cui il presidente del Senato Ignazio La Russa indulge, richiamando alla memoria i suoi affetti, quel padre che "scelse il Msi per tutta la vita, la via della partecipazione libera e democratica in difesa delle sue idee rispettose della Costituzione italiana". Ma è qui che si fissa l'inopportunità dell'intervento della seconda carica dello Stato: la riduzione a uno spaccato biografico di una storia d'insieme la cui partenogenesi non poteva che escludere a priori principi e valori democratici, pietre miliari della Costituzione nata dalla Resistenza, quanto non poteva che rendere il Msi un corpo estraneo alla società italiana, partito per decenni considerato appunto "fuori dall'arco Costituzionale".
Ad un tempo, le parole del presidente del Senato risultano quantomai opportune perché aiutano a comprendere l'inutilità di riallineare la storia a interpretazioni personali spiegabili, ma non condivisibili, sul piano personale ed emotivo, ma superate dallo stessa incidere della storia che oggi reclama, da destra e da sinistra, prospettive di competizione politica su punti fermi e inossidabili e non divisivi, pena il decadimento della nostra Patria, quella allargata, di cui oggi sentiamo l'assenza come entità alta, transnazionale: l'Europa.
Quella Patria che uno dei suoi Padri dimenticati, Giuseppe Mazzini, il cui 150° anniversario della morte è passato quasi inosservato, definiva "non è un territorio; il territorio non è che la base. La patria è l’idea che sorge su quello; è il pensiero d’amore, il senso di comunione che stringe in uno tutti i figli di quel territorio. Finché uno solo tra i vostri fratelli non è rappresentato dal proprio voto nello sviluppo della vita nazionale – finché uno solo vegeta ineducato fra gli educati – finché uno solo, capace e voglioso di lavoro, langue per mancanza di lavoro, nella miseria – voi non avrete la patria come dovreste averla, la patria di tutti, la patria per tutti".
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