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L'appello della Chiesa Valdese: "Immediato cessate il fuoco in Medio Oriente"

Aggiornamento: 29 ago

di Piera Egidi Bouchard


“Inorridito”- così si definisce il Sinodo per la ferocia del conflitto israelo-palestinese, per il numero esorbitante di vittime civili, invocando l’immediato cessate il fuoco permanente e la prosecuzione dei negoziati per far liberare gli ostaggi e riprendere gli aiuti umanitari. Un importante ordine del giorno è stato approvato martedì scorso, 27 agosto – praticamente all’unanimità - salutato da un grande applauso alla sua lettura, e un altrettanto scrosciante applauso alla sua approvazione. L’argomento della pace in Medio Oriente era particolarmente sentito, e questo tema della pace  si era ampliato nel dibattito in vari interventi che hanno voluto allargare lo sguardo alle decine e decine di conflitti che sconvolgono le vite di milioni di persone.


Il diritto per entrambi i popoli alla pace

Il Sinodo, nell’Atto 36 ribadisce il diritto di entrambi i popoli di vivere in pace e reciproco riconoscimento, consapevoli  delle rispettive storie e lavorando insieme per  il rispetto del diritto internazionale (come per esempio i confini precedenti al 1967), e si impegna a dare sostegno agli obiettori di coscienza che rifiutano la guerra.

In questa prospettiva invita a supportare associazioni, ONG e gruppi religiosi che si impegnano per la pace e il dialogo, e dà mandato alla Tavola di sostenere il progetto “Fermiamo l’odio, aiutiamo i costruttori di pace”, promosso dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) in collaborazione con il “Centro Studi Confronti”. Condanna i radicalismi e i fondamentalismi religiosi, che sia in Medio Oriente sia in Occidente diffondono odio e violano i diritti; condanna ogni forma di  antisemitismo e islamofobia, e invita le chiese ad aderire alla settimana per la pace in Israele e Palestina del 16-22 settembre indetta dal Consiglio ecumenico delle Chiese.

Fra “equivicinanza” e “necessità di non tacere i soprusi”, il testo finale (su “Riforma.it“) - riflette un dialogo fra le parti, lontano dalle polarizzazioni”. Un precedente ordine del giorno era stato ritirato, dopo una accesa discussione, che rifletteva anche - ha detto il pastore Claudio Pasquet, presidente del Sinodo, nella conferenza stampa di ieri, mercoledì 28 agosto – “le tensioni che dopo il 7 ottobre si erano determinate nelle chiese locali: è stata quindi nominata una commissione composta da persone dei due schieramenti, che ha prodotto l’attuale importante documento, come importante è stata la discussione, improntato sul costruire, sul cercare e trovare soluzioni. Noi siamo lontani geograficamente  da questi avvenimenti, e parliamo con tremore, con giusto rispetto, però dobbiamo osare parlare. Siamo lontani, però questa situazione la viviamo  quotidianamente , basta ascoltare un telegiornale.”


Le parole del pastore Pasquet

Come Chiese la ricerca di una risposta non è mai facile - ha proseguito il pastore Pasquet - “E nel documento prendiamo atto che siamo di fronte a una situazione incancrenita, a una crisi che non viene da oggi, né dal 7 ottobre. Le risposte facili non esistono, l’ONU e l’Europa hanno dato risposte parziali, e al momento stanno parlando solo le armi.” E ha ricordato un Sinodo di oltre cinquant’anni fa che promulgò un giorno di digiuno per la pace, in favore degli obiettori di coscienza.

Ci sono altre gravissime situazioni di guerra, prima fra tutte quella fra Ucraina e Russia, che proprio in questi giorni vede una preoccupante escalation del conflitto, ma il Sinodo ha voluto dire una “parola specifica”  sulla guerra in atto in Palestina, “perché si tratta di una terra che ci è cara, siamo debitori per le Scritture a Israele; vogliamo aprire spazi di dialogo con realtà islamiche ed ebraiche: non vogliamo che qui, nella nostra casa italiana si riproduca l’idea che solo radicalizzandosi si può vincere. L’Atto del Sinodo inizia con la parola “inorridito”. Il nostro orrore è sempre rivolto verso la guerra, ma in particolare verso la ferocia di questo conflitto. Abbiamo messo il focus su una realtà di sofferenza, e stiamo seguendo un progetto della Federazione Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) e  la raccolta di fondi per aiuti umanitari, con particolare attenzione agli ospedali.


Il programma per i rifugiati politici e migranti

Noi siamo in relazione con altre chiese – ha detto  – anni fa la Federazione luterana mondiale nominò come suo presidente un luterano palestinese, non siamo soli. C’è anche il Signore.”- ha concluso.

A sua volta, nella conferenza stampa presieduta dal giornalista Gian Mario Gillio - Marta Bernardini, coordinatrice di “Mediterranean Hope” (programma rifugiati e migranti della FCEI), ha ricordato i 10 anni trascorsi  dalla fondazione del programma, e ha detto che  come allora a Lampedusa gli sbarchi, i transiti e le morti continuano: “Ma è  significativo per noi essere ancora lì. E’ necessario trovare nuove vie legali, perché la chiusura delle frontiere, basate su un concetto distorto di sicurezza, esclude le persone. Le chiese devono alzare la voce; inizialmente abbiamo avuto i corridoi umanitari dal Libano, poi dalla Libia, ci saranno dal Niger, ci sono stati dal Pakistan e dall’Iran. Dobbiamo essere presenti nei luoghi dimenticati, come atto di resistenza e testimonianza cristiana. I corridoi umanitari sono un modo, ma non devono essere l’unico.

Come chiese vogliamo aiutare i vulnerabili  non solo con l’accoglienza, ma anche con l’inserimento lavorativo. Citiamo anche nel progetto gli ostelli sociali, per restituire dignità ai braccianti (a Rosarno, e ora anche nel saluzzese). In questi 10 anni abbiamo costruito un ‘vocabolario’ dall’A alla Z. La R di rifugiato, ad esempio, ci ricorda frasi che abbiamo ascoltato direttamente: ‘ non sono un rifugiato, sono un architetto, una insegnante’, e così via: dobbiamo lasciare che siano gli altri a raccontare la propria storia.”


Foto @A.V.G.

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