Joe Biden, "l'Anatra zoppa" di un Paese azzoppato...
Aggiornamento: 2 ore fa
di Stefano E. Rossi
You’re welcome: benvenuto. È Biden a dirlo, quando stringe la mano a Trump nella Sala Ovale della Casa Bianca a Washington. In un paio d’ore di visita, ieri, mercoledì 13 novembre, si è concluso il tradizionale rito dell’invito del Presidente uscente al subentrante vincitore della competizione elettorale. Non era stato celebrato nel 2020. In tutti noi è ancora fresca la memoria di quel 6 gennaio, gli animi erano a dir poco surriscaldati. Adesso invece, dopo un succinto quanto rincuorante colloquio tra i due ex contenenti a favor di telecamere, inizia con i migliori auspici il cosiddetto Periodo dell’Anatra Zoppa. Joe Biden, nel ruolo della cosiddetta anatra zoppa (Lame Duck, in gergo anglofono), è tuttora il Presidente. Non è più nelle condizioni di fare scelte decisive, ma non è ancora ufficialmente uscito di scena.
Donald Trump pronto ai box
Per decidere le future sorti del Paese, scalpita Donald. È già saldo al comando: lo vediamo da giorni dare forma al suo piano operativo. Sta definendo la squadra, dettando termini e condizioni per far stare al proprio gioco sia gli amici che gli avversari, imbastendo nuove regole nei rapporti politici ed economici internazionali. Ma deve rassegnarsi ad aspettare, pazientemente, se ce la fa. Questo periodo, lungo 76 giorni, è assimilabile al semestre bianco del nostro Presidente della Repubblica. Ma stavolta, nel caso degli Usa, si tratta di uno stallo delicatissimo, che interviene in uno dei momenti più critici, dalla caduta del muro di Berlino, per gli equilibri geopolitici e gli assetti planetari.
I blocchi politico-militari avversi, armati fino ai denti, potrebbero averne letto i tratti di un’insperata debolezza. La frattura istituzionale consumatasi nei mesi scorsi in America, al di là delle apparenze e dei convenevoli odierni, rischia di apparire come un’occasione più che unica e da non lasciarsi scappare per dare forma alle minacce rimaste in sospeso. E invece di auspicabili mosse preventive, come una qualche forma di sfoggio della propria supremazia, sul fronte degli scenari mediorientali, ucraini, delle rivendicazioni nel Mar Cinese e di Taiwan, la notizia che non ti aspetti diventa lo stordimento del Pentagono per l’annuncio di nomina del prossimo Segretario alla Difesa. Il posto andrebbe al poco esperto Pete Hegseth, senza esperienza specifica, ancorché affermato conduttore della fedele rete televisiva co-artefice della vittoria elettorale, Fox News. Verrebbe da dire che ogni mondo è paese.
Cittadini tifosi
L’inadeguatezza della classe dirigente, qui addirittura per la sedia del capo delle forze armate di una super potenza sempre in guerra, sembra essere diventata ovunque la costante strategica della politica sovranista, seguita a ruota da annunci sensazionali e che banalizzano la complessità. Con un’imbarazzante scia di spregiudicatezza, si riesce a monopolizzare perennemente l’attenzione della popolazione, vinta da una condizione di continuo scalpore mediatico. L’obiettivo - sia chiaro, non è certo un pensiero inedito, più volte e da più parti ripetuto, ma senza successo, evidentemente - pare quello di estremizzare la contrapposizione fino al fanatismo: cittadini trasformati in tifosi o, forse anche di meno, solo spettatori di un grande spettacolo pirotecnico, che al termine vengono lasciati a godersi qualche residua traccia di fumo nel buio della notte. E così, nel tempo, ci ritroviamo con spettatori ancor più azzoppati dell’anatra, che hanno smesso di farsi coinvolgere dalla scena. Stanno a osservare assuefatti, subiscono qualsiasi conseguenza e non chiedono ormai più niente, se non il solito: the show must go on.
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