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"Ius soli: parliamone laicamente anche se c'è di mezzo Trump"

Giancarlo Rapetti

Aggiornamento: 3 giorni fa

di Giancarlo Rapetti


Donald Trump lisciava il pelo ai negazionisti del Covid, irridendo le misure sanitarie con il famoso discorso in cui diceva, più o meno: “se la conegrina pulisce le superfici, iniettandola nel corpo, uccide il virus; e il problema è risolto”. In questi giorni, da Presidente in carica, ha ripetuto che nel 2020 gli hanno “rubato la vittoria” e ha graziato gli assalitori di Capitol Hill, quelli che volevano impedire fisicamente al vicepresidente (repubblicano) Mike Pence di proclamare il risultato elettorale. Non contento, ha tolto la scorta ad Anthony Fauci, uno dei maggiori esperti mondiali di epidemie, che ha dato un contributo decisivo nel contenere i danni del Covid negli USA, dove, a causa dei contrasti e dei pregiudizi politici, la pandemia ha fatto più morti che in Italia, non solo in valore assoluto (che è ovvio), ma anche in proporzione alla popolazione. E ha aggiunto: “se gli succedesse qualcosa, non mi sentirei responsabile”. 

Un fatto grave e una dichiarazione terribile. Queste premesse servono a definire il personaggio, oltre ogni ragionevole dubbio. Ma sarebbe un errore attaccare tutti i singoli provvedimenti, quando il merito degli stessi potrebbe avere un fondamento, o essere semplicemente oggetto di una laica discussione. Ne cito uno, quello passato sui media come abolizione dello ius soli, una norma distintiva del modo di essere degli Stati Uniti d’America. Innanzitutto occorre premettere che non è chiaro se si tratta di un provvedimento o di un annuncio. In seconda battuta, leggendo meglio la notizia, l’intenzione dichiarata non è di abolire lo ius soli, ma di temperarlo: escludendo dalla fattispecie i nati negli States, ma figli di chi si trova sul territorio americano illegalmente. Può essere solo l’inizio di una legislazione restrittiva, ma il commento deve tenere conto della complessità dell’argomento, che invece da noi è trattato con superficialità e schematismo ideologico.

Lo ius soli assoluto trova la sua ratio nella natura stessa dell’America, un paese per lungo tempo esclusivamente di immigrati. Dai primi pellegrini e fuoriusciti dalla Gran Bretagna, agli schiavi importati, agli immigrati dell’Ottocento provenienti dall’Europa centrale e settentrionale, agli italiani, ai primi latino-americani, ai cinesi, ai giapponesi, agli indiani, gli Stati Uniti sono cresciuti con un flusso ininterrotto di persone nuove, che hanno contribuito all’incredibile sviluppo della società americana, caratterizzata dalla crescita continua e dalle opportunità illimitate. Non senza problemi, anche gravi e importanti, ma senza che, come accaduto invece nell’Europa del Novecento a fronte di situazioni forse meno difficili, la democrazia ne fosse travolta.

La situazione nel tempo però è cambiata, anche l’America è diventata una società matura, densamente abitata (per gli standard locali e non in modo omogeneo), in cui la prospettiva di avere di più è superata dal timore di perdere quello che si ha. Come in Europa, l’immigrazione è diventata un problema, e come in Europa si pone il problema dell’integrazione dei nuovi arrivati: la cittadinanza automatica non sembra più la soluzione migliore. Insomma, mentre le società europee, che vedono traballare lo stato sociale sotto il duplice peso della involuzione politica e della scarsità di risorse, guardano al nuovo modello americano come alternativa alla loro crisi, l’America scopre di avere gli stessi problemi dell’Europa e si affaccia sul complicato mondo delle politiche correttive, nel tentativo di gestire le nuove situazioni. Secondo i reportage sempre laici e accurati di Claudio Pagliara, corrispondente RAI da New York, l’iniziativa del Presidente sul tema gode di un consenso superiore alla sua base elettorale. Più che motivo di scandalo, l’annuncio di Trump sullo ius soli è un invito alla riflessione, anche da questa parte dell’Atlantico.


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