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Ius scholae, un discorso surreale al servizio del nulla o poco più

di Giancarlo Rapetti*


Jus sanguinis e jus soli sono le due forme pure di acquisizione della cittadinanza. Nella realtà legislativa le due forme pure non si trovano mai, ma sono sempre temperate, corrette, ristrette o estese, per seguire la complessità delle casistiche reali.

La situazione italiana attuale può essere considerata un misto tra jus sanguinis temperato e jus soli differito. Infatti la cittadinanza italiana si acquisisce alla nascita se uno dei genitori è cittadino della Repubblica. Ma diventa cittadino anche lo straniero nato in Italia, al raggiungimento della maggiore età. Si diventa cittadini anche per matrimonio con un cittadino italiano. Diventa italiano il cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee se risiede legalmente da almeno quattro anni nel territorio della Repubblica. I quattro anni diventano dieci per lo straniero extra-UE. Infine i figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, se convivono con esso, acquistano la cittadinanza italiana.


Oscuri meccanismi burocratici

Quest’ultima norma (art. 14 della legge sulla cittadinanza, Legge 91 del 1992) rende l’attuale dibattito sullo jus scholae piuttosto surreale. Si propone infatti di dare la cittadinanza ai minori nati in Italia, o arrivati quando avevano meno di dodici anni, al compimento di un ciclo di studi. Non è chiarissimo che cosa si intenda per ciclo di studi, ma consideriamo pure l’ipotesi minima, la scuola primaria o elementare, come si diceva una volta. La scuola primaria si conclude a undici anni, quindi i minori in questione nel frattempo sono diventati cittadini italiani da un anno, se figli di cittadini extra-UE, o da sette anni, se figli di genitori comunitari.

La norma proposta si applica ad un numero residuale di casi, quelli in cui i genitori stranieri, pur essendo decorso il tempo necessario, non hanno voluto o potuto diventare cittadini. Entrambi i casi andrebbero quantificati ed indagati, perché sono spia di un problema: infatti se i genitori non hanno voluto diventare cittadini è indice di una integrazione non cercata; se non hanno potuto è perché sono incappati in condizioni ostative, di fatto hanno commesso reati nel periodo di permanenza in Italia. In sostanza, il problema sembra riguardare prevalentemente, senza dirlo, i minori irregolari o figli di stranieri irregolari.

E comunque i politici che discettano di jus scholae dovrebbero portare i numeri e dare una spiegazione, se vogliono fare un discorso credibile.

E’ vero che il termine di dieci anni, in pratica, è più lungo, anche di anni, perché le pratiche per il riconoscimento della cittadinanza sono complesse e passano attraverso il collo di bottiglia della procedura burocratica. Ma non è aggiungendo una fattispecie ulteriore che si risolve il problema, semmai il contrario. Se si vogliono accorciare i tempi, come sarebbe giusto, si renda il procedimento più efficiente e veloce. La vicenda passaporti insegna.


Discriminati perché?

Un altro aspetto colpisce: la proposta del cosiddetto jus scholae viene motivata all’incirca con questo argomento: i ragazzi stranieri che frequentano le nostre scuole sono compagni degli italiani, frequentano gli stessi amici, hanno le stesse abitudini, perché devono essere discriminati? Questa motivazione rende perplessi sotto molti punti di vista. Perché mai avere la cittadinanza di un altro paese dovrebbe essere una discriminazione? Se un ragazzino americano (nel senso di USA) frequenta la scuola italiana, nessuno pensa che sia una deminutio il fatto di essere per l’appunto cittadino USA e non cittadino italiano. Perché mai se la sua cittadinanza è del Mali o del Bangladesh dovrebbe essere una deminutio? Non è che l’eccesso di politically correct porta ad essere sottilmente razzisti a propria insaputa? Soprattutto perché tutti i legalmente residenti in Italia godono degli stessi diritti, civili e sociali, dalla sanità all’istruzione, dall’assistenza sociale alla previdenza sociale.

La cittadinanza fa la differenza solo per tre cose: i concorsi pubblici, il voto e il passaporto. Ma, come si è visto, i nati in Italia a diciotto anni diventano cittadini, se non lo sono diventati prima, quindi per il voto e per i concorsi non c’è nessuna discriminazione. Per quanto riguarda il passaporto, i minori non possono espatriare senza l’assenso dei genitori, quindi che se ne fa un minore di un passaporto diverso da quello dei genitori? E se i genitori hanno (anche) passaporto italiano, automaticamente ce l’ha anche il minore con loro convivente.

Insomma, anche questa disputa sullo jus scholae appartiene alla categoria che da noi tanto piace delle contrapposizioni basate sul nulla o sul poco, che servono più a marcare il territorio politico che ad affrontare e risolvere questioni reali: nel caso specifico quello della vera integrazione, affinché tutti, vecchi e nuovi cittadini, si riconoscano nella e riconoscano la comune identità repubblicana, le sue leggi e i suoi costumi sociali.  Cosa da cui siamo molto lontani.


Tajani alla ricerca del centro... ma non di gravità permanente

Ha colto accortamente l’opportunità Antonio Tajani, sempre attento a non sbilanciarsi sul merito delle materie politiche, ma, per unanime riconoscimento, maestro della politique politicienne, come avrebbe detto Pietro Nenni. Il Presidente di Forza Italia utilizza lo jus scholae, questo argomento vuoto, ma apparentemente alto e inclusivo, per accreditarsi come forza di centro e catturare un bacino di voti in cerca di autore. Dai tempi di Mario Monti, un dieci per cento di elettori, moderati e sensibili agli argomenti di ordine generale, che rifugge dagli opposti populismi, cerca disperatamente un partito di riferimento, subendo ripetute delusioni. Scelta Civica di Monti, pur ricca di importanti figure, fece rapido naufragio. Il blocco Renzi-Calenda ha fatto la stessa fine. Tajani, con prontezza, cerca di occupare quello spazio, con un argomento che fa fine e non impegna, contando sulla scarsa memoria dell’elettore.

“Siamo noi il centro”, proclama, trascurando che Berlusconi è il padre del moderno populismo italiano e che oggi Forza Italia è un satellite di scarso peso al servizio di Giorgia Meloni e del suo blocco personale di potere. Un gioco così platealmente scoperto che rischia di funzionare.


*Componente della Assemblea Nazionale di Azione

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