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Ius scholae, il mondo in una classe

di Stefano Capello


Lo ius scholae, è un testo di riforma sulla cittadinanza che lega l’acquisizione della cittadinanza al compimento di un ciclo di studi. Da anni in Italia si attende una riforma sostanziale della legge sulla cittadinanza e in queste ultime settimane il dibattito sul tentativo di riforma è tornato a far parte dell’agenda politica. O meglio alcune forze politiche la stanno proponendo ed altre la stanno osteggiando definendola non una priorità. Di recente, secondo i titoli più gettonati, Antonio Tajani, numero di Forza Italia, primo ad aver sollevato la questione all'interno della maggioranza di governo, avrebbe deciso di "rallentare" il confronto con gli alleati, Fratelli d'Italia e Lega, anche per non dare spazio a pericolose polemiche e, soprattutto, attizzare discutibili dichiarazioni, come quelle del ministro dell'Interno Matteo Piantedosi e del sottosegretario Nicola Molteni (Lega), secondo i quali lo ius scholae non esiste in nessun paese dell'Unione Europea. Affermazione contraddetta, è stato rilevato, se "declinata in vari modi e, in una qualche forma, in Grecia, Portogallo, Lussemburgo e Slovenia", mentre in due grandi paesi, Germania e Francia, la scuola riveste un ruolo importante per ottenere la cittadinanza.[1]


Riconoscere la cittadinanza italiana ai minori che nascono e crescono nel nostro Paese rappresenta, in primo luogo, a dispetto di visioni divisive e oltranziste, una concreta opportunità di uguaglianza, concedendo pari diritti a tutti quei giovani studenti che sono italiani di fatto, ma non per la legge. Del resto, parole come inclusione, cittadinanza, accoglienza sono valori assoluti e che come tali non debbano avere colore politico oppure, peggio ancora, essere vittime di posizioni ideologiche ed elettorali.

Il testo prevederebbe il riconoscimento della cittadinanza italiana per i giovani con background migratorio nati in Italia o arrivati prima del compimento del 12 anno che risiedono regolarmente in Italia e che abbiano frequentato regolarmente almeno 5 anni di studio nel nostro Paese, in uno o più cicli scolastici.   

La scuola da anni affronta la sfida dell’accoglienza e dell’intercultura: dapprima come risposta a un’emergenza e oggi come necessità di rispecchiare e rispondere con interventi più strutturati alle esigenze di una società di fatto transculturale. Gestire l’emergenza come tale e non rendere tutto emergenza per evitare di dare una risposta organica che guardi al futuro: questo dovrebbe fare la politica. E lo ius scholae sarebbe una risposta strutturale a beneficio della scuola e non solo dei richiedenti la cittadinanza.

Per quanto riguarda poi la questione cittadinanza la scuola è il luogo ideale nel quale formare i bambini a diventare da adulti buoni cittadini, stranieri e non perché maestra di cultura e di “lingua”.

La scuola infatti deve preparare tutti a ciò, i nostri figli ed i figli di genitori stranieri in egual misura, tutti i bambini devono conoscere la lingua, la cultura, la tradizione, la legge del paese nel quale sono nati o nel paese nel quale vorranno vivere.

Lo ius scholae pensato in questa prospettiva sarebbe un guadagno per tutti: scuola, bambini italiani e non perché rappresenterebbe una risposta organica e non emergenziale, una risposta in grado di leggere i segni dei tempi, una risposta accogliente ad una domanda ineluttabile, una parola che possa essere data da tutti e per tutti.

Lo ius scholae sarà in grado di dare la parola a tutti, perché, come scriveva don Milani in "Lettera a una professoressa", "è solo la lingua che fa uguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli”.   


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