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Maurizio Jacopo Lami

Israele-Hamas: tregua vicina dopo 464 giorni di guerra

di Maurizio Jacopo Lami



Andremo avanti fino alla distruzione di Hamas: è questo il nostro scopo. Qualsiasi trattativa non può distogliere il governo di Israele dall'obiettivo finale.

Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele.


Netanyahu si fida di Trump, sa che non scherza

E lei Presidente si fida di Netanyahu?

Trump non si fida di nessuno.

Donald Trump, presidente eletto degli Stati Uniti d' America,  parlando in un' intervista in terza persona come fa spesso.


Oggi, 12 gennaio 2024: sembra impossibile ma forse c' è finalmente speranza nelle trattative fra Israele e Hamas porteranno alla tregua, alla liberazione degli ostaggi, alla fine dei tormenti per la popolazione palestinese. La situazione definita in una parola, per arrivare subito al dunque? Forse siamo davvero al momento dell' accordo. Stordisce al solo pensarlo, ma ci sono voluti quindici mesi di battaglie. Esattamente 464 giorni di guerra da quel terribile 7 ottobre 2023, giorno che non solo ha causato enormi rivolgimenti, ma ha tragicamente reso possibile qualsiasi scenario, anche il più improbabile, dalla pace definitiva con un accordo fra israeliani ed arabi all'uso del nucleare, dal il più grande attacco terroristico jihadista al più grande spargimento di sangue fra i civili palestinesi.

L'accordo dovrebbe prevedere la liberazione di circa 1200 prigionieri palestinesi, in particolare 200 condannati all' ergastolo (è scontato che qualche ministro israeliano della destra oltranzista darà le dimissioni). Inoltre ci sarà una tregua di alcune settimane, che sarà perfezionata se regge. Particolare importante: gli israeliani resteranno in armi nella Striscia di Gaza. Hamas ha subito talmente tante perdite che ha accettato questa condizione di cui inizialmente non voleva sapere. 

Ci sono al massimo sessanta ostaggi ancora vivi nella Striscia: erano 250 all' inizio della tragedia, un centinaio fu liberato in trattative a novembre, alcuni furono liberati dalle forze di élite israeliane in spettacolari blitz (il più grande a giugno) altri purtroppo uccisi da "fuoco amico". Da 400 giorni i parenti fanno infinite manifestazioni per chiedere di liberarli. Nella Striscia si contano 46.600 morti ufficiali e oltre 11mila "dispersi", chiaramente morti,  cioè oltre 57mila vittime, ma la rivista Lancet dopo calcoli statistici ha ipotizzato 78.000 vite perdute. Ora, forse per via dello sfinimento generale, forse ancora di più per le chiare minacce di Donald Trump, che onestamente suonano molto più convincenti di quelle di Biden, dagli spiragli di pace si è aperta una porta. Del resto, la minaccia - "se gli ostaggi israeliani non saranno liberi per il 20 gennaio, giorno del mio insediamento, ci sarà l' inferno per Hamas" - è suonata davvero credibile, considerata l'energia del personaggio.

La memoria va a quel mattino del 7 ottobre, quando stavano per morire almeno 1203 civili israeliani che non pensavano assolutamente di essere in guerra. Immaginatevi solo quei ragazzi e ragazze che ballavano innocenti al rave party, con le espressioni felici di chi pensa di non avere un nemico al mondo. I giornali israeliani sono pieni di biografie di ragazzi morti a vent'anni in battaglia (oggi siamo a 402 solo nella Striscia di Gaza: gli ultimi quattro sono morti ieri sera), in cui si raccontano i loro sogni, le loro speranze "voleva girare il mondo", "adorava aiutare gli altri", "voleva creare un nuovo computer"... E con pari onestà si raccontano anche i dubbi, le lacerazioni, le frasi di critica: letteralmente ogni giorno qualche padre e madre disperati attaccano Netanyahu e i suoi ministri con una violenza quasi eversiva: "se mio figlio non torna a casa pagherai di persona..., tu non vuoi il bene di Israele, tu vuoi solo restare al potere". Più in generale si leggono moltissime e continue richieste di dimissioni contro il governo e soprattutto un'accusa precisa: qual è il senso di continuare ad attaccare dopo aver eliminato più di 18.000 membri di Hamas (su circa 30.000), aver ucciso Hanyeh, il segretario di Hamas, aver duramente decimato i reparti migliori jihadisti, aver soprattutto eliminato Sinwar, l'uomo che ha ideato il feroce e quasi perfetto piano per colpire Israele? Il ragionamento dei parenti degli ostaggi è semplice: tutto quello che si poteva ottenere per mezzo della forza è stato fatto, ora bisogna trattare.

La cosa più impressionante e più notevole è che a parte i ministri che sembrano non volerne parlare, tutti si interrogano su come sarà il futuro di Israele, su come comporre il dissidio con i palestinesi. Sia chiaro, molti hanno idee quanto mai drastiche: "non potremo mai più fidarci di loro, li stavamo lasciando in pace e loro ci hanno attaccato a tradimento..., che vadano in Egitto, Giordania, Turchia..., ci sono spazi immensi nella regione e noi israeliani siamo la prova vivente che si può trasformare il deserto in un giardino". Altri parlano di fare una specie di nuovo governo per i palestinesi (annotazione importante: sembra che nessun israeliano abbia la minima fiducia nell'autorità palestinese, descritta come corrotta ed incapace al di là di ogni possibile rimedio), ben pochi a differenza di noi europei credono nei "due popoli, due Stati": sostengono che ci vorranno tantissimi anni per potersi fidare di un vero e proprio Stato palestinese accanto. Intanto, però, si assiste ad un ammirevole e continuo discutere di cosa ognuno farà in futuro.

Su ogni giornale e social è un continuo fiorire di propositi enunciati per il futuro: giovani e meno giovani che parlano di cosa faranno s guerra finita, di come sarà la loro vita quando finalmente le armi taceranno. Si avverte il bisogno assoluto nella società israeliana di aver pace, di poter respirare. Hanno sconfitto molti e potenti nemici, hanno eliminato i leader più pericolosi come il carismatico Nasrallah, capo degli Hezbollah libanesi, hanno falciato duramente i reparti migliori dei nemici, hanno ucciso i più prestigiosi generali iraniani, hanno colpito in profondità gli arsenali nemici e soprattutto hanno praticamente demolito il cosiddetto "Asse della Resistenza" guidato dall'Iran, che è passata dai sogni di gloria al tremare per la propria esistenza. 

Ora Israele ha bisogno di rivedere i suoi cari, i palestinesi di non piangere più continue morti, il mondo intero di sentirsi dire che esistono altre vie oltre alla guerra.

Ha scritto Erich Maria Remarque (1898-1970), l'autore di Niente di nuovo sul fronte occidentale: "Avevamo diciotto anni, cominciavamo ad amare il mondo e l'esistenza, ci hanno costretto a spararci contro ". Ora basta.



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