Israele-Hamas: paure per l'allargamento del conflitto, ma chi pensa ai palestinesi di Gaza?
Aggiornamento: 18 nov 2023
di Maurizio Jacopo Lami
"I combattimenti per sconfiggere Hamas sono battaglie locali a Gaza, ma hanno impatto in tutto il Medio Oriente".
Galant ministro della Difesa israeliano
Ci sono rilevanti novità nella tragica situazione del Medio Oriente: la prima è che l'esercito israeliano ha sostanzialmente conquistato quasi tutta la parte nord della Striscia di Gaza e ora si appresta ad attaccare fortilizi di Hamas nella parte meridionale, in particolare a Khan Younis, che è il maggiore insediamento palestinese nella zona. Da parte sua, secondo quanto riportato dalla Cnn, Hamas ha chiesto ieri sera, durante le trattative per il rilascio degli ostaggi, di bloccare i movimenti di sorveglianza dei droni che effettua l'esercito israeliano individuare i covi dei miliziani palestinesi.
Altra novità è che per ora la perquisizione degli ospedali non ha dato i risultati sperati dal governo di Netanyahu: non sono stati trovati né gli ostaggi israeliani, né i capi di Hamas, che secondo l'intelligence israeliana avrebbero dovuto trovarsi nei cunicoli. La sorte della maggior parte degli ostaggi (sono 239, ma Hamas sostiene che circa sessanta sono morti sotto i bombardamenti) resta in un pesante limbo di incertezza: ora gli israeliani sospettano che dagli ospedali siano stati trasferiti in parte a Khan Yunis, a sud di Gaza, dove fra l'altro sono cresciuti diversi dei principali dirigenti di Hamas. Ma, secondo quanto riportato dall'emittente al Jazeera nel suo blog proprio su Khan Yunis si è rivolto il bombardamento israeliano che avrebbe provocato 28 morti palestinesi, per lo più bambini, ma decine sono rimaste ferite e decine rimangono ancora sotto le macerie, soprattutto nel quartiere residenziale di Hamad.[1]
Sempre al Jazeera riferisce che numerosi medici dell'ospedale al-Shifa sono stati costretti ad abbandonare la struttura dalle forze israeliane. Le testimonianze riportate dall'emittente televisiva sono drammatiche:
"Ci è stato detto di andarcene attraverso la strada al-Wahda. Decine di cadaveri sono sparsi sulla strada. Molti senzatetto che non possono camminare vengono lasciati all'aperto". Sono scene che concorrono ad accrescere la paura dell'esplosione di epidemie per le pessime condizioni di igiene e pulizia in cui si dibatte l'ospedale per le continue sospensioni di energia elettrica che riduce l'approvvigionamento idrico. Una situazione che ha ridotto, secondo le testimonianze, al-Shifa a "una grotta medievale".
Intanto, Israele ha finalmente autorizzato l'entrata di camion diesel per rifornire gli ospedali di Gaza. Mossa umanitaria certo favorita dalla fortissima pressione internazionale in tal senso (specie degli Stati Uniti) che favorisce un po' di distensione in questa difficilissima situazione, ma allo stesso tempo crea tensione nel governo di Tel Aviv: ci sono ministri oltranzisti che chiedono di non far passare nulla e hanno preteso un consiglio di Gabinetto, in programma oggi.
Il quadro internazionale è altrettanto controverso e non facilità una soluzione per la sorte degli ostaggi e il cessate il fuoco. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ieri a colloquio in Germana con il Cancelliere Olaf Scholz, ha ribadito le sua accuse ad Israele definito uno “Stato terrorista e fascista", mentre il suo interlocutore affermava il diritto di Tel Aviv a difendersi dagli attacchi di Hamas. Posizioni divergenti in profondità che Erdogan avrebbe ulteriormente scavato con frasi fuori dal protocollo istituzionale che si sono tradotte con furia iconoclasta nell'accusa alla Germania di essere prigioniera del suo passato e dunque priva del giusto distacco per giudicare quanto accade nella Striscia di Gaza.[2]
Per contrasto, mentre Ankara strepita, Teheran sembra più propensa a smussare gli angoli e si dichiara, attraverso il suo ministro degli esteri, non interessata ad un allargamento del conflitto. Messaggio recapitato a Washington, con la postilla però che "se i crimini contro la popolazione di Gaza e Cisgiordania continueranno, allora ogni possibilità potrà essere considerata, e un conflitto più ampio potrebbe rivelarsi inevitabile ". Potrebbero sembrare parole molto minacciose, ma in realtà se si nota l'uso ostentato di periodi ipotetici e se si fa la tara al linguaggio sempre volutamente minaccioso di Teheran, si capisce che il messaggio è "se voi ci date modo di salvare la faccia, cioè di non sembrare intenzionati ad abbandonare completamente Hamas, noi resteremo volentieri fuori da questo conflitto".
Il governo iraniano odia certo Israele ("piccolo Satana" così è bollato dalla propaganda di regime), e gli Stati Uniti ("Grande Satana", naturalmente) e in generale l'intero Occidente, ma la Guida suprema dell'Iran pare aliena da mosse suicide che comporterebbero l'ingresso in una guerra dall'esito scontato. Al di là di tutte le frasi roboanti e retoriche di un regime che detiene il potere da 44 anni con metodi violenti, brutali e polizieschi, i religiosi islamici non hanno la minima intenzione di diventare martiri. Come succede nella vita, coloro che parlano ostentatamente di sacrificio, non pensano a sé stessi. E poiché una guerra contro gli Stati Uniti e Israele sarebbe a senso unico, l'unica strada percorribile dall'Iran è quella di finanziare con discrezione Hamas. Come? Chiedendo in ogni sede internazionale solidarietà per Hamas, promettendo l'assistenza dei gruppi filoiraniani del Libano, gli Hezbollah ("Partito di Dio", la più grande e meglio organizzata milizia sciita), della Siria con la "brigata iman al Hussein" responsabile degli attacchi con scarso successo alle basi americane, e l'Iraq con le Badr Organization. Senza dimenticare gli Huthi, i ribelli sciiti dello Yemen che prendono il nome dal loro fondatore ucciso dai governativi filo sunniti nel 2004 e che hanno come simbolo un logo che riassume bene quanto oggi avviene: "Allah è sommo, morte all'America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria per l'Islam". In realtà, tutti questi gruppi stanno facendo assai meno di quanto si temesse subito dopo il tragico assalto ad Israele da parte di Hamas il 7 ottobre. Ognuno ha un motivo preciso: gli Hezbollah del Libano hanno dovuto affrontare la durissima crisi economica del proprio Paese, si sono rivelati incapaci di gestire la situazione, e pur essendo temuti per la loro potenza militare, si sentono profondamente isolati e sanno che una guerra aperta con Israele decreterebbe la loro fine. Questa volta, a differenza del conflitto del 2006, quando l'IDF (le forze armate israeliane) non riuscì a distruggerli, si combatterebbe "senza guanti" Come ha detto minacciosamente il ministro Galant: "Ho visto a Gaza masse di civili che abbandonano per sempre le loro case sventolando bandiere bianche; succederà anche a Beirut se Hezbollah farà la follia di attaccare" Le milizie filo iraniane in Siria sono provate da dodici anni di guerra civile combattuta senza regole e senza pietà. Comprensibile la loro riluttanza ad affrontare un esercito possente come quello israeliano. Un dilemma che attaglia anche le milizie sciite in Iraq, che avvertono la scarsa empatia della popolazione sfinita da tanti anni di guerra. La stanchezza potrà o potrebbe essere anche il migliore deterrente per evitare l'allargamento del conflitto, ma per la sorte dei palestinesi a Gaza, che continuano a morire come mosche sotto le bombe di Israele, che cosa s'intende fare?
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