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Giuseppina Viberti, Germana Zollesi

Indagine sulla depressione: ecco che cosa ne pensano gli italiani

di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi

 

L’abitudine consolidata nella nostra società di estremizzare i concetti porta a definire “Depressione” qualsiasi presenza di umore triste, vuoto o irritabile cui nessuno può definirsi immune. Questa situazione può evolversi in modificazioni fisiche, fisiologiche e cognitive che incidono in modo significativo sulla capacità di funzionamento dell’individuo, trasformando l’episodio depressivo in un Disturbo Depressivo Maggiore (o depressione maggiore) dove oscillazioni del tono dell’umore, più o meno marcate, possono portare ad un vero e proprio disturbo bipolare. Dal sintomo, al disturbo depressivo fino alle sue estreme conseguenze (suicidio) non sempre si percepiscono i confini generando difficoltà diagnostiche e prima ancora una difficoltà sociale nell’accettare e nel gestire la malattia in ogni sua fase. Spesso infatti i soggetti depressi lamentano sintomi che non vengono neanche associati alla depressione stessa (stanchezza cronica, malesseri fisici, apatia, astenia, calo del desiderio, irritabilità, ecc.).

 

In Italia, disturbi mentali in aumento

Per cercare di identificare la reale portata del fenomeno e come questo viene effettivamente percepito la SWG spa (società che progetta e realizza ricerche di mercato, di opinione, istituzionali, studi di settore e osservatori, analizzando e integrando i trend e le dinamiche del mercato, della politica e della società) con il supporto di Johnson & Johnson Innovative Medicine ha messo in evidenza le difficoltà di approccio alla depressione da parte degli italiani.

Il presupposto fondamentale inizia con L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che ha lanciato un allarme globale: la depressione sarà la principale causa di disabilità nel mondo e, entro il 2030, diventerà la malattia mentale più diffusa.

In Italia ci sono oltre 3,5 milioni di persone che soffrono di disturbi depressivi e le diagnosi, negli ultimi anni, in particolare nel periodo post Covid, hanno registrato una crescita del 30 per cento. Percentuale che non dà segni di rallentamento, come se i danni provocati dagli shock continuassero a produrre i loro effetti, rendendo pericoloso quell’atteggiamento secondo cui, superata la fase acuta, i problemi sarebbero risolti, rendendo quindi inutile ogni forma di monitoraggio e di controllo.

Eppure, l’evidenza della situazione, indica che tre nostri concittadini su quattro sono ancora convinti che la depressione non sia una malattia, ma uno “stato temporaneo” e che “capiti a tutti di sentirsi depressi ogni tanto”, sottovalutando la gravità del disturbo.

Due italiani su tre pensano infatti che sia sufficiente distrarsi e fare qualcosa di divertente e coinvolgente, mentre il 67 per cento degli intervistati crede che cambiare lo stile di vita, eliminando i possibili fattori scatenanti, sia una soluzione per affrontare la depressione.


Scenari complessi per una malattia difficile

Le cause della depressione sono molteplici ed includono fattori genetici, biologici (alterazioni ormonali e chimiche) e fattori ambientali (ad es., traumi o situazioni di stress). Il percorso terapeutico adeguato richiede un approccio integrato; inoltre, è fondamentale promuovere diagnosi precoci e garantire un accesso tempestivo ai trattamenti più efficaci e innovativi.

Malgrado la percezione generale della depressione come uno “stato d’animo” e non come una malattia, la conoscenza dei sintomi, dichiarata nell’indagine, risulta molto elevata:

1.     difficoltà nelle relazioni sociali (88%)

2.     perdita di interesse nelle attività quotidiane (86%)

3.     problemi legati al sonno (81%)

4.     bassa autostima (78%)

5.     variazioni nell’appetito (77%)

6.     stanchezza cronica (73%)

7.     difficoltà di concentrazione (69%)

Tuttavia il 63 per cento degli intervistati, in presenza di questi sintomi, preferisce attendere un po’ di tempo per capire se si tratta di una fase passeggera, che non necessita di un intervento clinico mirato. Infatti, di fronte al dubbio che una persona soffra di depressione, solo una persona su due crede che ci si dovrebbe rivolgere ad uno psicologo o al proprio medico di famiglia, e il 35 per cento degli intervistati ritiene che sia sufficiente rivolgersi ad amici o familiari.

Quindi, sulla base dei dati raccolti dall'indagine, molti italiani riconoscono l’importanza di affrontare la depressione e le malattie mentali più in generale con un percorso terapeutico adeguato, ma sono ancora molti coloro che preferiscono evitare di rivolgersi allo psichiatra per timore dello “stigma sociale”. È quindi necessaria una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, una corretta informazione e un accesso alle cure adeguato. In sostanza, non serve avere paura di chiedere aiuto, così come avviene per le altre malattie, dove invece si rilevano spesso eccessi di domanda inappropriata.

 

Una paura diffusa

L’indagine SWG ha evidenziato un aspetto interessante, che merita una riflessione per una maggiore consapevolezza della malattia. Il 79 per cento degli intervistati dichiara di essere molto spaventato dalla depressione e il 19 per cento la percepisce come una condizione senza via d’uscita. Circa il 90 per cento riconosce l’impatto significativo che la malattia ha sulle relazioni personali, causando conseguenze gravi nei rapporti famigliari, nelle amicizie, nel mondo del lavoro e persino nell’educazione scolastica. Infine l’88 per cento degli intervistati ritiene che il termine “depressione” venga spesso utilizzato in modo inadeguato, sottovalutando la serietà della malattia.

Alessandra Baldini della Medical Affairs Director Johnson & Johnson Italy, che ha contribuito all’indagine, ha dichiarato che per J&J Innovative Medicine garantire un accesso equo e appropriato ai trattamenti innovativi per i pazienti affetti da depressione maggiore è una priorità assoluta. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario un approccio interdisciplinare che si traduca in un lavoro continuo con istituzioni, associazioni di pazienti, università delle discipline coinvolte, imprese impegnate nella filiera (e ciò spiega l’interesse della J&J), fino al singolo caregiver per diffondere un’informazione adeguata e assicurare le migliori cure possibili in rapporto alle condizioni sociali esistenti in un determinato contesto.

 

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