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Il valore della "lezione": da don Milani a Zagrebelsky

Aggiornamento: 31 mag 2023

di Piera Egidi Bouchard


Ci sono libri che segnano un’epoca: negli anni ’70 “Dalla parte delle bambine” di Elena Gianini Belotti (1973) , e il di pochi anni anteriore “Lettera a una professoressa” di don Lorenzo Milani (1967). Ambedue riguardavano il problema dell’educazione e della formazione: il primo da un punto di vita soprattutto psicologico e di costume, la critica di una società che creava millenarie costrizioni all’essere donna, ragazza, bambina. Il secondo – quest’anno, il 27 maggio scorso, con celebrazioni aperte dalla prevista presenza del presidente della Repubblica, è stato ricordato il Centenario della nascita dal fondatore della famosa scuola di Barbiana (in un paesino senza strade, acqua, luce ,dove il giovane parroco, osteggiato dalle gerarchie per le sue idee politiche progressiste, raccolse i figli dei contadini e dei pastori che a malapena avevano fatto le elementari) - contrassegnato da un impegno sociologico e politico a favore dei più emarginati: “Se il padrone conosce 1000 parole e tu ne conosci solo 100 sei destinato ad essere sempre servo”.

Don Milani in aula con i suoi allievi, da Wikipedia

Il tema dell’insegnamento, dell’educazione alla conoscenza, e quindi alla formazione della personalità alla libertà e capacità critica di discernere e di scegliere dovrebbe restare ancora al centro oggi delle posizioni politiche e delle linee culturali del nostro paese: la scuola è fondamentale, così come la sanità, e quelli sono soldi ben spesi, non i fondi alle armi per uccidere, ma quelli per far vivere e per formare le generazioni del domani.

Da un’altra, ma fondamentale angolatura, viene ora un importante e appassionato strumento di riflessione sull’educazione e l’insegnamento dedito alla formazione di una libera personalità: La lezione, Einaudi, un centopagine, tutto da meditare di Gustavo Zagrebelsky, giurista, professore, costituzionalista, nativo delle valli valdesi, a San Germano Chisone. “Il greco legein ha a che fare – scrive – con l’atto del raccogliere, del radunare, del mettere insieme“. Perciò la lezione è “una sorta di chiamata a raccolta intorno al sapere.(...) Nella lezione è implicito il carattere pubblico della parola che si rivolge a persone ‘raccolte’ con lo scopo di partecipare a quella specifica lezione impartita da quella specifica persona, e non da uno qualunque in veste di maestro”.

E ancora: “Questo spazio, che chiamiamo ‘aula’, non è un luogo materiale qualsiasi, circondato da quattro muri sordi e grigi, ma è un luogo dello spirito, dove spira un venticello creativo di libertà”. Il silenzio perciò è un inizio fondamentale: non ‘fate silenzio!’, come dice spesso l’insegnante a una classe, ma “più propriamente dovrebbe essere ‘facciamo silenzio’, per poter ascoltare, anzi ascoltarci reciprocamente”. C’è questa circolarità, questa reciprocità nell’insegnamento.

Silenzio, sì, ma anche parole, perché l’autore ci ricorda che dare un nome alle cose è un’attività creatrice, che ci fa crescere, e in questo senso si comprende il rapporto che esiste tra parole, libertà, democrazia: “Si comprende anche il significato dell’espressione ‘scuola come organo costituzionale’: come ha scritto Piero Calamandrei: ‘La scuola è un organo vitale della democrazia’.” “La ‘scuola delle parole ‘ è il tempo e il luogo dello ‘scambio delle parole. L’insegnamento e l’apprendimento consistono in questa circolazione di parole, in cui si rende fertile e cresce ciò che possiamo chiamare ‘cultura’, come vera e propria ‘coltivazione’ di un terreno fecondo che nutre la comunione di esseri che vivono insieme.”

Ed ecco l’analisi e la critica del significato di trasmettere, della materia, dei voti, delle interrogazioni, dell’esame, e dei manuali, della burocrazia scolastica, dei programmi elaborati dall’alto, dei libri di testo approvati dal ‘ministero’: “Se si vuole avere un’idea precisa della vitalità o dell’inerzia, della mobilità o della sclerosi d’una società – nota l’autore – basta guardare come sono fatte le lezioni impartite nelle sue scuole.” E il preoccupante tasso di abbandono scolastico nel nostro paese non si deve anche alla trascuratezza di lezioni scipite, fatte per dovere, senza coinvolgimento, senza passione? Trasmettere e ricevere conoscenza dovrebbe invece essere un atto di passione. Lo sanno gli eroici “maestri di strada” che si sono messi a raccattare uno ad uno i ragazzini fuggiti dalla scuola per oziare nelle strade e nei vicoli, vittime predestinate del malaffare e della criminalità organizzata.

Invece la lezione deve essere un “passeggiare”, in cui si impara a non aver fretta, a osservare, a “guardarsi intorno, scrutare sempre più giù nel profondo, ma anche guardarsi lateralmente, da quante più parti siamo capaci”, ad avere “sguardi in numerose direzioni”: “Passeggiando insieme si può trasmettere ai nostri studenti il gusto della curiosità e della scoperta e l’entusiasmante piacere di vedere coi propri occhi e di creare combinazioni che ricostruiscano l’unità tra le cosìddette ‘scienze della natura, che sono analitiche, e le ‘scienze dell’uomo’ che sono necessariamente sintetiche.” L’autore ci conduce attraverso questa sua passeggiata nel sapere e nell’amore per il sapere: quello che accade “anche solo in un anno scolastico felice, in un solo corso con un insegnante che ama la sua professione e i suoi studenti, in un’ora sola di lezione, è un dono di lunga durata.”- conclude. “Un’ora sola, un’oretta di amore che la scuola ti ha dato e che tu hai ricevuto può essere tenuta a mente e valere per tutta la vita che resta.”




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