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Il "sì" della Corte Costituzionale alla norma del payback sanitario 

Aggiornamento: 30 lug

di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi


Il 22 luglio scorso, la Corte Costituzionale è intervenuta con due sentenze (n. 139 e n. 140) [1] sul meccanismo del payback applicato ai dispositivi medici, dichiarandone la legittimità costituzionale. Le due sentenze seguono l’udienza pubblica di discussione che si è tenuta a Roma il 22 maggio scorso alla presenza dei legali di sedici imprese, dell’Avvocatura Generale dello Stato (per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e dell’Avvocatura della Regione Toscana, durante la quale sono state rappresentate, evidenziate e ampiamente dibattute, tutte le questioni di illegittimità costituzionale sollevate dal TAR nell’ordinanza di rinvio.

Nella sostanza, il payback è un meccanismo imposto dal legislatore consistente nella restituzione – da parte delle aziende del comparto sanità – dell'importo pari al 50% delle spese in eccesso effettuate dalle singole Regioni. Ora, che il sistema per il settore dei dispositivi medici presenti di per sé diverse criticità lo precisa esplicitamente la stessa Corte Costituzionale, ma nel suo complesso “non risulta irragionevole”, né “sproporzionato”, ma soprattutto rappresenta uno strumento per definire dei valori standard sui consumi sanitari che spesso presentano anomalie, sia nelle quantità consumate che nei prezzi singoli.

Del resto, già sperimentato anche per il controllo e la regolamentazione del consumo dei farmaci, il payback è un meccanismo tale per cui, in caso di superamento del tetto della spesa in un determinato ambito, le aziende coinvolte sono chiamate a ripianare parte dell'eccedenza tramite versamenti alle Regioni/Ministero in base agli importi attribuiti dall’AIFA (Agenzia Italiana Farmaco).

La legge nasce nel 2015 con il Governo Renzi in una delle tante ventate di spending review, che però in questo caso ha prodotto qualche significativo risultato. Quando le rilevazioni sui consumi presentano degli eccessi, si attiva un sistema di compartecipazione (nella fattispecie per i dispositivi medici) che coinvolge direttamente imprese produttrici e Regioni. Le aziende produttrici, che ovviamente non hanno apprezzato la sentenza, sono chiamate a contribuire economicamente alle spese pubbliche sanitarie sostenute dalle Regioni, cui la sentenza concede un respiro finanziario, ma soprattutto sancisce il principio che i consumi sanitari devono essere collegati alle reali esigenze di salute e non a pressioni commerciali.

In estrema sintesi, la Corte Costituzionale pur affermando che sono necessarie ulteriori analisi e revisioni del payback, ha riconosciuto con due sentenze (n.139 e n.140) la legittimità del provvedimento riguardante i dispositivi medici. Vi sono inoltre le norme contenute nell’art. 8 del decreto legge n. 34 del 2023 che hanno istituito un fondo statale da assegnare pro-quota alle regioni che nel menzionato periodo abbiano superato il tetto di spesa. Esse hanno inoltre consentito alle imprese fornitrici dei dispositivi di versare solo il 48 % della rispettiva quota di ripiano, a condizione che rinunciassero a contestare in giudizio i provvedimenti relativi all’obbligo di pagamento. Ma con la sentenza n. 139 a tutte le imprese fornitrici è ora riconosciuta la riduzione dei rispettivi pagamenti al 48 per cento.

 

La posizione di Confindustria dispositivi medici

La Confindustria Dispostivi Medici non ha accolto positivamente la pronuncia della Corte Costituzionale. Secondo il suo presidente Nicola Barni, “questa sentenza versa un intero comparto e tutta la filiera italiana del settore in una crisi irreversibile”. “Gran parte delle imprese non solo saranno nell’impossibilità di sostenere il saldo di quanto richiesto dalle regioni, ma saranno altresì costrette ad avviare procedure diffuse di mobilità e licenziamento, ad astenersi dalla partecipazione a gare pubbliche e, in molti casi, a interrompere completamente la propria attività in Italia”.

Affermazioni di per sé gravi, perché il sistema sanitario ha estremamente bisogno di dispositivi medici moderni e affidabili e la mancata partecipazione a gare pubbliche lo renderebbe estremamente vulnerabile con evidente danni ai pazienti. 

 

Conclusioni

Il tema è di fondamentale importanza per il corretto funzionamento della sanità in quanto le strumentazioni sanitarie sono sempre più necessarie per fare diagnosi e trattamenti corretti e adeguati ai pazienti. È necessario agire però con appropriatezza nelle scelte dei percorsi diagnostici e terapeutici perché i costi della tecnologia sono elevati e gli sprechi devono essere evitati. La disponibilità economica delle Regioni non è infinita e pertanto le aziende produttrici devono essere chiamate a mettere in atto tutti i sistemi possibili per non superare i limiti dell’adeguatezza e non accondiscendere a consumi dettati dall’apprensione e non dalla necessità. Se da un lato non si possono prospettare consumi solo per mantenere in vita un settore, dall’altro e necessario ripensare il settore con una programmazione che renda il più possibile autosufficiente il Paese e permetta di destinare fondi alla ricerca, da sempre la cenerentola del sistema. 

 


Note


[1] La Corte si è occupata dapprima, su ricorso della Regione Campania, delle disposizioni del 2023 e, con sentenza n. 139, le ha dichiarate incostituzionali nella parte in cui condizionavano la riduzione dell’onere a carico delle imprese alla rinuncia, da parte delle stesse, al contenzioso. La conseguenza è che a tutte le imprese fornitrici è ora riconosciuta la riduzione dei rispettivi pagamenti al 48 per cento. Con la successiva sentenza n. 140 la Corte, su rimessione del TAR Lazio, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015, quanto al periodo 2015-2018.

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