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Sergio Cipri

Il sequestro dell’amigdala, ovvero "il ritorno del nostro cervello primordiale"

Aggiornamento: 27 mag

di Sergio Cipri


Spento il breve clamore mediatico dell'attentato al premier della Slovacchia, Robert Fico, fortunatamente sopravvissuto e quindi scomparso dai notiziari, dedichiamo una breve riflessione al suo attentatore. Si tratta di un 71enne, Juraj Cintula, scrittore che vive nella città di Levice ed è un sostenitore del partito “Slovacchia progressista”. Sarebbe stato lo stesso figlio a confermarlo, dicendo di non avere idea delle ragioni che abbiano spinto il padre, in passato attivista per la non violenza, a compiere un simile gesto. «L’ho fatto perché disapprovo le sue politiche », avrebbe detto, invece, Cintula, durante l’interrogatorio. L’anziano, fondatore del Club letterario di Duha, ci viene descritto come persona un tempo mite e gentile, un pacifista, una persona che scriveva poesie. Sembra che successivamente il suo atteggiamento sia cambiato fino a trasformarlo nel potenziale assassino che la cronaca ci ha presentato.

Da quanto ci viene detto questa metamorfosi non sembra ascrivibile, se non in parte, a influenze esterne, ma ad un processo maturato in solitudine. Se questo è vero e ragionevole, possiamo attribuire la responsabilità di questo cambiamento al dialogo interno tra le due componenti del suo cervello: il cervello razionale e il cervello primordiale che ancora oggi sopravvive in tutti noi.


Un milione di anni fa...

Ho già già citato in un articolo precedente il meccanismo mentale che ha permesso all'uomo primitivo, intorno a circa 1 milione di anni fa, di sopravvivere ai pericoli mortali dell'ambiente in cui si è sviluppato.[1] Questo meccanismo è stato denominato “il sequestro dell’amigdala". Semplificando, funziona approssimativamente così: i nostri sensi inviano continuamente al cervello segnali relativi all'ambiente circostante. Questi segnali vengono inviati contemporaneamente all'amigdala, una ghiandola specializzata nel riconoscimento dei segnali di pericolo, e alla corteccia prefrontale che è l'area del cervello dedicata al pensiero e all'analisi razionale. L’amigdala, che ha tempi di reazione brevissimi, dell'ordine dei decimi di secondo, confronta continuamente i segnali ricevuti con un'area del cervello nella quale sono memorizzate le esperienze pericolose.

Quando avviene un riconoscimento, prende istantaneamente il controllo del cervello, dicendo sostanzialmente alla corteccia prefrontale: tu sei troppo lenta nel valutare i segnali ricevuti, se dipendesse da te l'uomo di cui ci occupiamo sarebbe già morto. Lascia fare a me! In pochi decimi di secondo avvengono una serie di reazioni chimiche e fisiche che predispongono l'uomo al combattimento o alla fuga. Quando la reazione al pericolo ha ottenuto il risultato, che è la sopravvivenza dell'uomo, l'amigdala cede nuovamente il controllo alla corteccia prefrontale, che in questo modo può analizzare ciò che è avvenuto e decidere come procedere.

La memoria del pericolo si sviluppava ed aggiornava principalmente da esperienze personali, oppure dai racconti intorno al fuoco e ovviamente, come avviene durante l’addestramento dei cuccioli, dagli insegnamenti dei genitori. Oggi questa memoria viene alimentata in grandissima parte dai media.


Percezione e realtà dei pericoli

Proviamo ad analizzare le notizie di un telegiornale tipo, quelle che ingeriamo insieme al cibo all'ora di pranzo o di cena. La guerra fra Russia e Ucraina, la guerra fra Israele e Hamas, l’assalto dei palestinesi di Gaza ai camion degli aiuti, l’assalto speculare dei coloni dell’ultra destra israeliana per impedire gli aiuti, i femminicidi, le aggressioni mortali (delle altre non si parla neppure più), le aggressioni a sfondo sessuale, i pestaggi del branco (sempre più composto da minorenni), la strage ricorrente del fuori di testa super armato (una volta principalmente negli Stati Uniti, ma in via di diffusione). E non manca la quasi quotidiana implorazione, con voce sempre più accorata, del Pontefice a Dio, alla Madonna, allo spirito Santo, ai signori della guerra, perché si imbocchi finalmente un percorso di pace. Il silenzio che segue, dal cielo e dalla terra, gioca il suo ruolo nel confermare il potere inarrestabile del male.

Qualcuno sostiene che questo orrore quotidiano ci anestetizza e viene in qualche modo rimosso dalla memoria. Non è vero. La nostra amigdala è sempre in ascolto e aggiorna continuamente l'archivio dei segnali di pericolo.

E’ interessante, a questo punto, tentare di confrontare statisticamente la percezione del pericolo con i dati reali relativi alle diverse tipologie dei reati effettivamente commessi. Fra gli scarsi documenti disponibili il più recente (2023), e tentativamente completo, è L’indagine “La criminalità: tra realtà e percezione” [2] che nasce nel quadro del Protocollo d’intesa sottoscritto dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza - Direzione Centrale della Polizia Criminale e l’Eurispes.  Il documento è ricco di dati sulle principali tipologie di reati commessi nel 2022 con confronti sugli anni precedenti (la realtà). Affida invece il tentativo di misurare la percezione ad un corposo questionario somministrato ad un campione “significativo” di 1026 persone. Ho volutamente usato le “virgolette” perché da quel questionario si dovrebbero ricavare le informazioni sulla percezione di numerosi rischi personali di uomini, donne, stratificati per età, posizione geografica, scolarizzazione, riferiti all’intera popolazione italiana. Impossibile. In aggiunta il testo è privo di grafici e tabelle di sintesi, limitandosi a elencare in modo analitico e non strutturato un numero elevato di informazioni con relative percentuali … una lettura decisamente faticosa.

Con un certo sprezzo del pericolo azzardo un ragionamento che cerchi di mettere in relazione tre fattori: i dati reali sui crimini effettivamente commessi (attendibilità molto alta), le risposte al questionario sulla percezione del rischio (con i limiti severi citati), le risposte alle domande puntuali circa l’aver subito personalmente i crimini sui quali veniva valutata la percezione di rischio (attendibilità alta).

La paura della morte violenta

Il dato più significativo riguarda il crimine più grave: l’omicidio. In 15 anni (2007-2022) gli omicidi si sono dimezzati - da 632 a 314 - mentre la percezione di pericolo è, seppure di poco, aumentata. La paura del buio. Alla domanda sul timore a camminare in una strada buia nel proprio quartiere quasi il 40% degli intervistati risponde affermativamente. La paura del furto in casa propria. Riguarda quasi il 60% delle risposte. La paura dell’aggressione sessuale. Risponde positivamente circa il 25%

Se si analizzano le risposte su crimini effettivamente subiti, nell’ultimo anno gli italiani hanno dichiarato di essere stati vittime soprattutto di truffe su Internet (14,7%), di minacce (11,2%), di furto in casa (11%). L’occorrenza più bassa riguarda la violenza sessuale, 1.7%.

Tentando una sintesi, con tutti i limiti dichiarati, si vede una debole correlazione fra il pericolo percepito e l’esperienza reale da parte del campione intervistato. Il confronto con i dati reali ci dice che, con alcune significative eccezioni come i reati informatici e la criminalità giovanile, il quadro generale è soltanto in leggero aumento mentre la percezione di pericolo del campione cresce  in modo proporzionalmente maggiore. Questa percezione deriva quindi, come era prevedibile, in gran parte dall’informazione proveniente dal sistema mediatico

Su che cosa agisce il sistema mediatico? Scientificamente, e per scelta, sulla nostra risposta emozionale. Se analizziamo l’evoluzione del linguaggio della TV generalista, con lo sdoganamento di termini volgari una volta tabù e oggi usati disinvoltamente anche da sofisticate conduttrici di talk show, se osserviamo l’aggressività in ogni occasione di incontro, sia che si tratti di sport, di politica, di cultura (!), se ogni seduta del Parlamento viene descritta come “incandescente”, possiamo capire la deriva. Abbiamo aggiunto al lessico di parole straniere (gli americani arrivano sempre primi in questa gara) il termine “haters”, gli odiatori, quasi fosse una categoria professionale. I social media, dove ogni occasione scatena ondate di odio da tastiera con la protezione dell’anonimato, sono il loro terreno di elezione. Il linguaggio è azione, scriveva Heidegger.

Che cosa, al netto delle difficoltà oggettive, spiega il diffuso senso di insicurezza, l’aggressività, la perdita progressiva della cortesia? La parte del nostro cervello che gestisce la risposta emozionale è il sistema limbico, in particolare l’amigdala. Lo stesso meccanismo che gestisce la nostra risposta ai segnali di pericolo. Il cerchio si chiude.


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