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Mercedes Bresso e Claude Raffestin

Il racconto. Un Natale nel West

Aggiornamento: 15 ore fa

di Mercedes Bresso e Claude Raffestin


La Porta di Vetro, così come è accaduto nel 2020 e nel 2021 [1], ospita un racconto natalizio di Mercedes Bresso, questa volta scritto insieme con il marito Claude Raffestin. E' un piccolo dono virtuale unito agli auguri di buone feste per i lettori del sito.


Il generale Edward Swan, comandante della guarnigione di Tucson, in Arizona, era preoccupato per la mancanza di notizie da parte  di un distaccamento collocato a un centinaio di chilometri, in una zona montagnosa.

Si trattava di un Forte che doveva fronteggiare spesso attacchi di indiani Navajo, che cercavano di impadronirsi delle riserve di cibo e di armi, uscendo dalle riserve in cui erano stati confinati.

Si era in dicembre e tutti sapevano che in periodo natalizio il forte avrebbe ricevuto delle forniture straordinarie di cibo e bevande, insieme alle quali sarebbero arrivati anche dei fucili più moderni. Il comandante temeva che gli indiani cogliessero questa occasione per cercare di impadronirsene.

Decise quindi di inviare un giovane ufficiale arrivato da poco da West Point, la scuola allievi ufficiali, con un messaggio per il colonnello che dirigeva la fortezza. Fece chiamare Mark Braun, che si  precipitò nella sua divisa ancora nuova fiammante.

“Buongiorno tenente, ho una missione molto delicata da affidarle: deve portare un messaggio importantissimo al Forte di…. Partirà domattina e conto su di lei per consegnarlo al più presto!”

Il tenente scattò sull’attenti:

“Certamente Generale, sarò degno della sua fiducia: il distaccamento riceverà il suo messaggio in brevissimo tempo”.

Si ritirò, trascurando di dire che il comandante del Forte era suo padre e che, naturalmente, era lieto di avere l’occasione di incontrarlo dopo tanto tempo. Il Generale si accomodò alla scrivania e iniziò a scrivere il messaggio, che poi sigillò, sorridendo.

Mark si preparò con cura, scelse il cavallo migliore, scelse le armi, si fece marcare su una carta il percorso da fare, preparò una scorta di cibo (ci volevano circa tre giorni cavalcando veloci per arrivare ), un sacco a pelo per la notte, anche se contava di dormire pochissimo. Infine infilò in una tasca interna della giubba un piccolo oggetto, una cosa personale.

La mattina dopo prima dell’alba era già pronto e si avviava verso la sua destinazione. L’aria era piuttosto fredda ma gradevole. Il sergente maggiore che lo aveva  istruito gli augurò buona fortuna e gli raccomandò di stare molto attento agli indiani che si temeva fossero di nuovo sul piede di guerra.

“Non si preoccupi, sarò prudente, non ho certo l’intenzione di farmi uccidere prima di Natale e poi ho un messaggio importante da portare al Forte”. E uscì verso quello che per lui era l’ignoto, molto meno sicuro di quanto volesse far credere.

Cavalcò verso la sua meta per tutta la giornata, facendo solo delle pause per far riposare il cavallo, mangiare qualcosa e fare il punto sulla sua carta. La prima parte del percorso era in una pianura arida che permetteva di vedere lontano: ogni tanto, il tenente si fermava per esplorare l’orizzonte con il suo cannocchiale alla ricerca di segnali che indicassero una presenza umana, che in quella zona poteva essere solo di indiani, ma in nessuna delle sue soste vide nulla di inquietante.

Quando la luce cominciò a calare si guardò intorno per cercare un posto protetto dove passare la notte; intendeva ripartire alle primissime luci dell’alba ma non riusciva a trovare nulla. Finalmente, quando ormai era quasi buio, vide profilarsi all’orizzonte una sorta di monolito rossastro che gli parve un buon posto per fermarsi.

Era ancora lontano, ma il giovane incitò il cavallo che mostrava segni di stanchezza e riuscì ad arrivare in prossimità della grande roccia alla luce di una luna quasi piena. Le girò intorno, gli pareva liscia e senza fessure ma finalmente scorse una spaccatura verticale, nella quale si erano inserite delle piante, il che faceva pensare alla presenza di acqua. Scese da cavallo e si inoltrò in quella specie di fenditura al fondo della quale si vedeva una piccola pozza di acqua, intorno alla quale vorticavano sciami di insetti e qualche uccello. Si protesse il volto con il foulard che aveva intorno al collo, tornò indietro a prendere il cavallo che fece abbeverare e legò al palo di un gracile albero. Poco distante trovò un posto adatto per sistemarsi per la notte.

Non poteva accendere il fuoco che sarebbe stato visto anche da molto lontano in quella desolata pianura, per cui dovette accontentarsi di qualche galletta e di un po’ di lardo affumicato. Per prudenza bevve solo dalla sua borraccia. Infine si coricò: era molto stanco e piombò subito in un sonno inquieto e agitato. Nei suoi sogni vedeva degli indiani  dall’aria minacciosa avvicinarsi al suo nascondiglio.

Ma quando, all’alba, si svegliò non c’erano dei guerrieri ma solo un ragazzino con alcune caprette, che stava portando a bere in quella che, apparentemente, era una delle poche sorgenti della zona. Il bambino spiegò a gesti che veniva da una fattoria poco distante, fece bere le sue bestie, riempi un recipiente di acqua e si allontanò rapidamente guardandosi indietro con aria impaurita.

Il tenente si affrettò anche lui a partire avendo capito che quel luogo doveva essere piuttosto frequentato. Il primo giorno di viaggio era stato abbastanza tranquillo e l’ufficiale cominciava a sentirsi un po’ più sicuro: fece il punto sulla sua direzione e si avviò verso la meta. La pianura cominciava a restringersi e le montagne a essere più vicine.

Dopo qualche ora giunse all’imbocco di una valle che si inoltrava fra alte montagne. Si guardò intorno con un po’ d’inquietudine, sembrava un posto perfetto per un’imboscata ma non si vedeva nessuno e d’altronde in base della sua carta non esistevano altri percorsi ragionevoli, l’alternativa era scalare delle montagne impervie con il rischio di perdersi. Decise quindi  di affrontare il rischio e si inoltrò nella valle.

Galoppò per alcune ore senza incontrare nessuno, arrivò in un punto in cui la valle si allargava ed era attraversata da un torrente nel quale in quel momento scorreva un po’ di acqua. Decise di fermarsi per fare una sosta e abbeverare, nutrire e fare riposare il cavallo: poco più in là la strada iniziava a salire verso il passo che la carta indicava a 1200 metri di altezza.

 Mentre beveva e si rifocillava, si guardava intorno: a un certo punto vide su un sentiero che saliva sul lato della montagna delle tracce evidenti del passaggio di cavalli, escrementi e tracce di zoccoli in un tratto in cui c’era dell’umidità.

Non era un esperto ma gli parve che non potesse trattarsi che di indiani, in quella zona non c’erano fattorie o altri insediamenti. Probabilmente al di là del colle si doveva  trovare un villaggio indiano. Si chiese se fossero ostili e rappresentassero quindi un pericolo per lui. Non sapeva bene che cosa fare, decise quindi che l’unica cosa giusta era partire subito e cercare di andare  il più in fretta possibile. Cosa che fece immediatamente.

Galoppò lungo la strada che iniziava a a salire senza rendersi conto che, in realtà gli indiani lo avevano già reperito e controllavano il suo percorso dall’alto delle montagne che costeggiavano la valle. Avevano fatto rapporto al loro capo il quale aveva dato ordine di seguirlo ma, per ora, di non intervenire.

Dopo alcune ore giunse al passo che doveva superare e davanti a lui si aprì una ripida discesa che portava verso una grande pianura più verde di quella arida che aveva lasciato dietro di sé. Si rese conto che dall’alto sarebbe stato perfettamente visibile e iniziò a preoccuparsi. Alzò gli occhi verso le montagne e solo allora vide un indiano che dall’alto palesemente lo seguiva.

Non sapeva che cosa fare: decise di effettuare la discesa il più rapidamente possibile contando sul fatto che in pianura sarebbe stato molto meno reperibile.

Giunse alla fine della lunga strada quando ormai il sole stava per tramontare all’orizzonte e si trovava proprio nella direzione della sua marcia.

La pianura, come aveva osservato dall’alto, era verde e piuttosto fertile e in lontananza si iniziavano a vedere le sagome di alcuni ranch. Il forte verso cui era diretto non era più molto lontano ma non poteva certo raggiungerlo prima di notte, avrebbe dovuto quindi dormire ancora all’aperto. Iniziò a guardarsi intorno per cercare un posto adatto alla sosta, anche se intendeva avanzare ancora un po’, per via soprattutto di quell’indiano visto in alto che non faceva presagire nulla di buono.

All’improvviso davanti a lui si stagliarono tre figure a cavallo: degli indiani armati di fucili, immobili contro il cielo rosso del tramonto e con l’aria minacciosa. Si chiese che cosa fare: non aveva nessuna esperienza di come ci si dovesse comportare: pensò ai consigli che gli aveva dato il sottufficiale che lo aveva aiutato a preparare la missione.

“Non provochi gli indiani, tenente, se li incontra li guardi dritto negli occhi, tenga il fucile bene in vista ma non attacchi mai per primo: di solito sono pacifici ed escono dalla loro riserva solo quando hanno bisogno di qualcosa“.

Seguì il consiglio: imbracciò il fucile, come loro, e avanzò nella sua direzione, scartando solo un po’ per evitarli.

I tre non si mossero, stettero a guardarlo passare e lo seguirono con gli occhi mentre avanzava nella pianura. Dopo qualche minuto il tenente si girò per osservarli e vide che erano partiti e stavano ritornando verso le montagne. Evidentemente non lo avevano ritenuto pericoloso.

Cavalcò ancora per tutto il tempo in cui riuscì a vedere la strada e trovò poi un gruppo di alberi che delimitava una piccola radura dove si preparò il giaciglio per la notte. Dormì un sonno agitato, svegliandosi molte volte per controllare se arrivasse qualcuno ma non successe nulla e, al mattino, la grande pianura appariva deserta.

Malgrado ciò l’inquietudine restò forte per molte ore. Poi, a poco a poco, iniziò a incontrare dei ranch, nel primo dei quali gli offrirono un caffè. Seduto al tavolo con i contadini raccontò della sua missione e delle sue avventure. Il proprietario sorrise:

“Tenente, capisco le sue paure ma, mi creda, qui gli indiani sono piuttosto tranquilli, se non vengono disturbati o maltrattati. Non credo che avrebbero aggredito un ufficiale da solo, che non rappresenta certo un pericolo. Comunque sempre meglio non fidarsi, con gli indiani non si sa mai, solo qualche anno fa hanno tentato di aggredire il villaggio!”.

Era ora di partire, Mark ringraziò e si fece dare delle informazioni sul percorso per arrivare al Forte. Passarono molte ore prima di vederlo stagliarsi all’orizzonte, massiccio ma non molto imponente: un piccolo avamposto in una zona ancora in via di colonizzazione. E finalmente arrivò: lo videro da lontano e aprirono il grande portone. Entrò e al sergente che andò a riceverlo diede il suo nome e spiegò la ragione della sua venuta.

Il sottufficiale lo guardò con stupore: “Ma è parente del  Colonnello Braun, il nostro comandante?”.

Il giovane arrossì: “Sì, in effetti sono suo figlio, ero appena arrivato alla sede di Tucson, quando il Generale mi incaricato di una missione urgentissima qui al Forte, credo senza sapere che qui c’è mio padre..”

Il sergente si era ripreso: “Comunque, benvenuto, preferisce che le assegni un alloggio per ripulirsi un po’ prima di andare dal colonnello?”

“Grazie sergente, no il messaggio è urgentissimo, preferisco parlare subito al colonnello, ho trovato degli indiani lungo il percorso, non sembravano avere intenti malevoli ma preferisco riferirgli tutto.”

Fu dunque condotto al quartiere generale, dove il colonnello, avvertito del suo arrivo lo stava aspettando. Entrò, salutò e si mise sull’attenti: “Colonnello, sono qui in missione, porto un messaggio urgente del Generale Swan, comandante di Tucson”.

“Riposo, riposo, tenente”.

E poi aggiunse: “Benvenuto Mark, sono lieto di accoglierti in questa tua prima missione. Vieni ad abbracciarmi“. Cosa che il tenente si precipitò a fare. Ma aveva ancora da compiere quello per cui era venuto: aprì la giubba e tirò fuori il messaggio del generale e lo consegnò al colonnello, che lo prese, si avviò verso la sua scrivania, sedette e iniziò a togliere i sigilli. Mark era rimasto in piedi senza sapere che fare.

Il colonnello alzò la testa e gli disse: “Grazie, tenente, il sergente Parson la accompagnerà al suo alloggio, la aspetto fra due ore per la cena al circolo ufficiali”. Uscì accompagnato dal sottufficiale, un po’ deluso di non aver saputo quale era il messaggio che aveva portato. Il colonnello, intanto, aveva aperto il plico e iniziato a leggere: “Caro Donald, ti mando questo messaggio per avvertirti che a breve invierò una spedizione con i nuovi fucili a ripetizione che ci devono arrivare dalla capitale. Sono molto più efficienti di quelli che usiamo ora e renderanno più forte la tua guarnigione. Fate quindi attenzione agli indiani: sarebbe gravissimo se riuscissero a intercettare l’invio e a impadronirsene. Ti invio questo messaggio, insieme ai miei più calorosi auguri di Buon Natale e sarà tuo figlio a consegnartelo. È arrivato di recente dalla scuola allievi ufficiali ed è ansioso di rendersi utile. Così ho pensato di anticiparti la notizia dei fucili mandandolo da te prima delle feste, in modo che possiate passarle insieme. Naturalmente per tutti questa resterà una missione della massima importanza, un onore per il tenente Braun. Buon Natale e buon anno. Tuo Edward Swan”

Il comandante sorrise e apprezzò la cortesia e lo spirito con cui il generale gli aveva mandato il figlio che non vedeva da tanto tempo. Alla sera, alla fine della cena degli ufficiali, il colonnello si alzò e propose un brindisi: “voglio farvi sapere che il tenente Braun, che è anche mio figlio, ci ha portato un messaggio molto importante: a breve riceveremo i nuovi fucili a ripetizione, che ci renderanno molto più forti. Insieme a questo messaggio il generale Swan ci ha anche inviato i suoi auguri natalizi. Brindiamo in suo onore e a quello del tenente che ce lo ha portato e che passerà le feste qui con noi!”.

Tutti levarono il bicchiere in direzione del giovane ufficiale che, tutto orgoglioso, si alzò e si inchinò per ringraziarli. Poi si alzò, frugò nella giubba, ne tirò  fuori qualcosa, si avvicinò al padre e gli disse piano: “Ho qui anche un regalo per te, la medaglia che ho ricevuto come primo del mio corso”.

Il padre lo ringraziò, quel suo figliuolo era davvero bravo, fu contento che in quel periodo gli indiani fossero piuttosto pacifici. La serata continuò, con gli ufficiali che facevano a gara per raccontare storie raccapriccianti di assalti indiani, lieti di vedere impallidire il loro giovane collega. Il colonnello li osservava con un piccolo sorriso, sarebbe stato un bel Natale. Di quella missione, che col passare del tempo gli sarebbe apparsa sempre più pericolosa, Mark sarebbe andato fiero per molto tempo.


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