Il PCI di Berlinguer e il dialogo a distanza con i cattolici e monsignor Bettazzi
Aggiornamento: 19 giu
di Gaspare Enrico
In occasione del quarantennale della morte di Enrico Berlinguer un aspetto interessante da ricordare e su cui riflettere, oltre a quelli squisitamente politici, è la spinta da lui impressa sui temi religiosi, come peraltro ha sottolineato Piera Egidi Bouchard in un precedente articolo.[1] E le lettere pubbliche scambiate nella seconda metà degli anni Settanta con monsignor Luigi Bettazzi, Vescovo di Ivrea, restituiscono in questo ambito quella profondità e fecondità dialogante del pensiero politico dell'allora segretario del Partito comunista italiano, che più di mille parole spiegano anche la mitizzazione della sua figura tra i contemporanei.
Il 6 luglio del 1976 monsignor Bettazzi scrive una lettera aperta a Berlinguer nella quale prende atto del ruolo che svolge il PCI in Italia e nel mondo e lo stimola a far conoscere meglio a quale sia lo Stato e la società cui i comunisti italiani pensano e per i quali si impegnano. Scrive il presule: “un partito, come il Suo, professa esplicitamente l'ideologia marxista, evidentemente inconciliabile con la fede cristiana. Piuttosto, quello che può farci pensare è il vostro atteggiamento (confermato dalle posizioni ch'Ella ha assunto pubblicamente sul piano internazionale), che sembrerebbe tendere a realizzare un'esperienza originaria di comunismo, diversa dai comunismi di altre nazioni”.
Nella lettera tuttavia, oltre alle richieste esplicite riferite al PCI, si adombra l’intenzione di lanciare ai cattolici lo stimolo ad essere politicamente coerenti con la loro fede. In precedenza infatti, Bettazzi, a seguito di alcuni scandali legati a tangenti, aveva già scritto a Benigno Zaccagnini, segretario della Democrazia cristiana, sul tema dell’onestà.
Il rapporto con la politica, per monsignor Bettazzi, è sempre stato importante e un confronto è sempre stato cercato ed era un confronto che tentava di indagare il rapporto tra la filosofia/ideologia e l’azione quotidiana svolta dalla politica, dai suoi uomini; i richiami ideali e l’attività concreta.
Bettazzi, a distanza di alcuni decenni dalla lettera, ricorda le encicliche di Papa Giovanni e quella differenza indicata nelle encicliche: «Papa Giovanni aveva indicato nell’enciclica Pacem in terris le differenze tra l'ideologia marxista e la politica dei comunisti, i cui elettori non erano tutti per Marx, ma pensavano che difendesse meglio i lavoratori e i loro problemi. Come vediamo, a distanza di decenni i temi legati all’onestà e alla trasparenza sono di stretta attualità anche oggi, quando il vero ateismo è quello che mette al di sopra di tutto e di tutti il grande idolo del denaro».
E nella lettera insiste scrivendo che molti votano il PCI per quello che il PCI fa e per come li rappresenta, non per la visione della storia e per come i comunisti governano nel mondo.
La risposta di Berlinguer (7 ottobre del 1977) dopo una serie di precisazioni filosofiche/ideologiche (“Il Partito comunista italiano come tale, e cioè in quanto partito, organizzazione politica, professa esplicitamente l'ideologia marxista, come filosofia materialistica ateistica? Proprio per i chiarimenti sopra dati, risponderei di no”), si colloca nella stessa ottica; fin dall’inizio ribadisce che molti lavorano ogni giorno nel partito proprio a prescindere dalle convinzioni ideologiche, filosofiche, religiose. Esplicita come la vita di partito non sia regolata da visioni totalizzanti, da una ideologia marxista, da una filosofia materialistica e ateista, ma da un dibattito e una ricerca perseguiti per raggiungere l’unità possibile, in un partito che vuole essere di classe, di massa, di popolo, non settario e integralista, impegnato nella ricerca di alleanze democratiche, dell’unità di tutti i lavoratori, delle grandi correnti popolari, delle forze democratiche.
Berlinguer scrive anzi che la fede religiosa non solo non è incompatibile con le idee del Pci, ma è una condizione che può stimolare il credente a perseguire un rinnovamento della realtà in senso socialista.
Lo scambio delle lettere sono fatti politici remoti, ma ancora troppo prossimi per un’analisi storica compiuta. Alcuni punti tuttavia mi pare siano chiari.
La volontà di Berlinguer era di uscire dalla conventio ad excludendum e riteneva che fosse necessario liberare il Pci dall’ideologia marxista-leninista. Tuttavia non introduce sostanziali novità dottrinali rispetto a Togliatti; la sua grande novità sta nell’elaborazione politica, ad esempio nella proposta del compromesso storico.
Sapeva che senza un rapporto non conflittuale con la Chiesa non avrebbe mai avuto spazio per portare tutte le masse popolari al governo.
Con la lettera di risposta a Bettazzi, in realtà Berlinguer realizza una novità importante. Infatti, nella lettera veniva affermato che il PCI era un partito “né teista, né ateista, né antiteista”. Sino alla segreteria di Luigi Longo (1972) le cose non stavano così. Ideologicamente il partito era ateista, solo che politicamente non faceva di questo ateismo un argomento per selezionare i propri aderenti.
Riguardo alle lettere vi furono perplessità in entrambi gli ambiti, nel PCI e nella Chiesa. Per le gerarchie ecclesiastiche la chiusura fu pressoché totale e lo ha confermato lo stesso Bettazzi in libri e interviste, perché sostenevano che quella di Berlinguer e del Pci era pura tattica.[2]
Non solo la gerarchia ecclesiastica discusse su quella lettera aperta, ma anche la base della Chiesa eporediese espresse i suoi dubbi sull'opportunità di quel gesto così forte di Bettazzi. La richiesta di spiegazioni, ufficiale e ufficiosa, arrivava da più parti con insistenza. E monsignor Bettazzi, noto per aver espresso più volte idee non in linea con le posizioni ufficialissime della Chiesa, non si è mai sottratto al dialogo. «Per spiegare i motivi della lettera che avevo scritto al segretario del Pci, che creò qualche problema all'interno della diocesi - ricordò - feci un primo incontro con tutti i sacerdoti della diocesi quindi uno in tutte le undici vicarie. Gli incontri servirono a chiarire la situazione e tutti accolsero la mia iniziativa anche se non tutti la condividevano».
Tuttavia, al di là delle precisazioni ideologiche prevale nelle lettere, prima di tutto, la valorizzazione della politica praticata e in modo altrettanto forte mi pare prevalga pure un aspetto culturale. Due uomini e un’analoga tensione culturale/politica: impegno per una coerenza reale tra le idee praticate e l’azione concreta quotidiana. Da questo punto di vista le lettere restano attualissime.
Note
[2] Cfr. Luca Rolandi, Michele Ruggiero, Ricordi, vita e pensiero in Luigi Bettazzi, arabAFenice, 2017, p. 8
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