Il magazzino delle risorse virtuali
Aggiornamento: 23 nov 2023
di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi
La rivoluzione non voluta, provocata dal Coronavirus insegnerà che, come ai tempi dell’antica Roma o nell’Egitto dei faraoni, risulta quanto mai opportuno creare granai per sfamare la popolazione in periodi di crisi. Panem et circenses, garantivano pace e divertimento: il problema è che ora i circhi sono chiusi e se si blocca la produzione, anche il pane può venire meno con grave nocumento della tranquillità sociale. Perché ci siamo fatti trovare senza magazzini?
Nel 123 a.C., Gaio Sempronio Gracco, tribuno della plebe, a dieci anni dalla morte del fratello Tiberio, cominciò a realizzare magazzini pubblici, horrea romane, che, con gli statio annonae e la possibilità di rifornire l’Urbe anche da province lontane (Gallia, Tracia, Dacia ed Egitto) hanno, per secoli, assicurato gli elementi essenziali per la sopravvivenza. La sola horrea Galbana disponeva di più di 140 locali disposti su più di 21.000 mq. In primis si accumulava grano, ma ben presto s’immagazzinò di tutto, tanto che alcuni di questi si trasformarono in vere e proprie banche per la loro capacità di concedere prestiti in natura.
Considerato come la nostra società si è lasciata colpire sprovvista di elementi essenziali, quali le mascherine, i respiratori, etc., è ovvio che la mente vada a soluzioni elaborate nel passato. Forse non sarà necessario predisporre magazzini con i beni che sono stati necessari per contrastare il virus, perché non è detto che siano gli stessi che serviranno in futuro: del pane c’è n’è sempre bisogno, delle riserve petrolifere strategiche ci si era predisposti per non sottostare al giogo dei produttori, ma d’immagazzinare mascherine, nessuno ci aveva pensato. E forse non serve perché un’economia di guerra si caratterizza nel trasformare velocemente la sua produzione in quello che richiede il fronte, così oggi, per combattere la guerra non dichiarata, occorre riconvertire velocemente la produzione in ciò che serve.
Con le capacità produttive delle società, dopo un primo sbandamento, ha cominciato a inviare sul fronte nuove munizioni: dalle grandi industrie tessili ai sarti del Teatro Regio c’è stata una corsa a contribuire alla macchina da guerra antivirus e, se la battaglia sarà vinta, sarà anche grazie a loro.
Se per i beni materiali si potrà trovare una, più o meno, rapida soluzione, più fantasioso è riuscire a creare dei magazzini dove concentrare le risorse immateriali per affrontare periodi di crisi prolungata (e per contrastare il mindvirus, il virus che si insinua nella mente, forse altrettanto pericoloso). Il coronavirus ha evidenziato carenze e deficienze della nostra società: dall’isterismo collettivo ed individuale, all’incapacità di rispettare le regole per più di una settimana, dall’impossibilità a trovare una strategia comune nel combattere il “nemico”, al mantenimento di un’infinità di lacci e lacciuoli, dalla carenza di management alla facile rincorsa alla demagogia. Per combattere queste lacune si dovrebbe “immagazzinare” dei valori però ahinoi scomparsi nella nostra società, come l’“autodisciplina” che avrebbe dovuto sostituire la ferrea disciplina. Ma l’avvicendamento deve essersi inceppato da qualche parte.
Diventato démodé il concetto di addestramento militare con la soppressione del servizio di leva (anche se il senso civico che riesce a generare in paesi dove si conserva ancora una formazione specifica, come Svizzera, Svezia, Norvegia, Israele, costituisce un valore aggiunto d’indubbio valore) si è cominciato a trascurare anche il concetto di disciplina come forma di educazione delle diverse componenti sociali, fino al punto di non più far interiorizzare i doveri che ogni soggetto, componente della collettività, deve perseguire per garantire la convivenza sociale e il raggiungimento degli scopi assegnati.
Il Sergente di ferro nell’esercito (e pensiamo a cosa succederà a questo Paese quando non avremo più l’abnegazione delle varie associazioni d’Arma, alpini in primis) e il rigore delle discipline scientifiche che hanno mantenuto vivo in qualche oscuro laboratorio il senso di l’utilità nell’adempimento dei doveri e l’accettazione di rigorosi criteri. Fuori da queste oasi, il concetto di disciplina è stato annacquato dalla crescita culturale di una élite che si è illusa in un generale processo di apprendimento dei principi governanti una società.
La condivisione e l’esempio sono sicuramente i propellenti che maggiormente possono portare alla diffusione di comportamenti sociali corretti, ma non sempre sono sufficienti. La rivoluzione non voluta provocata dal coronavirus pone con drammaticità (e anche con un po’ di tristezza) come non sempre sia sufficiente l’autodisciplina. La cosa funziona in Svezia dove al ministro della salute è bastato “invitare”, fornendo le dovute indicazioni, di rispettare le basilari norme anticontagio, affinché la stragrande maggioranza della popolazione si adeguasse. In altre parti del mondo si parla, invece, di droni che sparano sulla gente per far rispettare le stesse norme.
Nell’Italia dei furbetti ci associamo subito alle belle dichiarazioni, ma poi nei fatti tentiamo di eludere le prescrizioni, alla prima occasione utile. Il Covid-19 si può vincere solo con un’azione in grado di coinvolgere tutte le componenti della società, portando i comportamenti di massa ad un livello di efficienza tali da permettere il raggiungimento dell’abbattimento del contagio. La drammaticità della situazione obbliga però tempestività e sollecitudine nell’azione e se queste non si realizzano, occorre ritornare a soluzioni meno evolute, ma di maggior efficacia nel brevissimo periodo.
L’immaginare un magazzino virtuale dove stoccare, management, flessibilità operativa, disciplina e soluzioni alternative, compreso il potenziamento dei supporti informatici, da attivare quando si riescono a superare le resistenze dei burocrati (l’Italia è colpevolmente agli ultimi posti in Europa, nell’attivazione dei sistemi di smart working) diventa così un ipotesi per il futuro. Recuperando la saggezza degli antichi romani la rivoluzione non voluta del coronavirus obbligherà a gerarchizzare gli interventi avendo cura di prevedere un insieme di soluzioni da renderci meno impreparati alla prossima emergenza.
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