Il Governo cerca soldi... avanti con i concordati preventivi
di Anna Paschero
Il Governo ci riprova ancora: dopo i primi due tentativi, entrambi fallimentari (vedasi articolo “Vent’anni dopo: come i “Tre moschettieri”, ritorna il fallimentare concordato preventivo” del 2 novembre 2023)[1] è appena stato varato il decreto legge che estende la finestra temporale per aderire alla sopradetta misura al 12 dicembre 2024. Poco più di un mese per convincere le partite IVA e i forfettari a definire, in accordo con il fisco, una quota fissa di imposte da pagare per due anni, a prescindere dall’effettivo reddito conseguito.
Anche se i vantaggi per gli interessati sono molteplici (nessun controllo per due anni, ravvedimento per le annualità non ancora accertate, con l’applicazione di una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, relative addizionali e dell’ IRAP) solo una piccola percentuale dei possibili fruitori (l’11 per cento) ha aderito a tale strumento.
Le ragioni, secondo alcune fonti, sono da ricercare nella complessità burocratica e nelle spese aggiuntive richieste per la necessaria consulenza fiscale. Ma c’è anche chi sostiene che i dati del Ministero pubblicati nell’ultimo rapporto ("Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva dell’anno 2024") non sono fedeli alla realtà perché l’evasione stimata a carico dei lavoratori autonomi non sarebbe così elevata, come si vorrebbe far credere. Di qui la mancanza di interesse da parte dei soggetti interessati perché lo strumento è rivolto principalmente a quella platea di contribuenti dove l’evasione, secondo il MEF, risulta più elevata, ovvero i lavoratori autonomi.
Guerra agli evasori? Parole, parole, parole...
Il nuovo tentativo risponde all’impellente bisogno di fare cassa da parte del Governo – l’obiettivo è quello di raggiungere i due miliardi di euro – da utilizzare per ridurre di due punti percentuali la seconda delle tre aliquote (dal 35 al 33%) e relative fasce di reddito dell’IRPEF che si intendono applicare nell’anno 2025. Al momento mancherebbero all’appello circa 700 milioni di euro perché finora solo l’11 % della platea delle partite IVA interessata (500.000 contro 4.500.000) ha aderito al concordato.
La dichiarata guerra alle tasse del Governo Meloni poggia quindi su risorse che – qualora venissero effettivamente realizzate – rappresentano entrate sporadiche che sarebbero destinate a finanziare una riduzione strutturale delle imposte sul reddito. Operazione del tutto discutibile a meno che di porre mano, annualmente, a modifiche delle aliquote fiscali, con buona pace dei principi di stabilità del prelievo fiscale.
Ma se davvero è intenzione del Governo Meloni quella di alleggerire il prelievo fiscale sulla cosiddetta classe media dei contribuenti italiani, come ha ribadito ancora ieri, 13 novembre, il ministro Giorgetti, anziché perseverare con enunciazioni e provvedimenti che incentivano a non pagare le tasse, (come condoni, concordati, etc.) potrebbe efficacemente spostare il peso del fisco sulle classi di reddito più elevate, in particolare sull’ultima, (contribuenti con oltre 300.000 euro di reddito imponibile) composta da 57.620 contribuenti (ultimo dato pubblicato dal Dipartimento delle entrate del MEF riferito all’annualità 2022) che fruiscono di un reddito medio di 608.335 euro.
Basterebbe assoggettare questi contribuenti ad un’aliquota del 49% - anziché del 43% - per ottenere oggi un maggior gettito a regime di circa 2 miliardi, destinato peraltro ad incrementarsi in quanto la platea considerata è risultata progressivamente in crescita nell’ultimo quinquennio, con buona pace dell’aumento, nello stesso periodo, della povertà nel nostro Paese.
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