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Mauro Nebiolo Vietti

I duellanti: storie di autostima (eccessiva) di Calenda e Renzi

di Mauro Nebiolo Vietti


Una componente essenziale della nostra personalità è l’autostima, cioè quell’indice che ci siamo costruiti sintetizzando i giudizi valutativi che abbiamo di noi stessi; ovviamente il livello di autostima è diverso per ciascuno e qui interessa piuttosto capire se può svilupparsi a livelli così irragionevoli da autodistruggersi ed allora occorre chiedersi che cosa la sostituisca; quando l’autostima, per quanto possa essere intensa, non priva il soggetto della capacità di osservare, di relazionarsi, di essere coscienti non solo delle proprie capacità, ma anche dei propri limiti potendo così valutare non solo le possibilità di successo, ma anche i rischi, allora l’individuo dispone di ottime risorse per valutare e decidere.

Ma c’è un limite, una linea rossa oltre la quale l’autostima non è più tale, ma si è trasformata in una torre d’avorio che imprigiona l’individuo e lo priva della capacità di essere un soggetto che si rapporta ad un mondo esterno. Nella torre d’avorio si vede solo se stessi in un perverso giochi di specchi che rimanda la stessa immagine come unico elemento di confronto.

In qualche misura si regredisce allo stato di bambino che non è ancora entrato nel procedimenti di formazione dell’autostima perché inizialmente animato da un senso di onnipotenza ed immunità; se si riflette, non possiamo non ricordare noi stessi quando si riteneva di poter fare tutto e lo si faceva e non vi era alcun timore di punizioni o divieti; per un bambino si tratta di una fase che dura poco, perché il senso di onnipotenza si scontra con i divieti e quello di impunità con le punizioni. Ma se in un adulto l’autostima si autodistrugge, collocando l’individuo nella torre d’avorio, si ricade in una condizione che, se pur diversa, ricorda la fase dell’infanzia ove tutto appariva possibile e nulla sembrava poter essere vietato.

Chi ha letto queste poche righe si chiederà con quali criteri è stata condotta la ricerca scientifica che invero c’è stata, ma è durata poco, potendo disporre di due cavie come Carlo Calenda e Matteo Renzi.

I due, che vorrebbero occupare lo spazio politico del centro, si trovano senza alcun merito in uno stato di grazia. Nel campo del centro-destra, le difficoltà di Berlusconi stanno appiattendo FI sullo schieramento di destra e in quello opposto, il centro-sinistra, l’elezione di Elly Schlein sposta il PD su posizioni più radicali.

Per il terzo polo, che aspira a raccogliere i consensi degli elettori del centro, si tratta soltanto di tenere la barra del timone saldamente dritta in attesa di raccogliere un probabile successo. Ma, fulminea come un ictus, l’autostima dei due si disintegra e così non abbiamo più due movimenti che vogliono lavorare insieme, ma due torri d’avorio che stanno vicine, ma non si parlano.

A Renzi siamo abituati, perché è un suo tratto psicologico già emerso; quando volle la riforma della Costituzione, la popolazione dei giuristi insorse e gli chiese di ritirarla, ma era già chiuso nella sua torre. Renzi si è sempre mosso bene, ma quando arriva al massimo del suo potenziale si inceppa, non vede, non sente (in compenso parla tanto) ed ovviamente decide di conseguenza.

Se di Renzi lo si sapeva, Calenda è una novità; è chiaro che chi aspira ad essere un leader gode di un forte senso di autostima, ma l’esagerazione porta all’isolamento. Prima è stata Emma Bonino, che da alleata in una notte è risultata inadeguata, poi Enrico Letta, con cui prima sigla un patto, ma poi ci ripensa. Con Renzi l'intesa è durata di più, ma è finita peggio.

I due mi ricordano un autore di parecchi anni fa, Piero Chiara, che sapeva rappresentare la mentalità di provincia dove si riusciva sempre a trovare due zitelle isteriche che si scambiavano battute velenose e, all’apice dello scontro, applicavano la massima sanzione sociale e cioè toglievano il saluto.

I due non ci sono ancora arrivati, ma fidatevi, manca poco.


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