Hamas-Israele: la tregua di Natale ancora a rischio
di Jacopo Maurizio Lami
Notizie contraddittorie su una possibile tregua fra Israele ed Hamas. Ieri sera l'ipotesi risultava davvero credibile perché in Egitto erano avviate le trattative dei servizi segreti egiziani (e per tramite loro con gli israeliani) con alcuni dei più importanti dirigenti di Hamas, fra cui Ismail Haniyeh e Khaled Mashal. Da notare che è la prima volta da quando è cominciata la guerra che i leader di Hamas rifugiati nel Qatar si spostano così lontano. Poi, nella notte, Wall Street Journal ha pubblicato le indiscrezioni di alcuni funzionari egiziani, secondo cui Hamas avrebbe rifiutato l'offerta israeliana di una pausa di una settimana nei combattimenti in cambio del rilascio di una quarantina di ostaggi prigionieri nella Striscia di Gaza.
Il che, se si osservano le cose da vicino, non è così paradossale. La trattativa, infatti, si basa su due richieste contrapposte: Hamas chiede di cessare il fuoco prima di ogni rilascio di ostaggi; Israele replica che vuole contemporaneamente il rilascio di almeno dieci ostaggi al giorno. Gli ostaggi di cui si parla, dice Tel Aviv, sono 108 ostaggi vivi e i corpi di 21 morti. Hamas sostiene però che sono di meno perché molti (si parla di sessanta) sarebbero morti sotto i bombardamenti e inoltre con altri si sarebbero persi i contatti a causa delle incursioni israeliane.
Alla ricerca della pace
L'opinione pubblica internazionale, la Lega Araba, il Vaticano, l'Unione europea, la Gran Bretagna, la Russia di Putin, la Cina, praticamente tutti stanno chiedendo al governo di Israele una tregua. Se ne sente un bisogno umanitario disperato dopo la tragedia, oramai molto prossima al genocidio, di oltre ventimila morti palestinesi (ma in realtà sono di più, perché ci sono almeno ottomila dispersi sotto le macerie a Gaza), insieme con i dati angoscianti sugli enormi rischi di epidemie specie fra i bambini a causa dell'acqua infetta. Numeri di un dramma collettivo enorme. E per quanto possa avere il sopravvento la pietas umana per i 135 soldati israeliani caduti in battaglia e per chi li piange, ora non esistono più attenuanti allo spirito omicida che sta avvelando Netanyhau e il suo il governo di estremisti e radicali religiosi.
La carneficina di Gaza spingerebbe tutto e tutti verso una tregua. Un esperto dei servizi segreti americani, tutt'altro che disinteressato, ha affermato che "se non si interrompe questa straziante punizione insensata di civili, se Israele non smette questa autentica strage di innocenti, finirà che al posto di Hamas ci ritroveremo con un nuovo ISIS direttamente sul Mediterraneo, senza contare che l'ISIS originale sarà quanto mai rinvigorito, vanificando gli sforzi di anni e anni per distruggerlo".
In effetti i risultati del pur necessario attacco di Israele nella Striscia di Gaza per smembrare Hamas non stanno corrispondendo alle previsioni. I motivi sono due: i miliziani si sono rivelati ben più numerosi ed equipaggiati di qualsiasi stima anteguerra, non a caso l'intelligence di Israele è sottoposta a nuove polemiche di fuoco; l'altro elemento, di natura strettamente strategica e altrettanto importante, ha rivelato quanto sia complicato imporre la propria superiorità di uomini e mezzi su un campo di battaglia ad altissima densità abitativa. Gli esempi, in proposito, non mancano, da Mosul contro l'ISIS a Grozny in Cecenia, fino alla mitica Stalingrado, per quanto le proporzioni di quello scontro epocale, per truppe impegnate e durata temporale sono tali da sfuggire ad ogni paragone. Si pensi che dopo 75 giorni di guerra, oltre trentamila obiettivi colpiti dall'IDF (erano appena 3400 durante l'operazione Piombo fuso e in quel 2009 sembrarono un'enormità) i militanti uccisi nella migliore dell'ipotesi sono settemila su un totale di oltre trentamila effettivi, al prezzo di almeno 14.000 civili innocenti, e questa è di gran lunga la stima più favorevole per Israele, perché altri esperti hanno valutato intorno a non più di tremila-quattromila nemici uccisi; inoltre il terreno sotto controllo di Israele nella Striscia di Gaza è pari a circa un quarto del territorio; infatti, oltre cento ostaggi sono ancora nelle mani di Hamas, nonostante le grandi promesse di Benjamin Netanyahu che all'inizio della guerra sembrava convinto di poter distruggere in quattro e quattr'otto Hamas.
Le menti dell'organizzazione palestinese
A preoccupare è anche il fatto che i due principali dirigenti dell'organizzazione combattente palestinese nella Striscia di Gaza sono ancora ben vivi nonostante i frenetici sforzi israeliani: Yahya Sinwar, 61 anni, nativo proprio di Khan Yunis, dove si combatte adesso, arrestato nel lontano 1988 per aver organizzato l'uccisione di due soldati israeliani e aver personalmente ucciso quattro informatori palestinesi, è un personaggio di grande spessore. Nei ventitré anni trascorsi nelle carceri israeliane, si rivelato duttile e astuto; negli interrogatori si mostrava gentile e ragionevole, disposto al compromesso; in realtà applicava la "taqiyya", cioè la menzogna ed inganno deliberati, comportamenti consentiti dalla religione islamica per confondere il nemico, anche simulando l'adesione ad un altro credo religioso. Quando fu liberato nel 2011, insieme con lui uscirono dalla carceri israeliane più di mille prigionieri palestinesi in cambio di un caporale catturato anni prima. Può sembrare una cosa incomprensibile, ma in realtà più che per riavere il prigioniero lo scambio venne fatto per stabilire una tregua fra Hamas e Israele.
Da quel momento Sinwar, che in prigionia ha imparato perfettamente l'ebraico e ha studiato a fondo la mentalità dei suoi carcerieri, ha fatto salti enormi nella gerarchia di Hamas, fino a diventarne il maggiore dirigente nella Striscia di Gaza. Ora è l'uomo più odiato dagli israeliani, perché è considerato la "mente" della grande incursione del 7 ottobre. Di lui ha detto il portavoce dell' esercito israeliano Richard Hecte: "Sinwar è il volto del male. È come Osama bin Laden. Questo spaventoso attacco è opera sua e per questo lo uccideremo". Benjamin Netanyahu a sua volta lo ha definito un "piccolo Hitler " e ha aggiunto che è "un morto che cammina". Forse, una proiezione, quest'ultima, della sua condizione politica...
"Abbiamo tentato di uccidere Deif cosi tante volte che alle volte ci chiediamo se sia un uomo vivo o un fantasma "
David Barnea, attuale capo del servizio segreto israeliano MOSSAD, parlando di Mohammed Deif, il capo militare di Hamas, sfuggito ad almeno sette blitz.
E poi c'è Mohammed Deif, 58 anni, "il fantasma" come con evidente timore cominciano a chiamarlo gli ufficiali dell'IDF, leader delle Brigate Ezzedim al Qassam, la sezione militare di Hamas. Da sempre appartiene al reparto più pericoloso dell'organizzazione, quella che si occupa di preparare ordigni da impiegare in attentati suicidi, specialmente in alberghi e ristoranti. Deif era così promettente come organizzatore di attentati da diventare l'allievo preferito del terribile Yahya Ayyash, "l'ingegnere" che era stato addestrato dagli iraniani e aveva importato in Israele gli attentati terroristici nella primavera del 1993. Nei due anni successivi Ayyash aveva organizzato ben nove attacchi suicidi che avevano causato un totale di 56 morti e 387 feriti. Fu ucciso il 5 gennaio 1996 dallo Shin Bet (il servizio segreto interno israeliano) con un telefonino esplosivo. Toccò a Deif prenderne il posto e organizzò subito una tragica serie di attacchi suicidi: ben sessanta morti per vendicare Ayyash.
In seguito Deif ha inventato la cosiddetta "strategia del sopra e sotto" per attaccare gli israeliani: sopra si impiegano i razzi qassan per colpire gli edifici; sotto si utilizzano i tunnel per spostarsi in sicurezza e rifornirsi di armi; il suo vero nome è al-Masri e il soprannome di Deif che si è scelto dice tutto: in arabo vuol dire "ospite" per sottolineare la ferma volontà di non fermarsi mai, di cambiare sempre rifugio, per non darla vinta agli israeliani; infatti, molti altri dirigenti del braccio armato di Hamas sono stati uccisi in raid di commandos o dai droni, ma lui è sfuggito ripetutamente alla morte, anche se in una terribile occasione nel 2014 ha perso la moglie ed almeno un figlio nel bombardamento della sua casa.
È diventato una leggenda fra le sezioni antiterrorismo dei servizi segreti di tutto il mondo per uno spettacolare, incredibile evento: gli israeliani riuscirono una buona volta ad individuare la macchina su cui viaggiava e mandarono un drone per chiudere il conto: il missile colpì l'auto in pieno, ma incredibilmente Deif, pur gravemente ferito riuscì ad uscire dall'auto.
Da allora Deif è sfuggito ad altri attacchi ed ha partecipato alla preparazione del 7 ottobre, occupandosi in particolare della preparazione dei reparti scelti, quelli che hanno guidato la furia omicida dei miliziani. Per questo è diventato uno dei bersagli principali, ma abile come sempre, finora il fantasma è sfuggito ai suoi cacciatori.
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