Green Deal e Rapporto Draghi, incroci per un futuro sostenibile
di Mercedes Bresso
Domani 30 ottobre, con inizio alle 17, è in programma nella Sala Colonne del Municipio di Torino il dibattito su "Green Deal e Rapporto Draghi: riformare senza rinunciare a un futuro sostenibile". Tra i relatori Mercedes Bresso, Stefano Corgnati e Alberto Maiocchi. Presiede l'incontro Domenico Moro.
Il grande ‘Patto per l’ambiente’ è stato senza dubbio la più importante attività della scorsa legislatura europea. Presentato dalla presidente Ursula von der Leyen nella sua allocuzione programmatica all’inizio del suo mandato, ha impegnato Parlamento e Consiglio in una attività legislativa frenetica che ha prodotto quasi 200 provvedimenti fra direttive, regolamenti e documenti di indirizzo.
L’intento era quello di rivedere tutta la legislazione europea e i relativi programmi di finanziamento, nella direzione di una economia e di una società ambientalmente sostenibili, rispettando altresì gli impegni presi in sede internazionale. E fissando due date per la decarbonizzazione parziale e totale dell’Unione (2035 e 2050).
Un progetto dunque di vastissima portata, se si considera che si trattava di rivedere tutte le normative europee (e poi di concerto quelle nazionali) perché tutte insieme producessero non solo il risultato di eguagliare le emissioni di CO2 ai prelievi in modo da avere un saldo netto uguale a zero, ma anche perché cambiassero completamente il nostro modo di rapportarci al resto della natura, creando un percorso di sostenibilità nel tempo lungo.
Le nuove norme, quasi tutte regolamenti immediatamente applicabili in tutta l’Unione senza bisogno di leggi nazionali, spingevano a ridurre le emissioni di CO2 e di altri inquinanti fino ad azzerare il saldo netto, ad esempio imponendo i veicoli elettrici, modificando le norme relative alle emissioni industriali, commerciali e civili, incentivando la produzione di energie rinnovabili in sostituzione di quelle di origine fossile, ma intervenivano anche sui rifiuti, sull’uso delle plastiche, sulla riduzione degli imballaggi, sulla durata e riparabilità dei prodotti, sulla spinta alla circolarità dell’economia, con il recupero e riutilizzo massimo dei rifiuti. Sostanzialmente si rivedevano tutte le norme UE sull’ambiente.
Ridare buona salute agli ecosistemi
Verso la fine della legislatura veniva anche approvato, fra mille polemiche, un testo simbolo della ricerca di un nuovo equilibrio fra la specie umana e il mondo vegetale e animale: il testo sul ripristino della natura, obiettivo del quale era individuare e catalogare i tanti danni che le attività umane hanno prodotto, nel corso dei secoli e soprattutto nel secondo dopoguerra, agli ecosistemi naturali, per poi provvedere a ripristinare al massimo possibile le condizioni di buona salute degli ecosistemi. Dico buona salute perché, soprattutto in territori come quelli italiani ed europei, nei quali ci sono stati millenni di interventi sugli ambienti originari, il concetto di ripristino è molto difficile da definire: pensiamo ai meravigliosi paesaggi toscani, che nulla hanno più degli ecosistemi originari ma che evidentemente non avrebbe senso cambiare, o agli alpeggi alpini….ecc.
Intervenire sugli alvei dei fiumi
La norma deve quindi essere interpretata con un piano, nazionale prima e in seguito regionale, essendo la pianificazione territoriale competenza delle regioni, che definisca quali ripristini debbano essere fatti per migliorare la biodiversità dei territori. E faccio un esempio: in questo momento ci siamo resi conto che se vogliamo ridurre il rischio di inondazioni disastrose, dobbiamo restituire a fiumi e torrenti la possibilità di divagare, dobbiamo cioè rinaturalizzare ovunque possibile gli alvei. Cosa che abbiamo fatto in Piemonte, nel 1994 quando ero assessore alla pianificazione territoriale, con il PTO (progetto territoriale operativo del Po) che protegge dall’edificazione tutta l’asta del Po (evidentemente dove è ancora possibile) in modo da ridare al fiume la possibilità di divagare all’interno del suo letto maggiore, tutela in particolare le confluenze con gli affluenti, che sono diventate, ovunque possibile, delle zone protette e riorganizza il sistema delle cave per creare dei grandi laghetti di ritenzione delle acque per i periodi di siccità e per i momenti di piogge eccessive. All’epoca fui accusata di essere matta a voler “far divagare i fiumi”, eppure oggi di fronte ai grandi problemi prodotti dall’intensificarsi di piogge torrenziali, questa è la ricetta che ci consigliano tutti gli esperti.
Preservare le foreste
Ignoro se il piano negli anni più recenti sia stato applicato con rigore e se si sia andati avanti con interventi analoghi per fiumi minori e torrenti, ma per ora il Po ha sempre tenuto e, dove gli interventi sono stati fatti, gli abitati sono stati messi in sicurezza.
Un altro intervento assolutamente necessario sarebbe sulle foreste e, in generale sui territori montani, sui quali l’UNCEM ( l’associazione dei comuni montani) sta facendo un lavoro progettuale e didattico di grande qualità.
Ho fatto questi esempi per spiegare come la più importante delle normative del green deal abbia bisogno di essere applicata con intelligenza, senza esasperazioni ma con coraggio e conoscenze tecniche. E questo vale per tutte le altre: noi dobbiamo affrontare l’adattamento e la lotta al cambiamento climatico con molto sapere, buone ricerche sul campo, coraggio, ma anche senza dimenticare mai il “principio di realtà“ che deve tenere conto delle persone, della storia e degli usi reali del territorio.
Una sfida epocale: la decarbonizzazione
Un secondo esempio riguarda l’altra sfida epocale del green deal: la decarbonizzazione. Qui, senza per nulla rinunciare all’obiettivo o prorogare i termini, dovremmo considerare che l’opzione “tutto elettrico” presenta una serie di ostacoli: anzitutto in caso di guerre o eventi naturali catastrofici, i veicoli elettrici sarebbero tutti fuori uso e servirebbe avere mantenuto qualche ridondanza, in secondo luogo fino a quando la disponibilità di energia da fonti rinnovabili non supererà il 100% del fabbisogno, ogni veicolo elettrico produrrà più CO2 e non meno. In terzo luogo il peso delle batterie e i tempi di ricarica per i veicoli pesanti, creano molti dubbi sulla possibilità di puntare solo sul tutto elettrico. In questo caso la norma europea ha violato il principio della neutralità tecnologica, che dovrebbe lasciare libere le imprese di raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione come meglio riescono. Ad esempio i biocarburanti usano biomassa che ha fissato CO2 recentemente e la emettono durante l’uso, con risultato zero in termini di CO2 in atmosfera (naturalmente ciò è meno vero per le zone urbane dove c’è un problema di concentrazione). Ma almeno per i veicoli pesanti sarebbero una buona alternativa per evitare che arrivati al 2050 si scopra che l’obiettivo era impossibile da raggiungere con la via obbligata prescelta. Stesso discorso vale per i carburanti sintetici e per l’idrogeno verde (prodotto ad esempio con l’energia eolica in eccesso).
Il principio della neutralità economica
Quello dei carburanti è solo un esempio, ma il principio della neutralità tecnologica dovrebbe essere introdotto con una norma generale che si applichi a tutte quelle già approvate senza nominarla: questo lascerebbe il mondo della ricerca, dell’innovazione e delle imprese libero di cercare le soluzioni migliori, più praticabili e meno costose e ridurrebbe l’opposizione che si sta organizzando contro tutte le normative del Green Deal. Serve insomma un patto con i ricercatori e gli imprenditori: siete liberi di cercare le soluzioni migliori, purché vi impegniate a rispettare gli obiettivi comuni.
Questo è anche sostanzialmente quello che dice il rapporto Draghi: servono molta ricerca e innovazione e, naturalmente servono molti soldi, perché questa è una svolta epocale per l’Europa e per tutti noi e necessita di enormi investimenti per riuscire a produrre il doppio risultato di un ambiente risanato e di una florida e competitiva economia europea.
Per concludere: il Green Deal è un progetto che la politica non può realizzare da sola: servono la collaborazione dei cittadini, delle imprese e serve uno sforzo di investimenti adeguato. Se ci riusciremo avremo vinto la sfida essenziale per questo nuovo secolo: garantire al tempo stesso il benessere della nostra specie e quello del resto della natura. Vogliamo e dobbiamo provarci.
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