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Giancarlo Rapetti

"Giuseppi" Conte, il nuovo Terminator della politica

di Giancarlo Rapetti


Il professor avvocato Giuseppe Conte, nel suo primo discorso alla Camera da Presidente del Consiglio, si definì “avvocato del popolo”. Italo Bocchino, direttore editoriale del Secolo d’Italia, in una recente trasmissione televisiva, si trovò a dover contrastare l’affermazione secondo cui le riforme istituzionali promosse dalla destra ci allontanano dalla democrazia rappresentativa e vanno verso il plebiscito per il capo. Non negò, ma non trovò di meglio che definire tutto ciò come “democrazia del popolo”: un lapsus interessante, perché si chiamavano “democrazie popolari” i regimi dei paesi dell’Est Europa soggetti al dominio sovietico.

L’abuso della parola popolo accomuna i populismi di ogni sponda. Come anche il disinteresse per gli atti concreti di governo che non siano finalizzati alla ricerca del consenso immediato. Tuttavia va riconosciuta una differenza, al momento, tra il populismo di destra e quello di altra sponda (non diciamo di sinistra, perché Conte avrebbe da eccepire). La destra è attiva ed efficace sulla propaganda, e ha dimostrato una straordinaria capacità di veloce occupazione di tutti i posti di potere con il criterio prevalente della fedeltà. In materia economico-finanziaria, però, si muove con una certa prudenza. Qualche “centrista” sostiene addirittura che in tale ambito il Governo Meloni stia percorrendo il solco del Governo Draghi. Notizia che, al pari di quella (falsa), a suo tempo, sulla morte di Mark Twain, appare “decisamente esagerata”. Va riconosciuto comunque che la destra sta esprimendo una certa attenzione complessiva ai conti pubblici, al di là della valutazione sulle singole scelte. Non si può dire lo stesso, stando agli anni recenti, per i populisti non di destra, la cui politica include un uso espansivo della spesa pubblica a debito. Si ricorderà che Conte incentrò la campagna elettorale del 2022 su due cose: “vi ho dato il reddito di cittadinanza” e “vi faccio rifare casa gratuitamente”, ottenendo un discreto risultato.

Il mondo politico si interroga sulle prossime mosse di “Giuseppi” (ora che Trump è ritornato, il nomignolo è più che mai di attualità). Fare previsioni è un modo sicuro per sbagliarle, ma ci si può limitare a tenere conto delle sue dichiarazioni, esposte con forza e determinazione. Conte non vuole farsi arruolare in nessuno schieramento, non vuole essere definito di sinistra, non vuole essere subalterno al Partito Democratico. Respinge, senza neppure cortesie formali, le profferte amorose di Bersani, il quale esprime spesso posizioni politiche discutibili, ma resta uno dei politici più simpatici e stimati. Questo punto è interessante: Conte vede una alleanza stabile come una forma di subalternità, quindi dichiara esplicitamente che farà alleanze solo e se ritenga gli convenga. Insomma il campo largo non esiste, ma, paradosso dei paradossi, decide comunque chi ci può sta e chi no: Calenda forse, Renzi no. Insomma, il messaggio è: io non ci sono, ma voi dovete comunque fare come dico io. Se farete come dico io, forse un giorno ci potremo incontrare.

Il PD, versione attuale, sembra stia ragionando così (forte anche della interpretazione estensiva dei suggerimenti di Prodi): per battere la destra, bisogna mettere insieme tutti gli altri, accettando qualunque cosa. Una china pericolosa, non solo per le sorti dell’Italia, dell’Europa e dell’Occidente, ma anche per quelle della propria leadership. Giuseppe Conte ha distrutto politicamente prima Salvini, poi Di Maio, infine Grillo. Può contare su un plafond (ultime politiche del 2022) di circa quattro milioni di voti, che non sono per niente pochi. Punta a non prendere impegni, ma a rendersi indispensabile e a imporre la propria agenda. Ha dimostrato di avere il talento naturale dell’animale politico. Ora anche Elena Ethel Schlein ha i suoi quattro quarti di nobiltà politica: non ancora quarantenne, in undici anni è diventata da volontaria della campagna elettorale di Obama a segretaria di uno dei maggiori partiti dell’Occidente, passando per il Parlamento europeo e la vice presidenza della Regione Emilia-Romagna. Non ha bisogno di consigli. Ma come si diceva una volta in caserma: “Elly, stai preoccupata”.


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