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Fronte ucraino: teoria e pratica della percezione della guerra

di Michele Corrado* 


È interessante vedere come possa mutare il sentimento o il senso della conseguenza verso qualcosa che si ritiene inverabile, salvo ritrovarsi nella condizione improvvisa di doverlo gestire di fatto. Sotto questo profilo, l'andamento della guerra in Ucraina è esemplare, ora che si è scoperto, dopo le suggestioni della controffensiva di Kiev, propalata ripetutamente dal presidente Zelensky, che i bollettini militari hanno preso una piega negativa per le sorti di quel Paese, e dell'Occidente che lo sostiene. La risposta dei governi occidentali, da Washington a Londra e all'Unione Europea, anche in questo caso come in altri, è stata quella di aumentare le risorse (denaro) dedicate alla crisi, cioè ridurre il tutto a puro sostegno economico, salvo "scoprire", con una buona dose di panico, che la risoluzione del problema non è soltanto in funzione della liquidità da mettere sul conto corrente del beneficiario.

Infatti, si sta percependo la caduta di un Paese che combatte valorosamente, ma che non riesce a vincere la sua guerra che l'Occidente ritiene giusta. Si chiede quindi di aumentare il sostegno per consentirgli di “vincere”. Dopodiché, si è anche "scoperto" che lo stesso Occidente “non può perdere” (come dichiarato da fonti ufficiali europee)  il conflitto per "procura" (parola orribile applicata alla guerra) con la Russia. Però, a nessuno sfuggirà che fra vincere e non perdere esiste una vasta gamma di risultati da approfondire e, soprattutto, di decisioni da prendere che sono la pre-condizione per ottenere quei risultati.

In primo luogo, dovrebbe essere spogliata di ogni forma di ipocrisia, la singolare affermazione che non si possono colpire obiettivi all’interno del territorio russo dai quali partono azioni offensive nei confronti dell’Ucraina, perché è come se si giocasse una partita di calcio impedendo ad una delle due squadre di superare la linea di metà campo. Il che è comunque un’interpretazione surreale - peraltro in contrasto anche con quanto sosteneva poco più di un anno fa Zelensky, ammaliato dall'arretramento delle posizioni russe - della condotta di operazioni militari, vista sia da una parte che dall'altra. E ciò, senza che sia necessario dare pagelle di "buon comportamento" ai contendenti, perché sappiamo bene che non vi è nessun esercito - e quello russo non fa eccezione, ricordiamo il massacro di Buča del marzo 2022 - che nella sua storia non abbia travalicato il codice internazionale sugli "usi e costumi di guerra", che non sia ricorso al sotterfugio, fino al disprezzo di qualsiasi forma di rispetto dell’avversario, che non abbia premuto sul pedale dell'acceleratore della contro informazione costante e continua dei componenti veri o presunti del suo fronte avversario. Dunque, perché si dovrebbe disquisire sulla possibilità di impiegare armamenti per colpire il territorio avversario in uno stato di guerra guerreggiata, quando si vuole vincere o comunque non perdere? Dura lex, sed lex.

Questo ci porta però direttamente allo stupore per la "scoperta" di forme di guerra che pensavamo non esistessero più. All'opposto, ci si deve arrendere all'elemento concreto che nella sua crudeltà ci ammonisce dal rinunciare a priori a essere padroni di certe capacità militari essenziali, pena la rinuncia alla nostra libertà decisionale. Un'altra dura lex, sed lex, che non ha parentela alcuna con l'abusata locuzione si vis pacem para bellum, perché proprio dal passato ci arriva la lezione del valore delle due "D", deterrenza e diplomazia, per mantenere l'equilibrio militare e la pace in Europa, all'epoca nel rapporto con l'allora Unione Sovietica e con il Patto di Varsavia.

Morale. È assolutamente inutile dotare gli ucraini di caccia F 16 se una volta dislocati i russi distruggono le basi con vettori partenti dal territorio russo. Creare un ombrello aereo difensivo è fondamentale per l’operatività di quegli assetti, come è fondamentale colpire le basi di partenza russe che ospitano vettori dedicati alla distruzione degli F 16 in Ucraina. Si potrà obiettare che il ragionamento prelude ad una escalation militare, ed è quanto di più vero si possa affermare, ma questo non significa che non sia giusto per l'esito della condotta di guerra se si "vuole vincere" o "non perdere". Infatti, per evitare la crescita esponenziale del conflitto contro la Russia, vi sono altri mezzi, ma tra questi non è contemplato quello di combattere l'avversario con una mano legata dietro lo schiena, per usare una figura retorica.

Non a caso, l'affermazione dei russi di colpire gli aeroporti di partenza degli F16 fuori del territorio ucraino, è quanto mai legittima, al di là delle loro reali intenzioni o capacità, ed è in linea con qualsiasi Dottrina sulla condotta delle Operazioni Militari. Del resto, è proprio la mancata conoscenza di questo tipo di cultura che porta all'incapacità di comprendere situazioni fondamentali per la sopravvivenza di uno Stato sovrano. E, quindi, allontana tutti noi dal comprenderne le altrui reazioni e, di conseguenza, dall'accettare le nostre stesse e inevitabili controreazioni.

Conclusione. Oggi è sempre più tortuoso scegliere e comprendere la strada da imboccare per farci uscire dal guado, se non pantano, ucraino. Ma, possiamo altrettanto essere certi che non sarà l'ipocrita scelta delle mezze misure militari ad aiutare l'Occidente e l'Ucraina, se la politica rinuncia aprioristicamente a riportare in primo piano il suo primato nella capacità di tradurre l'idea di pace con la mediazione e negoziati paralleli in un contesto geopolitico multilaterale che guardi a un futuro assetto di garanzie reciproche. A chi aggredisce si possono riconoscere, per avviare la distensione, anche una serie di ragioni del gesto, ma non ancora il diritto di farlo.


*Col. (Aus) Esercito Italiano

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