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Giancarlo Rapetti

Fitto, Europa e spinte nazionali: c'è ancora qualcosa di politico?

di Giancarlo Rapetti


La vicenda della nomina di Raffaele Fitto alla Commissione Esecutiva dell’Unione Europea offre lo spunto per una riflessione non superficiale. Cominciamo dall’antefatto. Il gruppo parlamentare ECR (Conservatori Europei) a cui appartiene Fratelli d’Italia, non ha votato per Ursula von der Leyen presidente della Commissione. Tuttavia, la stessa von der Leyen, non potendo ignorare uno dei maggiori paesi dell’Unione, ha accolto l’indicazione del Fratello d’Italia Fitto e lo ha anche proposto come vice presidente esecutivo. Il gruppo socialista europeo, la seconda forza dell’Europarlamento, non ha gradito questo allargamento della maggioranza concordata ed è orientato a votare contro la nomina di Fitto. A questo punto la Presidente del Consiglio ha intimato alle opposizioni domestiche di sostenere la nomina di Fitto “nell’interesse dell’Italia”. Tale presa di posizione ha innegabilmente messo le opposizioni, in primis il PD, in una posizione difficile: il richiamo all’unità nazionale funziona sempre, è una carta propagandistica tra le più efficaci nella storia. Il PD ha fatto qualche rimostranza, ricordando che Fratelli d’Italia aveva più volte espresso contrarietà alla nomina di Paolo Gentiloni come Commissario UE, anche in sede di voto formale, ma concludendo col dire che, “senza prendere lezioni dalla maggioranza”, il PD “sa quale è l’interesse dell’Italia”.

In effetti, il Partito Democratico italiano si trova di fronte al “dilemma cornuto” di ellenistica memoria, in cui i due corni sono entrambi sfavorevoli. Se sostiene Fitto, rompe con i socialisti europei, alla cui famiglia politica appartiene. Se contrasta Fitto, si becca del meschino traditore della patria, che antepone i pregiudizi partitico-ideologici agli interessi nazionali. E qui veniamo alla riflessione non superficiale di cui si diceva all’inizio. Prima di proseguire è opportuna una precisazione: non si sta trattando della persona Raffaele Fitto, che non avrei conoscenze, competenze e titolo per giudicare. Si tratta di valutare il fatto politico. Cioè se i candidati alla Commissione sono considerati utili, adatti, adeguati, a gestire la comune politica europea. Se la loro nomina risponde all’interesse dell’Europa, non del singolo Stato membro, o meglio, anche del singolo Stato membro, ma in quanto beneficiario e partecipe di una buona comune politica europea.

L’Europa è, o dovrebbe essere, una entità sovranazionale, un soggetto vero, identificato dalla comunanza di interessi, valori e sentimenti. Con una sua anima, e di conseguenza con un'organizzazione e un personale politico coerente ai fini. Detto in modo più semplicistico: ci si aspetterebbe che il candidato italiano sia o non sia sostenuto non perché è italiano, ma perché le sue caratteristiche e i suoi programmi lo rendono o non lo rendono effettivamente europeo. Questo discorso non si è sentito da alcun rappresentante di tutto l’arco parlamentare (l’arco costituzionale non esiste più da tempo). Tutti sono rasseganti all’idea dell’Europa condominio di Stati, in cui ciascun Paese coltiva i propri (presunti) interessi a scapito degli altri. Si sapeva già, ma vederlo plasticamente confermato, non incoraggia.


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