Fino all'ultimo silenzio: così se ne va Matteo Messina Denaro
Aggiornamento: 24 set 2023
di Maurizio Jacopo Lami
Autru e parrai di morti, autru è mururi
Una cosa è parlare di morte, una cosa è morire
Proverbio siciliano
"Con tutte le persone che ho ucciso si potrebbe riempire un cimitero. Ma una sola cosa ci tengo a sottolineare: io non c'entro nulla con la morte del ragazzino Giuseppe Di Matteo".
Dichiarazione spontanea di Matteo Messina Denaro nel gennaio 2023, poco dopo l'arresto.
"Io ho ucciso il piccolo Giuseppe Di Matteo, d'accordo, ma anche gli altri capi mafia erano d'accordo. Matteo Messina Denaro ha offerto rifugi per nascondere il bambino quando l'abbiamo rapito. Poi è stato un fulmine ad eclissarsi. È stato più furbo di me, ma certamente non più buono".
Giovanni Brusca, boss mafioso autore di innumerevoli omicidi (fra cui quello di Giovanni Falcone) e poi collaboratore di giustizia.
Matteo Messina Denaro, 61 anni, nato a Castelvetrano in provincia di Trapani, capo incontrastato di Cosa Nostra in tutta la provincia di Trapani (la più importante dopo Palermo nella galassia mafiosa dell'isola), autore e mandante di moltissimi omicidi e stragi, in particolare degli attentati in cui morirono i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e le donne e gli uomini dediti alla loro sicurezza, è in coma irreversibile. Per chiudere una storia già chiusa, si dovrà attendere soltanto il certificato medico dell'ospedale San Salvatore dell'Aquila che attesti la morte biologica di un malato terminale, colpito da tumore al colon. Il resto è affidato alla pietà umana.
Sicuramente Cosa Nostra, fin dal suo arresto avvenuto il 16 gennaio scorso nella clinica Maddalena, in una zona centrale di Palermo, sta cercando di rimediare alla sua perdita, ma il colpo è grande. Perché Messina Denaro non è stato soltanto solo un sicario, ma il capomafia che era riuscito nell'impresa di vivere due vite, così diverse fra di loro da sembrare che vi fossero davvero due persone diverse.
Fino alla fine del 1993 è fra i più convinti killer al servizio di Totò Riina, il "capo dei capi", il corleonese. Da lui ha imparato i metodi "spicci" per imporre la sua autorità sul Trapanese: pistole e kalashnikov, violenza allo stato brado con cui liberarsi di chiunque osi frapporsi tra lui e il potere assoluto. Ma è anche un boss fuori dall'iconografia storica, coppola e lupara. Sciupafemmine, ama la ricchezza in tutte le sue forme: orologi di marca, auto costose, vestiti firmati nutrono il suo quotidiano narcisismo cui non fa mancare anche un soprannome, non senza ironia, tratto da un famoso fumetto: "Diabolik".
Poi, a partire dal 1994, comincia la grande mutazione. Non certo nei gusti (continuerà a essere un dongiovanni, a indossare abiti sartoriali e a circondarsi di beni di lusso), ma dallo stragismo contro lo Stato passa ad un completo mimetismo. Interrompe la catena degli omicidi, si occupa di amministrare i beni acquisiti, che sono veramente una quantità impressionante, investe in moltissimi supermercati, crea villaggi turistici, entra perfino nel redditizio settore dell'Eolico (esattamente come il protagonista di una fiction televisiva), il che gli procura la reazione furiosa di Totò Riina nella conversazione in carcere con un altro detenuto: "quei pali dell'eloico se li dovrebbe ficcare...". Intanto, si atteggia a perseguitato dallo Stato. Suona quasi uno scherzo, se riferito a chi ha insanguinato con cinica brutalità le strade della Sicilia. Eppure, in molte lettere a un sindaco suo complice parla di sé stesso come di uno statista incompreso: "quello che ho in mente, il mio progetto..., nemmeno fra cent'anni sarà capito".
Alcuni pentiti, fra cui Antonino Giuffrè, sostengono che avesse ereditato "l'archivio" di Salvatore Riina. Su questo punto è difficile essere d'accordo, perché non è facile immaginare un imprenditore o un politico di alto livello che si prende l'enorme rischio di mettere per scritto accordi inconfessabili con boss mafiosi. È certo invece, che conosceva bene gli accordi che sicuramente c'erano stati con personalità esterne all'organizzazione mafiosa. Ma su un punto era stato chiaro al momento dell'arresto: "non collaborerò mai". Ed è andata così. E' stato di parola e i segreti inconfessabili resteranno per sempre tali. Con lui si chiude una fase storica. I "mammasantissima" accusati delle stragi sono morti. I gregari sono all'ergastolo. Ai pentiti canterini la giustizia ha concesso i benefici di legge. Lo Stato può finalmente affermare di avere vinto.
Cosa Nostra non ha cessato di esistere, certo. Continua a mettere le mani in ogni pertugio della vita sociale da cui si può cavare facili guadagni, rendite e potere, spogliando dei propri averi, con il pizzo, i prestiti a strozzo, le estorsioni, quei malcapitati che sono entrati nel suo orizzonte. E non solo averi. Perché il vero obiettivo di tutte le mafie è quello di assoggettare le persone, di strapparle anche la dignità. Ora, però, Cosa Nostra è guidata da criminali che hanno le mani meno insanguinate. Non è una consolazione. Sappiamo bene che il male non ha sempre la necessità di spargere sangue per condizionare le vite degli onesti. Ma, c'è un altro però... con Messina Denaro finisce anche quel terribile periodo in cui era diventato normale vedere i rappresentanti dello Stato uccisi da un nemico che pareva invincibile.
La falce della Morte questa volta ha seppellito un nemico dei buoni.
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