Fascismo e il "vizietto" del revisionismo che non passa mai
di Stefano Marengo
Prepariamoci. Il 2025, con l’Ottantesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale, porterà con sé gli ormai consueti tentativi di riscrivere la storia o di minimizzarne il senso. Per portarsi avanti con il lavoro, oggi, 31 dicembre 2024, il quotidiano Libero ha scelto di rimanere fedele al suo stile – cioè la butta in caciara – pubblicando in prima pagina il volto di Mussolini e il titolo a caratteri cubitali: “È lui l’uomo dell’anno”.[1] Il perché ce lo spiega il direttore Mario Sechi: “Ottant’anni dopo la fine del fascismo, la sinistra della Ztl lo agita come una clava contro la destra, con sprezzo del ridicolo «l’allarme democratico» va e viene sulle prime pagine dei giornali progressisti, i cui titoli esondano nella politica e nella cultura, nei talk show e nei concorsi di bellezza letteraria”.
Ma ancora meglio fanno i liberali de Il Foglio. Per concludere il 2024, il giornale fondato da Giuliano Ferrara esce con un’intervista a Ernesto Galli Della Loggia intitolata “Noi e il fascismo: il ricatto della sinistra e altri inconfessabili complessi”. Veniamo così informati non solo che il fascismo “non è stato un abominio”, ma che l’antifascismo, che in fondo non avrebbe alcuna ragion d’essere, non è che uno strumento usato dalla sinistra per i propri scopi politici.
Evidentemente è con questo atteggiamento che bisogna fare i conti, anzi occorre riconoscere, come fa l’intervistatore, Nicola Mirenzi, in un lampo di comicità involontaria, che “nel ventennio l’Italia divenne un enorme cantiere, ovunque si costruirono Case Balilla, palestre, campi sportivi, piscine, tribunali, caserme e stazioni ferroviarie”: “altro che PNRR!”. Che dire? Mirenzi ha dimenticato – peccato capitale! – la bonifica dell’Agro pontino (che costò la vita a parecchie migliaia di lavoratori, pedaggio luttuoso di cui mai si parla), ma in compenso possiamo stare sicuri che, quando c’era Lui, i treni arrivavano in orario (e speriamo che Salvini non lo prenda come un attacco personale).
Al di là dell’ironia, quello che è in atto è un tentativo – l’ennesimo – di minimizzare, e quindi normalizzare, ciò che per l’Italia fu la dittatura fascista e, forse ancora di più, di calare un velo d’oblio sui suoi retaggi eversivi che hanno percorso tutta la successiva storia repubblicana. Che la si attui in modo sguaiato, come nel caso di Libero, o in modo apparentemente sofisticato, come nel caso de Il Foglio, la strategia è sempre la stessa. L’assunto di base è che il fascismo, lungi dall’essere ciò che davvero fu, ossia un regime assassino e sanguinario, sia stato una dittatura in fondo benevola. Una dittatura – ecco la tesi che oggi va per la maggiore – che in ogni caso è finita nel 1945, per cui non ha alcun senso attardarsi ancora a denunciare il fascismo e a proclamarsi antifascisti.
A prevalere, nei circoli della destra italiana, è oggi una dimenticanza autoindotta del passato che deve servire come giustificazione del presente. Perché se il 25 aprile 1945 il fascismo fu sconfitto e relegato al fondo della storia, in quel fondo è sopravvissuto come nel suo ambiente naturale, erompendo talvolta in superficie, assassino e sanguinario come un tempo. Occorre dunque minimizzare, fingere di dimenticare, normalizzare. Occorre dimenticare, ad esempio, che la strage fascista e mafiosa di Portella della Ginestra (1° maggio 1947) accompagnò i primi passi della neonata Repubblica.
Occorre dimenticare che fu anzitutto negli ambienti fascisti che avvenne il reclutamento degli agenti di Gladio.
Occorre dimenticare il ruolo che, a partire dal convegno dell’Hotel Parco dei Principi (maggio 1965), esponenti di rilievo del Movimento Sociale ebbero nell’elaborazione della strategia della tensione. Occorre dimenticare tutta la zona grigia di organizzazioni neofasciste più o meno prossime al MSI, a partire dal Centro Studi Ordine Nuovo di Pino Rauti, che fornirono manovalanza allo stragismo, da Piazza Fontana (1969) alla stazione di Bologna (1980) passando per gli attentati dell’Italicus e di Piazza della Loggia (1974).
Occorre dimenticare che di natura fascista il tentativo di colpo di stato di colpo di stato messo in atto nella notte dell'Immacolata (8 dicembre) 1970 da Junio Valerio Borghese, già comandante della X MAS durante la Repubblica di Salò. Occorre dimenticare il carattere neofascista dei servizi segreti “deviati” e della Loggia P2, non casualmente guidata dall’ex repubblichino Licio Gelli.
E occorre dimenticare che, nell’immediato dopoguerra, non fu mai attuata una radicale defascistizzazione dello stato, con la conseguenza che ampi settori degli apparati pubblici (quello che oggi si chiama Deep State) rimasero impregnati di quella subcultura violenta, autoritaria ed eversiva, secondo una linea di continuità che va ben oltre la fine della Guerra fredda e la fine della Prima Repubblica (occorre forse ricordare gli inneggiamenti al Duce da parte dei poliziotti che massacrarono i manifestanti di Genova nel 2001?).
Occorre allora dimenticare che l’Italia odierna è figlia anche di quella stagione. Soprattutto ne sono figlie la destra e la sua leader, Giorgia Meloni, ed è su questa parentela che si esercita la rimozione. Attenzione però: la parola d’ordine dell’oblio non significa semplicemente non avere la forza o il coraggio di fare i conti, una buona volta, con la propria genealogia, il che sarebbe comunque un’ammissione, se non di colpa, quantomeno di imbarazzo. Più sottilmente, l’invito all’oblio è funzionale all’autolegittimazione della destra che, mentre esibisce pubblicamente la sua nuova verginità politica, non ha alcuna intenzione di rinnegare il proprio passato, e questo, in politica, significa rivendicarlo.
Prepariamoci, dunque. Nei prossimi mesi assisteremo a reiterati tentativi di riscrittura della storia e alla normalizzazione di ciò che sono stati il fascismo e i suoi eredi. Non sarà un’iniziativa estemporanea, ma una campagna ben calcolata. Il fatto stesso che ciò sia possibile è la dimostrazione che l’antifascismo non solo non è un rottame del passato, ma che oggi è ancora più urgente lottare per la piena affermazione dei suoi valori.
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