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Eutanasia: non l'usiamo come cibo per alimentare polemiche

Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi


Il Consiglio regionale della Toscana ha approvato una legge sul fine vita, per garantire ai malati terminali tempi e modalità certi per l'accesso al suicidio medicalmente assistito. E' la prima Regione italiana, in assenza di una legge dello Stato, a dotarsi di uno strumento legislativo su un tema estremamente divisivo sotto il profilo politico. Immediate le reazioni e le polemiche. Il governo pronto a valutare se vi sono elementi in contrasto con la Costituzione. Giudizio severo espresso dai vescovi toscani: "Sancire con una legge regionale il diritto alla morte non è un traguardo, ma una sconfitta per tutti".

La prima domanda da porsi è quella di che cosa vorremmo fosse fatto a noi in condizioni di sopravvivenza non più dignitose. Si tratta, evidentemente, di un problema individuale cui ognuno, in base alla propria sensibilità è chiamato a dare una risposta, ma un conto è la risposta che diamo quando stiamo bene e pensiamo di essere immortali, un'altra potrebbe essere quella che potremmo dare in condizioni critiche, indipendentemente che si risieda in Toscana, in Veneto o in altra regione (o forse si dovranno fare norme speciali per i “transregionali”!).

 

Un argomento di tutti

Spesso è già difficile mettersi d’accordo con sé stessi, figuriamoci a livello collettivo, dove l’argomento, per il suo grado di coinvolgimento, porta istituzioni, parti politiche, movimenti culturali e religiosi a esprimere i propri pareri. Il fatto che siano in tanti ad esprimersi è una ricchezza per la nostra società che ci permette facilmente di acquisire pareri diversi, quale conditio sine qua non per giungere ad elaborare una nostra convinzione individuale; ci compiacciamo con le scienze quando elabora più concetti di eutanasia, tra cui:

-   L’eutanasia attiva diretta è l’uccisione mirata allo scopo di abbreviare le sofferenze di un'altra persona.

-   Eutanasia indiretta (anche attiva indiretta) quando, al fine di alleviare le sofferenze vengono impiegati mezzi (per es. farmaci antidolorifici) i quali come effetto collaterale possano ridurre la durata di vita.

-  Eutanasia passiva quando si rinuncia a misure atte a conservare la vita, lasciando indeterminato il momento della morte (l'eutanasia attiva mira invece a provocare la morte in tempi prestabiliti).

-  Suicidio assistito quando una persona qualificata supporta e sostiene un'altra nella realizzazione della sua decisione precedentemente assunta.

A questa abbondanza di possibilità si sta aggiungendo anche una varietà geografico-legislativa, accettabile quando si tratta di Stati diversi, qualche dubbio, quando si tratta di legislazioni regionali… e speriamo che qualche sindaco intraprendente non si lanci con proposte fuori dal comune! Occorrerebbe ricordare che il tema non è una sfida tra individualisti e dirigisti, tra atei e credenti, tra Toscana e Veneto contro le altri regioni, tra chi può disporre come vuole di sé stesso o chi crede che vi siano regole etiche che sovrastano le decisioni dei singoli, il che fa venire in mente un proverbio africano: «Quando gli elefanti combattono è sempre l'erba a rimanere schiacciata».

 

Un problema individuale fatto proprio da troppi soggetti

Si ha l’impressione che la questione costituisca un ottimo argomento per apparire, per diventare sostenitori rigidi e intransigenti a favore di una posizione, tutti pronti ad accusare la politica che non riesce a decidersi, ma pochi quelli che lavorano rinunciando al sensazionalismo che la notizia induce. A questi si aggiungono gli inevitabili interessi che la gestione del fine vita comporta, in quanto si agisce su una situazione in cui il soggetto o i suoi cari vivono situazioni drammatiche e, di conseguenza, facilmente influenzabili.

Il legislatore non può rimanere indifferente di fronte a queste degenerazioni, perché è compito delle istituzioni proteggere i soggetti più deboli, ma ora il problema diventa quale istituzione deve occuparsi di tutte le problematiche collegate al fine vita: se tutti se ne occupano, sarà più complesso giungere a soluzioni accettabili.

Quando toccherà a chi tra di noi non è immortale, l’unica cosa che vorrebbe evitare è di diventare il campo di battaglia di scontri giuridici dagli esiti incerti, ma sicuramenti deleteri per i soggetti su cui avviene lo scontro.

Per ora limitiamoci a chiederci perché il dividersi su di un problema di natura individuale risvegli così tanti interessi e perché la nostra società non sia più in grado di elaborare una gnoseologia, intesa come metodo per studiare ed analizzare un problema, ma si porta subito a farne un oggetto di scontro. Se la vita è un dono, della natura o divino, in ogni caso bisogna portarle rispetto e non specularci sopra come fosse un bene di consumo di cui ci si può stufare e gettare via in base a sensazioni momentanee, e con questo rispetto dovrebbe essere trattato l’argomento.

È la nostra coscienza che, in primis, deve darsi una risposta e non un contenziose legale o una disputa tra istituzioni e, soprattutto su questo fronte, nella realtà attuale tra tante norme inutili e sovrabbondanti, ogni soggetto dovrebbe trovare uno spazio per affermare la propria indipendenza di pensiero... Preferibilmente prima che la morte lo raggiunga!

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