Europee: terremoto evitato, ora?
di Luca Jahier
Il risultato di fondo delle elezioni europee è stato quello annunciato. Con un rafforzamento del Popolari, una tenuta dei Socialisti e un significativo indebolimento dei Liberali e dei Verdi la maggioranza europeista resta oggi confermata, superando i 400 seggi su 720, con una disponibilità dei Verdi ad aggiungersi alla tradizionale maggioranza dei tre partiti citati e sembrano così ottime le chance di riconferma della Presidente uscente, Ursula von der Leyen. Così sembra anche che vi sia una decisiva accelerazione per trovare presto un accordo sulle principali figure di vertice delle Istituzioni entro la fine di giugno.
I partiti sovranisti crescono, ma al momento restano molto divisi e i vari movimenti per riassetti, accorpamenti o nuove configurazioni restano tutti molto aperti, soprattutto legati al gioco che vorrà fare la Presidente del consiglio Giorgia Meloni, leader dell'ECR e unica leader dei grandi paesi dell'Unione che è uscita rafforzata dalla prova elettorale europea. Il vero nodo saranno i “non iscritti”, una cifra abnorme di 99 deputati, cresciuta progressivamente a dismisura e saranno ora oggetto di una aggressiva “campagna acquisti” degli altri gruppi. In ogni modo il peso di quest'area nei voti futuri del PE resta del tutto imprevedibile, ma sicuramente saranno di freno ad ogni scelta di rafforzamento dei poteri e delle politiche europee in materie cruciali.
Rispetto alle passate elezioni le differenze sono però allarmanti. La democrazia non è un destino, è una scelta, e malgrado scenari di guerra e sfide terribili che l’Europa è chiamata ad affrontare per non essere consegnata al collasso e agli archivi della storia, questo appuntamento elettorale ha suscitato ben poca passione, con una astensione dal voto che ha superato il 50% in tutta Europa.
La peggiore delle sconfitte democratiche, completata dal fatto che non pochi di questi elettori hanno consegnato la loro delega in bianco a estremismi e sovranismi di diverse sfumature. Il secondo dato è che in Italia, come in diversi altri paesi, si è parlato molto poco di Europa, né di un serio bilancio sugli impressionanti risultati della legislatura che si è chiusa, né degli assi traenti di questa che si apre, ma si sono svolti referendum su leadership nazionali o sull’operato di molti governi. Complice in Italia anche una interpretazione assurda della par condicio, che ha impedito qualunque serio confronto tra candidati di orientamento diverso. In Italia il referendum lo hanno vinto sia la leader del governo che la leader del principale partito di opposizione; in Francia è stata una Caporetto per il Presidente Macron, che ha subito indetto nuove elezioni nazionali; in Germania la coalizione di governo ne è uscita gravemente sconfessata e il Cancelliere socialista assai indebolito, essendo il suo partito finito al terzo posto, dietro il partito neonazista. Il peso di Parigi e Berlino è sempre stato determinante nell’orientare la rotta europea ed un così grave indebolimento del motore franco-tedesco non è certo una buona notizia per l'avvio di questa legislatura e delle molte e cruciali scelte che incombono.
Il terzo dato è che nel 2019 il negoziato post voto si incentrò decisamente su una agenda che allora definii di Rinascimento, impostata su un vasto programma di trasformazione sostenibile delle nostre economie e società, in gran parte oggettivamente ispirata dalle forze socialiste e democratiche, che poi con le misure prese durante la pandemia è stato ulteriormente rafforzato (vedi Sure, Next Generation EU). Oggi questa spinta non si vede, complice la maggioranza dei governi europei a trazione conservatrice, che puntano su difesa e sicurezza, con qualche rischio di deriva militarista, su una pausa dell’agenda verde, su una rinazionalizzazione di competenze europee e ritrosia rispetto alla riforma dei Trattati e ai nuovi e necessari strumenti per consistenti investimenti comuni.
Non sarà facile arrivare ad un programma comune, soprattutto tra le forze politiche in Parlamento e tra questo e il Consiglio europeo. Al quadro così descritto del Parlamento europeo ed a tutte le incognite per garantire una maggioranza solida per l'investitura della nuova Presidenza della Commissione, con il nodo dei più che probabili franchi tiratori, stimati oggi tra i 30 e i 90 membri dei tre gruppi principali, fa da contraltare un decisivo spostamento a destra in seno al Consiglio europeo. A differenza del 2019, solo 5 governi sono a guida socialista, scontando la Germania l'indebolimento che si diceva e comunque una alleanza a tre che ha sempre impedito lo spazio di manovra del Cancelliere e la Danimarca, ove c'è un governo di coalizione socialista/liberale. A questi si aggiungono Spagna, Cipro e Malta. A parte l'incognita francese che va al voto politico, non si può non considerare il costruendo governo dei Paesi Bassi, che sarà il più a destra della sua storia, i risultati elettorali in Austria, il fatto che in diversi paesi le forze conservatrici già governano con partiti di estrema destra. Difficile immaginare che tutto questo non abbia un peso decisivo nel fissare molti limiti alle priorità politiche di avvio della legislatura e allo stesso mandato della costruenda Commissione europea ed anche non si traduca nella ricerca di un sostegno parlamentare di forze politiche che a quegli orientamenti di destra dei rispettivi governi fanno riferimento. Insomma, un bel rebus.
Per intanto dalle prime indiscrezioni sulla bozza di agenda strategica di legislatura che il Consiglio europeo dovrà adottare il 27 e 29 giugno non emerge nulla di davvero innovativo: non una visione sull'Europa del 2030, né un'ambizione per affrontare le sfide rappresentante dalla Russia, dalla Cina e dal potenziale ritorno di Donald Trump negli Stati Uniti. Le priorità per ora sono tre. Un'Europa libera e democratica, con lo stato di diritto al centro. Un'Europa forte e sicura, con un rafforzamento della politica di sicurezza e di difesa e la promessa di allargarsi. Un'Europa prospera e competitiva, con meno dipendenze dal resto del mondo e una politica industriale più attiva. Ma il documento non affronta i nodi irrisolti, come il possibile debito comune per investimenti nella difesa e nella transizione climatica, o le nuove sfide di una politica estera e di difesa comuni che comportano la revisione dei Trattati e l'abolizione del diritto di veto. Men che meno si trovano tracce del Rapporto sul futuro del Mercato interno già consegnato da Enrico Letta e discusso dal Consiglio o dei più che annunciati punti chiave del Rapporto Draghi sulla competitività europea, che sarà consegnato probabilmente a luglio. In poche parole "five more years" di business as usual, un po' come annunciato dal Manifesto del PPE di Bucarest, E in questo momento le carte sembra darle il suo leader, Manfred Weber, ben supportato da quanto arriva da molte capitali europee, in cui certo non si vuole più Europa.
Vediamo come si delineeranno nelle prossime settimane le leadership degli altri gruppi parlamentari, Socialisti e Liberali in primis e anche come procederà la composizione della Commissione europea, non solo nei profili dei candidati commissari che saranno probabilmente noti a settembre, ma anche degli incarichi chiave che saranno proposti per gli uni e per gli altri.
Si potrebbe dire molto altro, ma attendiamo le evoluzioni delle prossime settimane, confidando che le molte spinte delle sfide esterne invitino ad avere più coraggio e più lungimiranza, soprattutto di fronte ad una guerra ai confini che non accenna a trovare soluzioni a breve termine, alla sfide delle transizioni energetica, verde e digitale, alla crescita dell'impoverimento e dell'allargamento delle distanze tra le zone più ricche e quelle più in difficoltà nei diversi paesi (molto evidenti da una seria analisi territoriale del voto) e soprattutto aspettando di capire meglio quale sarà l'ulteriore evoluzione dei vari partiti sovranisti, anche dopo le elezioni francesi: se essi seguiranno l'attuale modello Orban, cioè la strategia di combattere dall’interno della Ue, ottenere concessioni su vari dossier e mettere in discussione alcune scelte strategiche come il sostegno all’Ucraina, l'allargamento o nuove politiche comuni, oppure alcuni se ne distaccheranno e decideranno posture più costruttive, seppur sempre da posizioni molto più conservatrici in merito al rafforzamento dell'Unione Europea e sostenendo un maggiore controllo nazionale su molte politiche europee attuali e future.
La prima prova del nove accadrà già nei prossimi mesi, con la pubblicazione da parte della Commissione del pacchetto economico di primavera, sull'esame della situazione dei conti pubblici degli Stati membri con un deficit sopra il 3% e sull'avvio del nuovo semestre europeo dopo la riforma del Patto: si realizzerà il previsto bilanciamento degli investimenti tra green, digitale, sociale e difesa, o si privilegerà solo la difesa e le procedure per deficit eccessivo? Sarà la premessa dell'avvio di un secondo dossier cruciale e cioè la preparazione del prossimo quadro pluriennale di bilancio, che la Commissione dovrà presentare per l'estate 2025.
A questo si aggiunge infine una prova per la strategia del Green Deal. Se è del tutto improbabile che venga rimesso mano alla gran parte della legislazione adottata in questa passata legislatura (troppo oneroso smontarla…), saranno le condizioni di applicazione nei singoli Stati membri e i finanziamenti disponibili a decretarne l'eventuale parcheggio e inconsistenza pratica. I recenti dazi decisi sulle importazioni dalla Cina, potrebbero poi far slittare le scadenze già stabilite a livello europeo e, per giustamente proteggere industrie e lavoro europei, fare da disincentivo per la transizione verso l'elettrico della mobilità.
Per chi ha a cuore la convinzione che fu già di David Sassoli che l’Europa non è un incidente della storia, ma una grandiosa promessa realizzata di pace e di progresso sostenibile, e che ogni volta che abbiamo fatto più Europa, abbiamo rafforzato tutti i singoli Stati, le nostre regioni, imprese, lavoratori e comunità e per giunta fatto dell'Europa un potente attore di pace, di diritti e prosperità sullo scenario internazionale, vi è oggi la coscienza che ci attendono mesi assai difficili. Ma anche la speranza che molti dei nuovi eletti nel Parlamento europeo sapranno scoprire l'orgoglio del proprio compito di fronte ad una storia che sta accelerando rapidamente e non fa sconti a nessuno.
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