Draghi: e se fosse crisi personale?
di Menandro
Domani mattina Draghi pronuncerà il suo discorso al Senato per chiedere la fiducia e mettere definitivamente nel cassetto le dimissioni che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella gli ha già respinto. Ma che cosa dirà e che cosa farà è un punto interrogativo, esattamente come lo è la ragione della crisi, che potrebbe essere non soltanto politica, ma anche personale, fattore quest'ultimo trascurato o minimamente considerato, neppure Draghi fosse un robot.
Ma non lo è, nonostante si sia affrettato ad accreditarsi, raccontando la barzelletta del cuore (poco usato) del banchiere, un profilo anaffettivo, raziocinante, quasi anedonico, che lo colloca distante anni luce dalla politica italiana che si sdraia amabilmente sul divano delle emozioni, mal di pancia, interazioni e problemi famigliari (mogli, mariti, figlie e figli) e di qualunque altra forma intimistica che nel passato avrebbe provocato nei cittadini una reazione molto vicina a "e chi ne se frega...".
All'opposto, Draghi è un essere umano come tutti gli altri e non è a prova di logoramento. E sarà per questo che domani non potrà non tenere conto, pur accogliendo tutti gli appelli che gli sono piovuti da mondo e dintorni per scongiurare una crisi di governo, in testa sindaci, associazioni, imprenditori, commercianti, docenti universitari, nonni e nonne (questi ultimi ricordandogli che ha la tessera numero uno della categoria), badanti (in prospettiva, la più remota possibile, naturalmente), maghi (le illusioni sono una voce importante del Pi nazionale), che non è da lui che si deve attendere una risposta, semmai lo si deve dalla politica che lo tira per la giacchetta per fargli fare ciò che lui non vuole, è cioè tirare a campare.
Tirare a campare per usare i fondi del Pnrr che sembrano la panacea di tutti i mali; tirare a campare per allontanare lo spettro di elezioni anticipate che attribuiscono, secondo sondaggi seri e affidabili, la vittoria a Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia (una bella soddisfazione per il populismo nero nel centenario della Marcia su Roma); tirare a campare per evitare che vi sia un ritorno in piazza dei forconi; tirare a campare per ignorare chi non paga le tasse e teme come la peste la riforma del catasto; tirare a campare, in poche parole, perché gli italiani continuino a credere che il debito pubblico primo o poi verrà estinto dal pozzo di San Patrizio.
Del resto, non siamo forse un popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori, eccetera, eccetera, come raccontava nei suoi bagni di folla il Duce, che di tragiche bugie era maestro?
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