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Dostoevskij e Putin, anime russe a confronto

di Maurizio Jacopo Lami|


Un triste destino si è abbattuto su Fëdor Dostoevskij nel bicentenario della nascita. Per mesi, non c’era giorno che le opere del grande romanziere russo non fossero ricordate su giornali, radio e televisioni. Una meritata celebrazione dell’intatta freschezza della sua prosa unita alla profondità del suo pensiero che hanno fatto riaffiorare anche alla mente le numerose trasposizioni cinematografiche dei suo romanzi e, soprattutto, le celebri riduzioni televisive produzioni Rai, dall’Idiota a Delitto e Castigo, ai Fratelli Karamazov. Poi il classico fulmine a ciel sereno propiziato dalla guerra in Ucraina e dall’improvvida decisione dell’Università Bicocca di Milano di sospendere un corso di Paolo Nori su Dostoevskij, provvedimento poi rientrato. La luce si è così riaccesa e ha messo in ombra un lealismo inutile quanto imbarazzante.Lo stesso Nori in un’intervista al Riformista (https://www.ilriformista.it/perche-luniversita-bicocca-ha-censurato-dostoevskij-la-spiegazione-di-paolo-nori-283556/, ha poi chiosato: “trovo che quello che sta succedendo in Ucraina sia una cosa orribile e mi viene da piangere solo a pensarci. Ma quello che sta succedendo in Italia oggi, queste cose qua, sono ridicole: censurare un corso è ridicolo. Non solo essere un russo vivente è una colpa oggi in Italia ma anche essere un russo morto che, quando era vivo, nel 1849, è stato condannato a morte perché aveva letto una cosa proibita, lo è”.

“È il diavolo a lottare con Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini”. In queste parole di Dostojevskij, che risuonano così profetiche mentre sentiamo notizie terribili sull’invasione dell’Ucraina, che speravamo relegate ai romanzi fantawar si avverte la profonda spiritualità slava. Ma qual è il vero volto della Russia: Putin che dice “Russi e Ucraini sono fratelli” e poi li attacca, o Dostojevskij con il suo continuo tormentarsi in cerca di una risposta al perché del dolore umano? Per capire Putin, la sua logica secondo cui la Russia sta cercando di difendere la sua stessa anima da avversari terribili, per capire come siamo arrivati a questo punto, bisogna parlare del sentire russo, bisogna capire il sentire russo. E quindi parliamo di Dostojevskij, lo scrittore e filosofo che ha saputo, nel suo interrogarsi sulla miseria umana, splendidamente rivolgersi così al Salvatore ne “I fratelli Karamazov”: “Sono precisamente otto secoli che noi abbiamo preso da lui ciò che Tu sdegnosamente rifiutasti, quell’ultimo dono che lui ciò che tu sdegnosamente rifiutasti, quell’ultimo dono che lui Ti offrì mostrandoTi tutti i regni della terra: noi abbiamo preso da lui Roma e la spada di Cesare, e abbiamo proclamato di esser noi soli i sovrani della terra, i sovrani unici, seppure finora non siamo neanche riusciti a realizzare in pieno il nostro assunto”. Eccolo il gran riflettere di Ivan nei secoli, la Russia profonda che pur tra errori e tragedie sa interrogarsi su se stessa, su quell’eterno dividersi fra la tentazione di essere la Terza Roma (cioè la terza capitale della cristianità dopo Roma e Bisanzio) e all’esatto opposto lasciare tutto, non interessarsi più del mondo e rifugiarsi nella spiritualità. Perché a differenza di altre nazioni che aspirano ad un ruolo di superpotenza e che, pur avendo un grande e splendido bagaglio culturale, sembrano trovarsi pienamente a proprio agio nel dedicarsi anima e corpo agli affari, per esempio la Cina, la Russia da sempre anche nei momenti di maggior potenza sembra temere il contagio dall’esterno, non accetta il rischio di “diventare come gli altri”. Nei discorsi di Putin c’è innegabilmente una vera e propria ossessione sull’idea di essere circondati da forze ostili che vogliono non solo attaccare e distruggere la Russia, ma soprattutto “prendere la sua anima” e non a caso il presidente russo ha giustificato il suo intervento in Russia anche con questo motivo “l’Ucraina ora è dominata da una cricca che vorrebbe vendere l’anima del Paese all’Occidente”. Dostojevskij però affrontava il discorso dell’esterno, del mondo in modo profondamente diverso. Egli era un nemico assoluto e convinto di ogni semplificazione, aveva intuito che la bellezza (“La bellezza ci salverà” è una sua frase tra le più citate) non nasce dalla quiete, dall’accettare ogni cosa senza moto di ribellione, ma, al contrario, dall’aspirare a grandi obbiettivi, che secondo il parere dello scrittore andava cercato nella ricerca della salvezza dell’anima, non nel accontentarsi di semplici traguardi terreni. “Questo essere c’è, e può perdonare tutto e tutti e per conto di tutti perché lui stesso ha dato il suo sangue innocente per tutti e per tutto” così scrive nei Fratelli Karamazov e sempre in lui, scrittore dall’appassionata ricerca di un senso per la sofferenza umana non vacilla la ricerca della speranza per il popolo russo e per tutti noi.

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