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Donna, pace, cultura e religioni: dal Sinodo valdese l'impegno contro ogni discriminazione di genere

di Piera Egidi Bouchard


Contemporaneamente al flash mob per la pace, in apertura del Sinodo, davanti ai cancelli della Casa valdese c’è stato un flash mob delle donne, vestite in nero e con una collana rossa al collo, simboleggianti il lutto per le vittime della violenza (e ogni settimana è indetto il “giovedì in nero”): i cartelli che esibivano, letti uno di fila all’altro, riportavano un discorso e mostravano un programma: “Noi donne evangeliche non taceremo!” “Denunciamo le discriminazioni e gli abusi” “ Denunciamo le violenze e gli omicidi” “Per i diritti conquistati e che vogliono toglierci “ “Per i diritti non ancora ottenuti” “Lotteremo per una società giusta e libera” “Per un mondo senza stupri e violenze” “Noi lotteremo per la pace”(questa volta il vestito è bianco e il cartello arcobaleno) “Noi trionferemo”.

Le donne sono presenti e attive in tutto il Sinodo, e non solo nei tradizionali bazar e banchetti di vendita libri o oggetti il cui ricavato va a finanziare le singole opere sociali (ricercatissimo è il famoso olio del Servizio cristiano di Riesi, l’opera che il pastore  Tullio Vinay fondò nella Sicilia profonda, dopo quella di Agape sulle montagne valdesi di Prali).

Anche il momento culturale è presente: ieri sera è stato presentato alla Galleria Scroppo il docufilm sulla pastora Giovanna Pons - che a lungo lottò per il pastorato femminile - realizzato dai giovani del Collegio con la regia di Anna Giampiccoli.

E martedì sera, sempre alla Galleria Scroppo, è stata ringraziata “per l’aiuto e la pazienza” una moglie, Adriana (perché è un ruolo importante anche questo, che spesso si assomma a molti altri...!) che  è stata a fianco del marito, Sante Cannito, di antica famiglia pastorale battista, nella sua monumentale impresa che, in oltre 50 anni di studio e ricerche ha prodotto “Il Grande Innario Cristiano”, duemila canti di ogni tempo e da tutti i continenti in 2 volumi per complessive 4.400 pagine, ora edito con l’adesione di tutte le denominazioni protestanti italiane, e l’assenso cattolico tramite la CEI.

Nei pomeriggi si sono alternate nella antica, bellissima Biblioteca della Casa valdese, le relatrici di quattro conferenze - “Incontriamoci”- organizzate dalla FDEI ( Federazione Donne Evangeliche in Italia) e dalla FFVEM (organizzazione nazionale delle donne valdesi e metodiste): la Radio Beckwith evangelica, con la conduttrice  Barbara Grill trasmetteva in diretta.

Nella prima conferenza, di lunedì 26, hanno relazionato, su “Divorzio, famiglia e genitorialità”, Gabriella Rustici (presidente FFVEM delle donne valdesi e metodiste ) e la pastora Mirella Manocchio (presidente FDEI delle donne delle varie denominazioni del mondo evangelico italiano). Rustici ha illustrato il percorso storico delle donne dal dopoguerra al 1974 (data del referendum sulla legge sul divorzio) nel mutamento dei modelli famigliari, a partire dall’appoggio delle donne valdesi e metodiste al pastorato femminile, e al diverso ruolo nel tempo delle “mogli di pastore”, che si è fatto via via più impegnato come ruolo non solo interno alle chiese, ma aperto al sociale.

Mirella Manocchio ha ricordato alcuni importanti documenti della Tavola sul problema del divorzio, in cui si parlava di riconciliazione dei coniugi cristiani anche in quella  decisione, e , prima ancora della legge sul nuovo diritto di famiglia (1975) si auspicava una “genitorialità condivisa”, delineando il percorso che ha portato nel 2017 alla benedizione delle coppie omosessuali: oltre al modo cristiano di vivere il matrimonio ci si apriva al modo cristiano di vivere l’amore, secondo il precetto “ama il prossimo tuo”, il primo prossimo è il coniuge.

Martedì 27 è stato presentato il libro “ Religioni e Prostituzione”, con le curatrici Doranna Lupi e Grazia Villa. Il libro, che merita un’attenta lettura, è il risultato del progetto nato dalla FCEI, di un  “Osservatorio religioso  internazionale contro la violenza alle donne”. La prostituzione viene considerata una violenza del patriarcato contro le donne, e definita come “uno stupro a pagamento”, secondo  il “modello nordico (istituito dal 1999 in Svezia, ed esteso successivamente in altri Stati, tra cui  Norvegia, Irlanda, Francia, Israele, Canada) che sanziona il “cliente” per “acquisto di prestazione sessuale”, impegnandosi a premere sui governi per una legislazione in questa direzione.  

Negli Stati in cui è stata introdotta questa legislazione, la prostituzione è diminuita del 64%, e un progetto analogo è stato depositato anche nel Parlamento italiano. Sono state raccolte negli anni molte testimonianze di donne che parlavano della violenza vissuta nella prostituzione, e sono state interrogate su questo tema teologhe e studiose non solo delle religioni abramitiche, ma anche buddhiste, induiste.

Ieri, mercoledì 28, la pastora e teologa Letizia Tomassone e Ilaria Valenzi hanno parlato su “I diritti delle donne sotto attacco”: il tema del corpo delle donne è di nuovo al centro, con il rischio di modifica della legge sull’aborto: il pericolo è quello che si cerchi di condizionare la libertà del corpo delle donne; bisogna ritornare alla consapevolezza della libertà delle donne di gestire il proprio corpo, e questo significa anche una lotta sul piano sociale: consultori, ospedali, carenza di personale, medici antiabortisti, mentre quelli che non fanno obiezione di coscienza si trovano confinati in un ruolo che li può danneggiare anche sul piano lavorativo. Se le statistiche riportano un calo nelle interruzioni di gravidanza, un problema è però quello delle donne straniere, in maggior numero.

Oggi, giovedì 29, l’argomento era la solidarietà con le donne dell’Afghanistan: la presidente del CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afgane)  Antonella Garofalo ha illustrato, anche con alcuni video in cui le donne erano completamente coperte e oscurate, la sempre più difficile situazione femminile sotto il regime talebano. “Siamo la voce delle donne afgane, che ci chiedono di far conoscere la loro situazione, la loro sofferenza, la loro solitudine – ha detto – siamo in contatto da anni con una loro associazione, Rawa, con cui diventa però sempre più difficile comunicare.

Le donne non possono intraprendere un lavoro, possono uscire di casa solo per casi di estrema necessità, non possono essere curate da medici uomini, non possono usare profumi o truccarsi, non possono fare sport o cantare, non possono parlare in pubblico. Ma - la cosa più grave di tutte – non possono studiare, oltre i 12 anni. Più della metà dei 40 milioni di abitanti risulta quindi priva di istruzione. Queste donne che continuano con mille difficoltà a opporsi mettono su scuole segrete, sempre più piccole, nelle famiglie. Abbiamo aiutato a comprare macchine per cucire, così mentre cuciono hanno l’opportunità di parlare. Sosteniamo piccole case-rifugio per donne che non possono più vivere in famiglia per gravi motivi.

E’ un paese senza futuro. Stiamo lavorando (e anche l’ONU ci sta pensando) di denunciare il regime alla Corte penale internazionale per “crimini di genere”, un delitto attualmente non previsto: bisogna trovare testimonianze, materiali e bisogna lavorare a una legge che lo contempli.”


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