Difesa comune europea: rischio fallimento dietro l'angolo
di Domenico Moro

Quello che si sta profilando all’orizzonte è un evento epocale: la frattura dell’Occidente e la possibile fine del progetto europeo. La frattura si sta consumando sia sul piano dei valori e delle istituzioni multilaterali che li riflettono sia su quello della sicurezza comune; mentre la fine del progetto europeo può essere causata dall’inerzia delle istituzioni e dei governi europei.[1]
Come è già stato osservato da più parti, ogni giorno se ne va un pezzo dell’America che si fondava sullo Stato di diritto e che aveva inventato l’ordine liberale internazionale. L’introduzione dei dazi doganali annunciata dal presidente Donald Trump, oltre ad essere contraria alle regole della OMC/WTO, avrà l’effetto di frammentare il commercio internazionale. La sua Amministrazione, con l’annuncio del ritiro dall’UNESCO, dall’OMS/WHO e la riduzione dei contributi a varie agenzie dell’ONU, oltre all’introduzione di sanzioni alla Corte Penale Internazionale, sta indebolendo anche le altre istituzioni multilaterali.
Trump, il "destabilizzatore"
All’interno degli USA è, invece, in corso una lotta politica la cui finalità è quella di rompere l’equilibrio dei poteri su cui si regge il sistema federale americano: il sistema dei checks and balances che si regge sulla separazione tra potere esecutivo, potere legislativo e, soprattutto, potere giudiziario. Sempre sul piano dei valori e dello Stato di diritto, il sostegno dato dalla Casa Bianca a una politica di annessione della striscia di Gaza e all’espulsione dei palestinesi da parte di Israele, sono un’aperta violazione delle più elementari norme del diritto internazionale. E, come se non bastasse, vi sono le parole con cui il vicepresidente USA, J. D. Vance, alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, ha voluto impartire improbabili lezioni di democrazia all’UE, quando il suo Presidente ha sostenuto, se non fomentato, l’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, perché non accettava l’esito democratico delle elezioni presidenziali.
Per quanto riguarda la politica di sicurezza, valgono le parole pronunciate dal Segretario del Dipartimento della difesa USA, Pete Hegseth, il quale, commentando i previsti colloqui tra USA e Russia per porre fine alla guerra di aggressione russa in Ucraina (di cui è caduto ieri il terzo anniversario), ha sostenuto che: 1) le garanzie di sicurezza per l’Ucraina dovranno essere fornite da truppe di paesi europei e non europei; 2) le forze di peace-keeping dovranno operare fuori dal quadro NATO; 3) di conseguenza, non saranno coperte dall’art. 5 del Trattato dell’Alleanza Atlantica. Hegseth ha poi aggiunto una quarta condizione, vale a dire che non vi saranno truppe americane. Questo tipo di condizioni prefigura non la cosiddetta “ambiguità strategica”, quanto piuttosto un via libera alle forze armate russe a testare la capacità di reazione delle truppe eventualmente dislocate, e senza che gli USA intervengano.
I sabotaggi russi annunciati lo scorso anno e poi verificatisi in varie parti d’Europa, trovano conferma negli attacchi di hacker filorussi ad imprese e servizi pubblici italiani. Quindi, come è stato affermato, come è stato affermato, “l’Europa è sola”.
Hegseth ha confermato quanto le amministrazioni americane, democratiche o repubblicane, che si sono succedute negli ultimi decenni, hanno cercato di far capire agli europei: gli Stati Uniti non hanno più alcuna intenzione di garantire la difesa del continente europeo. Il fatto che la seconda Amministrazione Trump declini questa intenzione in termini brutali, non è quindi una novità. Come si è già sostenuto in un altro contributo, il Presidente J. F. Kennedy, con grande lungimiranza, aveva già affermato che, se gli europei non avessero provveduto all’unificazione politica del continente e ad assicurare la propria difesa, “gli Stati Uniti torneranno ad un rigido nazionalismo”.
Non ci si deve quindi stupire se gli slogan dell’Amministrazione Trump sono “Make America Great Again” e “America First”.
L'incertezza dei Paesi "locomotiva"
L’Europa è sola, ma non riesce ancora a trarre le conseguenze che derivano da questa solitudine, e l’ostacolo principale a questa presa di coscienza è la Francia. Anzi, come sostiene la stampa francese, la classe politica transalpina è paragonabile ai “sonnambuli” della classe politica europea alla vigilia della Prima guerra mondiale. Il presidente francese Emmanuel Macron, a conferma della sua visione intergovernativa sulla difesa europea, ha convocato una riunione il 17 febbraio scorso, in cui era presente, oltre ai principali paesi UE, ai Presidenti del Consiglio europeo e della Commissione europea, anche il primo ministro britannico Keir Starmer. Se doveva essere una riunione in cui decidere, da parte dei paesi disponibili, di promuovere l’avvio di una difesa europea, è stata l’ennesima occasione persa. Un’ulteriore conferma dell’incapacità della classe politica di essere all’altezza dell’alternativa drammatica cui si trova di fronte l’Europa, arriva dal piano franco-britannico che prevede un contingente di circa 30.000 uomini a protezione delle principali città e infrastrutture ucraine: non c’è la consapevolezza che il problema non è tanto la dimensione dei contingenti da schierare in Ucraina o la loro provenienza geografica, ma la scelta politica di schierare delle forze armate dell’UE in quanto tale, l’unico deterrente che può funzionare nei confronti della Russia.
Il progetto europeo, negli ultimi cinquant’anni, si è consolidato attorno a due pilastri: le elezioni dirette del Parlamento europeo e la moneta unica. Le elezioni dirette del Parlamento europeo hanno dato la necessaria legittimità democratica all’istituzione dei fondi strutturali, all’istituzione del mercato interno e poi della moneta unica. Quest’ultima ha difeso l’economia europea dalle turbolenze finanziarie mondiali di volta in volta provocate dalla debolezza del dollaro e dall’instabilità finanziaria interna degli USA e, più recentemente, ha consentito l’emissione del più importante prestito in euro per contrastare la crisi economica provocata dalla pandemia.
Se l’UE non procederà rapidamente a dotarsi di una difesa autonoma, queste due conquiste non salveranno il progetto europeo, perché la rottura dei legami transatlantici porterà con sé la rottura tra gli Stati europei, che si divideranno tra chi, illudendosi, cercherà la protezione americana a qualunque prezzo e chi non disdegnerà di tornare sotto l’impero russo. È un atteggiamento che non bisogna sottovalutare, in quanto le due tendenze, pur opposte nel loro servile obiettivo, sono alimentate dal medesimo sentimento: la perdita dell’attaccamento al valore della libertà. E questo ci riporta al monito di Luigi Einaudi, quando si trattava di ratificare il trattato della Comunità europea di difesa: “il tempo propizio per l’unione europea è ora soltanto quello durante il quale dureranno nell’Europa occidentale i medesimi ideali di libertà” (Lo scrittoio del Presidente, 1956).
Si è già avuto modo di indicare la strada che può essere percorsa dagli Stati europei disponibili a costituire una forza multinazionale europea nel breve periodo, sfruttando quanto prevedono i trattati esistenti sulla cooperazione strutturata permanente. Può sembrare una soluzione non all’altezza della gravità del momento, ma è il punto su cui agire oggi, perché può mettere in moto il processo che può portare all’istituzione di un’autonoma difesa europea.
Note
[1] L'articolo è già stato pubblicato sul n. 315 di "Commenti" del Centro Studio sul Federalismo con il titolo "La fine del progetto europeo?"
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