Deficit eccessivo: il porto delle nebbie per la fine di tutte le illusioni
Aggiornamento: 31 dic 2024
di Emanuele Davide Ruffino e Matteo Amerio
Ampiamente prevista, è arrivata la procedura per deficit eccessivo per Italia, Francia, Belgio, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia da parte della Commissione Ue. In autunno questi Paesi dovranno decidere come attuare il rientro dal disavanzo senza poter ulteriormente tergiversare e non sembra che ci sia la cultura, prima ancora che la consapevolezza, della portata del fenomeno dopo anni che, causa i problemi provocati dall’epidemia del Covid, si è potuto disattendere i parametri volti a mantenere in equilibrio la gestione dei bilanci pubblici.
Asset intergenerazionali
La nostra società si sta caratterizzando per una significativa riorganizzazione dei servizi che, anche grazie all’intelligenza artificiale, può predisporre “soluzioni antropomorfe” nel senso che possono fornire accorgimenti e rimedi elaborati nel rispetto della natura e delle caratteristiche proprie dell’essere umano (come se fossero adottate dall’uomo e per l’uomo stesso).
Inevitabilmente l’Intelligenza Artificiale comporterà una ristrutturazione del tessuto produttivo con il rischio di perdita di posti di occupazione, in un Paese in cui lo Stato ottiene le proprie risorse attraverso la tassazione del lavoro (80% Irpef), possa portare ad una ancor maggiore necessità di assistenza sociale per coloro che saranno sostituiti dalle macchine. Sarà interessante verificare in quale misura la riduzione dei costi portata da queste macchine e le nuove opportunità offerte dal cambiamento potrà sopperire al problema. Se il fenomeno è ineludibile, si può però gestire in modo da raggiungere nuovi equilibri sostenibili, se ci sarà un arroccamento nel mantenere soluzioni non più coerenti con il mutare della realtà.
Le condizioni finanziarie delle Nazioni altamente indebitate non permettono di amplificare ulteriormente la spesa pubblica (in Italia il debito pubblico supera i 2.900 miliardi di debito pari al 134.8% del PIL, contro il 59,8% della Germania) in un contesto dove i servizi, anche quelli privati, subiscono profonde trasformazioni. Nel nostro Paese, negli ultimi anni, il 25% gli esercizi commerciali sotto casa hanno chiuso i battenti (probabilmente non emettevano tutti gli scontrini, ma sicuramente svolgevano un ruolo di aggregazione e monitoraggio sociale di indubbio valore), mentre aumentano i comuni italiani senza filiali bancarie sul loro territorio al punto da adombrare la desertificazione bancaria (sono più di tremila i comuni privi di sportelli bancari). Il processo in sé non è da considerarsi negativamente se compensato da una crescita dell’alfabetizzazione digitale e una riduzione dei costi non necessariamente legata ad un peggioramento dei servizi. Anzi: le potenzialità dei servizi on line offrono l'opportunità di realizzare nuove soluzioni che permettono di spostare il lavoro in sedi più confacenti alla qualità della vita (dallo smart working alla rapidità con cui si possono eseguire alcune operazioni, come quelle bancarie), ma come tutti i processi di trasformazione ciò comporterà vantaggi per chi riuscirà velocemente ad adeguarsi e problemi per che faticherà nell’approfittare delle nuove opportunità.
I servizi on line e la disponibilità delle grandi catene distributive ad effettuare consegne a domicilio, hanno sopperito, almeno in parte, i disagi di questa inevitabile trasformazione, offrendo in molti casi servizi qualificati e tempestivi: progresso che però si paga in termini di relazioni umane e nell’accentuarsi di una dicotomia che vede da un lato l’affermazione dei grandi gruppi imprenditoriali (dove le condizioni di lavoro in una multinazionale sono spesso pesanti) dall’altro il concretizzarsi di situazioni di carenza di tutela come quelle degli aiutanti nei bar o nei ristoranti e dei riders (dove anche quando non lavorano in nero, sono spesso privati di un adeguato sistema di tutele).
Scenari che devono essere gestiti non più pensando di vivere al di sopra delle oggettive possibilità economiche, sempre più inficiate dall’aggressività delle nuove potenze economiche che pretendono d’imporre dazi e attuare politiche di dumping caratterizzato da aiuti di Stato che permettono d’invadere i mercati con prodotti sotto costo. Disporre di beni e servizi a prezzi contenuti affascina il consumatore ma pregiudica le potenzialità economiche nel lungo termine (ma siamo stati noi occidentali con le politiche di sostegno ad imprese decotte a dare il via a queste pratiche e Banca d’Italia ha già certificato come molti investimenti presentano un ritorno di utilità inferiore al valore degli investimenti) ed ancora più preoccupante è il Dumping sociale, dove il mancato rispetto delle leggi in materia di sicurezza, diritti del lavoratore e tutela ambientale, consente alle imprese di alcuni Stati di ridurre i costi di produzione e quindi di vendere le proprie merci a prezzi molto più bassi di quelli di mercato.
Di qui la necessità di concentrarsi su politiche pubbliche per investimenti strutturali che accrescano la produttività del sistema (e non drenino risorse ai settori strategici): il problema dell’Europa e soprattutto dell’Italia, è proprio quello di aver perseguito politiche miopi (basti pensare alla scarsa attenzione al settore dell’intelligenza artificiale, dei microchip, delle auto elettriche etc.). La perdita di competitività riduce le risorse da dedicare al welfare, compromettendo le possibilità delle categorie più a rischio: pensionati, persone fragili e giovani.
Tolti via i dogmi preelettorali, si potrà forse ragionare su nuovi paradigmi che considerino i limiti oggettivi dettati dalla realtà, la necessità di sostegno alle fasce più fragili e un utilizzo dell’intelligenza artificiale che sappia predisporre servizi sempre più individuali in base alle esigenze dei singoli, sfruttando le potenziali dei database a disposizione e la possibilità di intercettare e risolvere i problemi tempestivamente.
L’implementazione delle tecnologie avanzate, come l’Advanced Manufacturing, la robotica antropomorfa, i cobot e i veicoli a guida automatica, può ottimizzare i processi operativi e la gestione della logistica, riducendo i costi, aumentando la sicurezza e la produttività fornendo soluzioni alternative, compatibili con i nuovi scenari. È però fondamentale che le politiche economiche e sociali si adattino a questi cambiamenti per massimizzarne i benefici, minimizzando, al contempo, i loro impatti incontrollati, mantenendo la capacità di gestire il sistema con le risorse disponibili.
La caduta delle illusioni
L’apertura della procedura per deficit eccessivo per 7 Paesi UE, nonostante le estenuanti trattative e la non dominanza dei falchi in sede comunitaria (il Commissario Gentiloni non più certo definirsi un rigido monetarista), obbliga a prendere in considerazione la fine di una certa finanza che vedeva nell’allargarsi dei deficit pubblici (che pure in tante occasioni ha contribuito a superare crisi, come quella del ’29 e ad accrescere la ricchezza complessiva) la risoluzione di tutti i problemi. Dopo la Deutsche Bundesbank ora anche il Medef (l'equivalente francese della Confindustria), a due settimane dalle elezioni politiche anticipate del 30 giugno e del 7 luglio esprime le proprie perplessità su un eventuale non rispetto degli equilibri di bilancio se venissero attuati i provvedimenti preelettorali avanzati sia da destra che da sinistra, precisando esplicitamente: "Se questi programmi dovessero concretizzarsi nel 2024 o dopo, causerebbero aumenti delle tasse, la fuga degli investitori stranieri, nonché massicci fallimenti aziendali".
La Francia aveva già anticipato la fine delle illusioni sui regimi pensionistici non confacenti alla realtà economica: in Italia il tema ha riscosso scarso interesse nelle recenti elezioni, quasi a sottolineare che, con l’esagerare nelle lusinghe, poi non si ha più niente da promettere e, di conseguenza, si è ritenuto più saggio soprassedere (così forse si perdono meno voti). Il problema però esiste soprattutto in Italia, in quanto è dalla cosiddetta Legge Fornero che si propongono rinvii più che delle proposte. In Francia il problema è stato affrontato pensando di portare l’età pensionabile a 64 anni (e l’iniziativa non si può dire che abbia giovato alla leadership del Presidente Macron). Per gli italiani la pensione a 64 anni è ormai un miraggio!
L’Europa delle non pensioni
Per realizzare un “Sistema Europa”, occorre dotarsi di regole comuni, o almeno compatibili, in tutti i campi, mentre oggi la frammentazione europea dei singoli Stati porta purtroppo a non disporre di un sistema comune, nemmeno per ambiti dove è essenziale mostrarsi uniti, come costituire un esercito comune. Ancor più remota è la possibilità di armonizzare i sistemi pensionistici, dove ogni Paese continua a muoversi in modo autonomo, non solo per quanto riguarda l’età pensionabile, ma anche per le regole e il significato sociale che questo strumento può e deve ricoprire.
Partendo dal caso “pensioni”, ci si sta rendendo conto, nonostante i proclami demagogici, che non esistono “pasti gratis” e che i debiti contratti oggi, se non producono nuove ricchezze, sono un macigno per le generazioni future, così come i debiti contratti in passato sono un’insopportabile zavorra per noi e per le prossime Leggi di Bilancio.
In Italia, dopo decenni di “finanza pensionistica allegra”, oggi ci troviamo dove la volontà politica di abbassare l’età pensionistica, di aumentare le pensioni (anziché ridurre gli adeguamenti a quelle che presentano una profonda discrepanza tra quanto versato e quanto ora elargito) o di offrire scappatoie ad una sempre maggiore quantità di categorie considerate bisognose, è solo più una chimera. Da questo sito, si è più volte richiamata l'attenzione dei lettori al rischio di accogliere acriticamente promesse che non avevano alcuna concretezza, se non la ricerca del voto.[1] All'opposto, sono mancati ragionamenti da parte di tutte le componenti politico-sociali per razionalizzare il sistema che, oggi, si presenta insostenibile (prevedere una spesa per le pensioni verso il 20% del Pil nei prossimi anni, porta a non disporre di risorse da destinare ad altri settori strategici, come quello del lavoro), iniquo (sia a livello intergenerazionale, perché le pensioni erogate dopo 15 anni 6 mesi e un giorno, sono oggi pagate da chi deve lavorare 42 anni, accrescendo significativamente le differenze di variazione di ricchezza tra le persone giovani e anziane andatesi a concretizzare negli ultimi 25 anni), incerto (perché non offre agli imprenditori e ai lavoratori ipotesi su cosa succederà il 1° gennaio del prossimo anno, compromettendo la gestione e la programmazione aziendale. La Francia ha predisposto una riforma “per gradi” che porterà l’età pensionabile a 64 anni con progressività, riducendo così le iniquità, mentre in Italia l’acuirsi di queste disuguaglianze induce molti giovani a cambiare Paese in cerca di maggiori possibilità, anche in una logica di sicurezza previdenziale. Si potrà argomentare con non qualche ironia che i risultati elettorali delle Europee non hanno gratificato Macron, ma i conti si fanno sempre alla fine...
In Italia la politica del “canguro” ci ha portato a saltellare da una quota all’altra, una per ogni colorazione politica o tecnica, senza offrire risposte durature, che non possono che essere offerte dall’attuare un sistema contributivo: ragioni socio-umanitarie sulle condizioni di vita di milioni di pensionati, portano a considerare anche altri aspetti che sono però a carico della fiscalità generale e non di chi già paga i contributi, perché questo non può prescindere da una garanzia di ritorno tra quanto versato e quanto percepito.
In una generale latitanza nell’affrontare il problema, fa eccezione il fondo di Previsione Integrativa Europea (PEPP) che si configura come un nuovo strumento di pensione integrativa per consentire ai cittadini europei di accedere a un prodotto di previdenza complementare, pagato dai singoli privati, volto ad integrare i regimi pensionistici individuali pubblici, professionali e nazionali, sempre più in crisi
Se si vuole realizzare un mercato comune o più correttamente un “Sistema Europa” autonomo, indipendente, ma non deprivato della collaborazione dello scudo difensivo americano, e contrastare efficacemente politiche aggressive sia commerciali, sia militari, l’Unione Europea deve rinunciare alle attraenti illusioni del passato e dotarsi di prospettive davvero sostenibili.
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