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Roberto Prota

Dedichiamo una Borsa di Studio alla memoria Daniele Franchi

di Roberto Prota


Sono trascorsi oltre due anni dalla scomparsa di Daniele Franchi, un caro amico e, soprattutto, un grande amico della sanità piemontese e dell'Ospedale Mauriziano Umberto I di Torino cui ha dedicato una memorabile battaglia per la sua dignitosa sopravvivenza tra il finire del Novecento e l'inizio del Duemila, quando si mise in moto una diabolica macchina del fango per destabilizzare i vertici e dissolvere l'Ordine secolare che gestiva la rete ospedaliera sul nostro territorio.

In quella stagione particolare, ricordata l'11 gennaio scorso su iniziativa delle associazioni Verso Itaca e La Porta di Vetro,[1] furono le sue idee e la sua visione del mondo, fecondate da una grande onestà intellettuale e blindate da coerenti convincimenti e comportamenti personali, a unire e a cementare la volontà di giustizia per il Mauriziano da parte di donne e uomini con opinioni diverse tra di loro, sia all'interno degli ospedali, sia del Consiglio d'amministrazione dell'Ordine.

Di qui, la convinzione personale che i tempi siano maturi per investire e formalizzare una Borsa di Studio con il suo nome, affinché nel tempo sopravviva la sua figura. Confido che le istituzioni, i vertici dell'Ospedale e tutti coloro che hanno conosciuto Daniele Franchi, sappiano condividere nel migliore dei modi questo percorso.   Non sarà un'impresa facile, ma noi saremo vincitori e sereni soltanto se riusciremo a garantire la continuità della sua passione e del suo pensiero. Passione e pensiero che ebbi modo - e qui apro una finestra tutta personale - quasi 20 anni fa, in occasione di una circostanza importante per la salute di sua moglie Adriana. A distanza di anni ho ancora ben chiaro il momento ed il luogo: ero intento a visitare la paziente e notai questa figura immobile, educatamente a distanza di un paio di metri non di più, che con occhi vigili catturava insieme con le parole i miei movimenti.

La fragilità della paziente in quel momento si incastonava perfettamente nell’autorevolezza dell’uomo che a sua insaputa (forse) cercavo di studiare perché avvertivo quanto uscisse, attraverso brevi frasi, dalla convenzionalità. Ricordo di aver conversato a lungo con la signora. Ricordo di averla rassicurata che ne avrei seguito la patologia. Al termine della visita, Daniele mi disse solamente: “grazie davvero!”  Nel tempo ho imparato che quel suo dire “grazie davvero” conteneva tutto e oltre.

A seguire è stato tutto molto naturale, ci siamo rivisti in occasione dei controlli clinici di Adriana e abbiamo cominciato a parlare di politica, società, uguaglianza sociale. Aveva una profonda conoscenza su tutto e, con l'ingresso in una familiarità non scontata, cominciò a raccontarmi la sua storia. Ero esterrefatto e sbalordito dai sui racconti, e da quei passaggi in cui le parole si misuravano con i principi e onestà che quotidianamente esprimeva nei rapporti con terzi.  Nel breve mi diede del tu e con quell'avvicinamento crebbe anche la nostra amicizia personale e familiare, mentre prendeva corpo la necessità di gestire la sua malattia, invalidante ed irreversibile, di cui poche persone erano a conoscenza.

Razionalità, forza e capacità decisionale lo hanno sempre accompagnato nelle fasi in cui il male lo rincorreva, spietato e cinico. Ma, testardo, testardi vorrei aggiungere, insieme usammo il dialogo, i commenti dei giornali e la passeggiata in corridoio durante la sua degenza in reparto, per concederci quel tempo che entrambi sapevamo che non avremmo più avuto.

Ora, ripenso a quanto gli chiesi anni prima, quasi a bruciapelo: senti Daniele, ma noi siamo amici? Lui mi guardò e mi rispose: di più!

Il filo continuo della nostra amicizia ed affetto reciproco destinato a durare per sempre è semplicemente racchiuso in quel “di più” lui per me io per lui.

La testimonianza di persone a lui vicine confermano inequivocabilmente la statura dell’uomo. Lui è stato e sarà parte della storia degli uomini e soprattutto esempio di rettitudine per le generazioni attuali e future. Dunque, chi ha avuto il privilegio di conoscerlo, ha anche l’obbligo morale di garantirne la memoria. Una Borsa di studio a suo nome credo che sia il viatico migliore per un ricordo che non deve sbiadire.


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