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Ddl Zan affossato, vince il primato della violenza come il 28 ottobre 1922

di Menandro|

“Punita l’arroganza di Pd e M5S”. Con questa espressione, Matteo Salvini, Giorgio Meloni e Matteo Renzi, sono balzati a piedi giunti sui titoli dei quotidiani, ben oltre la stessa vicinanza fisica (Renzi è in Arabia) e ideologica, dopo il voto sul Ddl Zan al Senato. Ma a tutti e tre va riconosciuto il merito indiscusso di non aver barato con gli italiani. Insieme hanno avuto il coraggio di compiere un’operazione-psichica di verità, proiettando su altri (il Pd e Letta) ciò che loro sono: arroganti, appunto. Ma di un’arroganza goliardica, oseremmo dire simpatica, esplicitata centinaia di volte con estrema onestà, affermando tutto e il contrario di tutto con le loro raffinate giravolte e veroniche politiche, privilegiando i citofoni di casa d’altri per non aprire le porte scomode di amici e collaboratori o interrogandosi sulle “matrici” (matematiche?) di persone conosciute, incontrate o semplicemente di cui si conosce perfettamente l’esistenza e cursus honorum della violenza con relative condanne passate in giudicato. Insomma, tutto si tiene. Anche la stessa violenza che il decreto Zan, pur con alcuni articoli estremi, aveva l’ambizione di reprimere culturalmente, prima ancora che giudiziariamente, per costruire una società fondata sul rispetto e sulla tolleranza, in cui ognuno possa dire chi è e chi si sente di essere veramente e non essere costretto a nascondersi e difendersi con il conformismo. Una società nuova reclamata per prima dalle giovani generazioni, le stesse che dalle prossime elezioni potranno votare per il Senato a 18 anni. Ma l’arroganza non contempla, si sa, le buone azioni. Anzi. Si nutre di scontro, di interessi individuali più che del bene collettivo e, in questo caso, di affossare il Ddl Zan per ridisegnare nuove alleanze con cui guardare al Quirinale, prove tecniche di potere indifferenti alle ragioni di protezione per i più esposti che privilegiava il decreto. Del resto, a trionfare in questa ennesima sfida all’OK Corral tra i banchi parlamentari, è sempre la storica violenza che ritorna, che proprio 99 anni fa, il 28 ottobre del 1922, si esaltò anche a futura memoria con la Marcia su Roma delle camicie nere fasciste (matrice certa), da cui Benito Mussolini trovò convinto sostegno per affermare alcune settimane dopo in Parlamento, il 16 novembre, che avrebbe potuto “fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli…”, seppellendo de facto l’Italia liberale. E c’è da domandarsi se ieri quei senatori urlanti e festanti come da una curva calcistica non si fossero proprio calati nelle scene di un secolo fa (anche se a pensare male si fa peccato…), seguendo un copione da cui la nostra società non riesce proprio ad emendarsi. Una violenza che attinge a piene mani con l’omofobia, con la prepotenza sulle donne, con le aggressioni alle Camere del Lavoro, con i talk show aggressivi ed esteticamente ributtanti in cui la trivialità e la maleducazione valgono più del Green pass e, in alcuni casi, strumentalizzando la fede cristiana, come se la parola di Cristo fosse sinonimo di divieto e non di accoglienza e amore come insegna il Vangelo. Stavolta, però, ne siamo certi, la società non si ripiegherà su sé stessa come nel 1922.

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