top of page

Dazi esasperati: dai conflitti ideologici ai bluff scontati

di Emanuele Davide Ruffino


A giudicare dallo spazio acquisito sui mass media l’economia è diventata un’alchimia nel predisporre dazi e contro-dazi, più che approntare ragionamenti sul funzionamento del sistema e definire una visione generale di progresso economico e sociale. Il dibattito è tutto concentrato nel definire vantaggi di parte e convincere la controparte della possibilità di scontare danni superiori o a lanciare minacce per poi ritirarle se non sortiscono l’effetto sperato. Una specie di partita di poker, dove contano più i bluff che le carte ed il ritiro della minaccia di dazi superiori al 100% sui prodotti cinesi ne è una dimostrazione.

Pur non sottovalutando l’importanza dei dazi, questi sono solo uno dei tanti tasselli che regolano il commercio tra le comunità economiche appartenenti ai singoli Stati: l’impatto dei dazi può infatti essere mitigato o amplificato dalla svalutazione/rivalutazione delle monete (dall’inizio della guerra dei dazi, il dollaro si è significantemente apprezzato annullando in parte l’effetto dei dazi), dal sistema impositivo, dalle sovvenzioni elargite alle aziende locali, dalle tasse aereoportuali, ma prima ancora dalla burocrazia e dalla difficoltà dei collegamenti imposti dalle crisi geopolitiche.

L’affrontare solo uno di questi aspetti non permette di capire la situazione, né di definire una visione ideologica sul futuro della società. Infatti si registra un po’ di confusione sui sostenitori e detrattori dei dazi.

 

Reagan opposto di Trump

Occorre ricordare come in un video del 1987, l'allora presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan spiegò con chiarezza agli americani l’inutilità dei dazi e i rischi che questi producevano sull’economia mondiale. La confusione sta nel fatto che chi criticava Reagan, sono gli stessi che oggi criticano Trump (e viceversa), a dimostrazione che prevale l’agone partitico sulla possibilità di elaborare una visione politica. Sull’argomento, cioè, diventa difficile parteggiare contemporaneamente per Reagan e Trump e, per analogia, criticarli entrambi.

La Reaganomics aveva una visione liberale della società ricercando una sistematica riduzione di tutte le componenti che limitavano il libero mercato, mentre Trump adopera i dazi per sfalsare il mercato, ma di certo non è stato il primo. Chi oggi critica questo atteggiamento dimentica quante volte, soprattutto in Italia, sono stati invocati dazi per contrastare le abbondantissime sovvenzioni elargite dal governo cinese alle sue industrie automobilistiche, oppure i ripiani elargiti per decenni all’Alitalia con i bilanci in rosso, o per i danni subiti a causa di assurde regole burocratiche o i costi derivati dall’inefficienza del sistema energetico.

La mancanza di ideologie di riferimento porta a ritenere che ogni balzello sia lecito se attuato a favore dei propri interessi ed illiberale negli altri casi: non proprio l’espressione di un pensiero evoluto. Tant’è che oggi il capital-comunismo cinese sembra imbracciare la bandiera del liberalismo a difesa del mercato, mentre gli americani sembrano essere i peggiori nemici della NATO, cioè della stessa Alleanza politico-militare che essi stessi hanno creato nel 1949, un anno prima dello scoppio della guerra di Corea che li vide fronteggiare l'esercito popolare di Mao Tse-Tung.

 

Le infinte interdipendenze dell’economia

Tranne che in alcune visioni manichee, le tendenze politiche del secolo scorso si distinguevano tra quelle che ritenevano che gli interventi dello Stato (i dazi, come le altre imposizioni stabilite dal legislatore), potessero essere utili in alcuni passaggi o fasi economiche, ma che non potevano sovvertire le realtà economiche, mentre altri ritenevano che lo Stato dovesse regolare ogni passaggio dell’economia (il vecchio confronto fra dirigismo socialista e liberalismo democratico, con la storia che ha decretato un netto successo a favore di quest’ultimo).

Discorsi però un po’ datati, perché ogni situazione, essendo l’economia una scienza umanistica dettata dal comportamento degli uomini, richiede analisi specifiche e non dogmi incontrovertibili, ma soprattutto perché il potere politico in capo ai singoli Stati si è andato profondamente ad indebolire, come dimostra l’inefficacia delle sanzioni, gli scarsi controlli sulle criptovalute o il proliferare dei commerci illegali.

I dazi, in questo scenario, sono solo un tassello di un mosaico molto più ampio e complesso dove ogni ideologia deve essere rivista, in quanto nessun algoritmo è di per sé esaustivo nello spiegare la realtà.

Reagan argomentò che i dazi e le altre imposizioni dettate da un eccesso di statalismo avrebbero ridotto la competitività delle imprese e indotto un aumento dei costi in quanto limitano la concorrenza: i dazi possono risultare indispensabili quando i competitor adottano pratiche illegali (come sovvenzionare le imprese nazionali a scapito delle concorrenti, come ha fatto la Cina, l’America di Biden e, ovviamente, anche l'Italia un’infinità di volte) o eticamente deprecabili (come sfruttare mano d’opera infantile). Inoltre, proteggere le industrie nostrane, oltre un certo limite, le disincentiva a migliorare la produttività e a cercare d’innovarsi, inducendo una riduzione della produttività nel lungo termine (e ciò può spiegare, in parte, lo scarso successo delle aziende sovietiche).


Governi prigionieri di sé stessi

Dovrebbe essere la sensibilità dei singoli consumatori a selezionare i prodotti che presentano rischi etici nella modalità di produzione, mentre invece diventa quasi un diritto, poter sceglier i prodotti da coloro che riescono a realizzarli a prezzi più convenienti a scapito della tutela dell’ambiente e della dignità dei lavoratori. Esigenze non sempre facili da conciliare in quanto enormi sono gli interessi e gli attori che entrano in gioco, tantoché il ruolo dei singoli Governi, (ma ormai anche quello delle Banche Centrali e degli Organismi Internazionali) appare sempre più marginale nel condizionare le realtà economico-sociali. Ed è forse questa la lezione che ci sta dando la guerra dei dazi: una crescente pretesa dell’opinione pubblica di richiedere ai Governi di gestire fenomeni complessi (per non dire impossibili), ma nel contempo richiedere una riduzione dei poteri. Delegittimati e sottoposti ad un continuo esame da parte dei sondaggi (e con tornate elettorali sempre più esasperate), i Governi si trovano impossibilitati a operare e, di conseguenza, tendono a rifugiarsi in slogan tanto salvifici quanto irrealizzabili (che però continuano ad affascinare gli elettori).

Gli americani, con Obama, Biden e ora Trump, sono angosciati dal problema di un deficit pubblico oramai insopportabile e che li espone a rischi di speculazione. Ciò dovrebbe insegnare a non pensare che i problemi si risolvano con l’aumentare ulteriormente il deficit, perché ora i sostenitori dei dazi si trovano a doversi far carico di una medicina amara, ma le alternative rischiano di essere medicine ancora più amare, di cui nessuno si vuole accollare la paternità. Meglio trovare un nemico cui dare tutte le colpe e Trump, con le sue esternazioni, in questo ruolo, sembra riuscire molto bene.

 

 

 

 

Comments


L'associazione

Montagne

Approfondisci la 

nostra storia

#laportadivetro

Posts Archive

ISCRIVITI
ALLA
NEWSLETTER

Thanks for submitting!

bottom of page