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Dai ballottaggi nuova linfa vitale per il centrosinistra

di Beppe Borgogno


Pur con le attenuanti che vanno considerate quando ci si trova di fronte ad un voto amministrativo, ma ricordando anche il recente risultato delle elezioni europee, è piuttosto chiaro che il centrosinistra è riuscito a darsi, nell’ultimo anno, una fisionomia almeno competitiva, per nulla scontata fino a qualche mese fa. Merito, molto probabilmente, della linea ed anche del linguaggio e della  comunicazione della “gestione Schlein”. Tutto ciò nonostante le divisioni, le incertezze e i difetti, talvolta quasi strutturali, che perdurano.  

Abbiamo di recente discusso, ad esempio, di quanto queste brutte abitudini siano state determinanti per la sconfitta elle elezioni regionali piemontesi. In parte ne abbiamo avuto la conferma, ancora in Piemonte, nel risultato di Vercelli, ma soprattutto di Verbania, dove proprio le divisioni ed i litigi oltre la soglia fisiologica hanno condannato il centrosinistra alla sconfitta. Al contrario, dove c’è stata, attorno a candidature a sindaco di figure autorevoli e riconosciute dai cittadini, la voglia e la capacità di costruire alleanze larghe e radicate nelle comunità locali,  la vittoria è stata netta. E va sottolineato come ciò sia accaduto, talvolta, “nonostante” i gruppi dirigenti locali dei partiti della coalizione.  Ha certamente un significato politico generale, da analizzare però senza trionfalismi eccessivi, la vittoria del centrosinistra in tutti i capoluoghi di regione in cui si è votato domenica e lunedi, come in tanti altri importanti centri. In Piemonte sono da sottolineare i risultati di Rivoli e di Leinì, che dopo quello di Settimo Torinese (successo al primo turno di Elena Piastra, al suo secondo mandato) confermano la tenuta di quello che un tempo veniva definito il “fortino rosso”. Contemporaneamente viene un’altra conferma: nelle zone più lontane dai grandi centri urbani le difficoltà rimangono, e in Piemonte è piuttosto netto il divario tra l’area torinese ed il resto della regione. Tutto ciò al netto dei litigi oltre misura, come abbiamo detto; in proposito, con l'occhio rivolto alle vicende che si sono registrate a Moncalieri tra la ex assessore alla Cultura Laura Pompeo e il sindaco Paolo Montagna, entrambi Pd, il centro sinistra può tirare un sospiro di sollievo... visto che lì non si è votato.

C’è un altro elemento che va considerato, e che è subito diventato un tema del dibattito post-voto: il sistema elettorale a doppio turno utilizzato per le elezioni nei comuni sopra i 15 mila abitanti. E’ un meccanismo che “storicamente” ha favorito il centrosinistra: perché in uso nei centri più importanti, dove il centrosinistra, come abbiamo visto, è tendenzialmente più forte; perché quelli sono i luoghi in cui è più facile incontrare una società civile attiva ed organizzata, da cui è capitato spesso che proprio il centrosinistra abbia tratto i propri candidati; perché consente, al secondo turno, agli elettori di scegliere il candidato che considerano più vicino o più affidabile, anche a prescindere dalle scelte o dalle indicazioni dei partiti che hanno votato al primo turno, rendendo possibili persino esperimenti indigesti ai leader nazionali (ci sono casi in cui il ”campo largo” o similari si formano quasi naturalmente).

Tra i tanti sistemi elettorali utilizzati nel nostro paese quello per i comuni è il più “anziano”, e dura ormai da più di trent’anni. Nacque per contrastare l’instabilità cronica delle amministrazioni locali, per anni ostaggio delle liti e dei “giochetti” tra i partiti, e fu un autentico spartiacque per aprire la strada a quella che allora fu definita la Seconda Repubblica: maggiore vicinanza ai cittadini, maggiore autonomia per i sindaci e stabilità. Credo che si possa affermare, senza dubbio, che questo sistema ha funzionato, in tutti questi aspetti, Certamente non peggio dei sistemi elettorali usati per le elezioni politiche, già cambiati diverse volte e non certo nella direzione di un rapporto più stretto tra elettori ed eletti.

Naturalmente anche l’elezione dei Sindaci sconta oggi l’impatto fortissimo dell’astensionismo: un problema molto grande, ormai un serio problema democratico, che riguarda ormai da tempo ogni tipo di elezione. Un problema che non può più essere ignorato, come molti (ma evidentemente non abbastanza) ripetono da tempo. E che va affrontato nelle sue cause strutturali: ridando forza e “utilità” alla politica ed autorevolezza a chi la interpreta, tornando a vivere e a costruire la democrazia come qualcosa che trascende il periodico appuntamento alle urne. Ed accettando, per comprenderle e se necessario correggerle, le contraddizioni di una società sempre più complessa.

C’è invece chi, come il Presidente del Senato (per lanciare un segnale politico?) ancora una volta, anziché curare la malattia, pensa che sia sufficiente vestire bene il malato, o addirittura usarla per trarne vantaggio.

Credo che vada letta così la proposta di Ignazio La Russa, a suo dire per contrastare l’astensionismo, di cancellare il doppio turno nei comuni.

E’ curioso infatti che un così autorevole esponente del centrodestra non si preoccupi di come garantire un contenuto democratico e di equilibrio del sistema elettorale per Camera e Senato (che oggi prevede il premio di maggioranza, senza poter scegliere i candidati, indicati invece dai partiti) per farlo eventualmente convivere con l’elezione diretta del Premier, proposta dal centrodestra, per attaccare invece quello che lui e i suoi, forse,  ritengono essere “migliore” per l’avversario. Sbagliando lettura. Come abbiamo visto, nei Comuni più grandi il centrosinistra prevale per ragioni ben diverse dal sistema elettorale. E l’efficacia democratica e di rappresentanza di quel sistema va misurata semmai sui due turni: il primo turno alle elezioni comunali continua ad essere la scadenza più partecipata dai cittadini, ed è un passaggio che garantisce comunque che chi ha preso più consensi sarà adeguatamente rappresentato.

Ma la cosa più seria è ancora un’altra: chi pensa, come è accaduto tante volte, di poter misurare le regole del gioco in termini di vantaggi o svantaggi per l’uno o per l’altro, e non per la sua “efficacia democratica”, sbaglia.

Chi pensa di poter risolvere il problema dell’astensionismo e della disaffezione al voto attraverso espedienti tecnici, sbaglia altrettanto. Anzi, probabilmente finisce per rendere ancora più lontana e incomprensibile la politica. Ma, forse, lo ritiene il suo interesse prioritario: a pensare male, come diceva Andreotti, spesso si azzecca...

E infine, chi pensa di rispondere alla complessità dell’oggi con l’accentramento e la semplificazione forzate (come nel caso del Premierato, un uomo, o una donna, soli al comando), commette l’errore più grave. Ad attenderci rischia di esserci una stagione di conflitti, con strumenti sempre meno efficaci per gestirli.

Alla fine, anche una semplice e normale scadenza elettorale per rinnovare i Sindaci di molti Comuni, ci fa capire quanto sia importante per il centrodestra la partita per riformare le regole. E’ il grande appuntamento dei prossimi mesi, da cui dipenderà un bel po’ del nostro futuro, probabilmente.

E anche il risultato del turno amministrativo dovrebbe far capire al centrosinistra quanto siano importanti le alleanze: per vincere le elezioni, ma ora per contrastare il cammino delle riforme proposte dalla destra.

 

 

 

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