Cronicità: la parola che sta cambiando la sanità italiana
di Gian Paolo Zanetta
Le malattie croniche stanno invadendo - è il termine non è usato a caso - la nostra società sempre più longeva e, di rimbalzo, stanno imponendo una mutazione quasi genetica al nostro sistema sanitario, schiacciando in più casi le strutture ospedaliere (in primis i Pronto soccorso) e il sottraendo spazio di manovra al Welfare più in generale, con una velocità direttamente proporzionale non soltanto - è quasi banale dirlo - alla quantità e dimensione del fenomeno, quanto anche alle molteplici "qualità" del fenomeno medesimo che nei fatti hanno preso in contropiede i gestori della salute pubblica in Italia. Un problema che si sta imponendo come "il problema" della sanità italiana e che oggi chiama la classe politica a un intervento straordinario e senza precedenti per rispondere a una società che comincia a comprendere quotidianamente sulla propria pelle il significato della parola invecchiamento associata proprio alla cronicità. Sul tema, la Porta di Vetro presenta in anteprima l'estratto de "La trasformazione dei sistemi sanitari e sociali sotto la spinta della cronicità", un lavoro di Gian Paolo Zanetta di prossima pubblicazione su Logos, la rivista di scienze etiche e sociali edita dalla Piccola Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo.
Cronico non è parola presente nella carta Costituzionale: per un’epoca , nella quale gli ultrasessantacinquenni rappresentavano l’8,1 % della popolazione residente e l’età media di morte era 46 anni, la tutela della salute prevista dall’articolo 32, rappresentava la risposta pronta, immediata a problemi endemici della nostra Repubblica, che doveva ancora affrontare un livello di mortalità infantile alto, superare un sistema sanitario non universalistico ed equo, risolvere bisogni sanitari prioritari per la sopravvivenza. L’assistenza, garantita dall’articolo 38, era l’espressione di un paese che doveva ancora combattere con diffusi infortuni sul lavoro, patologie invalidanti e malattie endemiche, mancanza di reddito nelle condizioni di vecchiaia ed assenza di lavoro, produttivo di reddito stabile e duraturo.
Tutto ciò impone oggi una riflessione sul sistema sociale presente nel nostro paese e sull’evoluzione del quadro attuale.
Entrambi gli articoli della Costituzione sono ancor oggi i caposaldi di un concetto di solidarietà sociale, che anche la Corte costituzionale ha più volte ribadito come centrale nella nostra società, e richiamato come fondamento di vita di una comunità, finalizzata alla promozione del bene comune e della giustizia sociale. La persona, e questo è lo spirito della Costituzione, è l’origine e lo scopo essenziale della vita sociale. In questo sta ancora oggi la attualità della Costituzione, nella parte riguardante i “Principi fondamentali”: il mutare delle condizioni del paese, il cambiamento epidemiologico e demografico che sta trasformando il quadro dei bisogni di salute e di assistenza, trovano un sicuro riferimento, anche nel mutar dei tempi, a quegli articoli, a quelle tutele, a quei principi. Che non si parli di cronicità, nulla significa: la tutela riguarda la salute e la persona, qualunque siano le emergenze e qualunque sia l’età.
La parola cronicità è diventata l’emblema, il paradigma di una radicale trasformazione del sistema sanitario, traguardato sia sul versante dei bisogni sia sul versante di una emergenza che rende indispensabile una riconversione del sistema stesso. Infatti, praticamente assente nella legislazione italiana in materia sanitaria, a partire dalla costituzione fino alla riforma Balduzzi, il malato cronico è oggi al centro dei più recenti provvedimenti governativi, ultimo tra tutti il Decreto Ministeriale 77 del 22 maggio 2022.
Non solo, ma il termine, che nella più aulica e storica accezione sottendeva essenzialmente la persona anziana, oggi si riferisce ad una più ampia categoria di popolazione, ricomprendendo non solo l’anziano non autosufficiente (non l'anziano attivo, altra nuova categoria), ma anche il malato cronico ed anche con plurimorbilità, e la persona fragile. Quindi il concetto di cronicità non può più essere racchiuso soltanto nel significato di persona anziana.
Ed ancora: la sintesi operata dal termine cronicità è attualmente il motore, si spera uno stimolo definitivo, per superare schematismi ormai obsoleti e suddivisioni che hanno rappresentato un ostacolo per lo sviluppo di un sistema di welfare che, nel nostro paese, ha comunque raggiunto livelli di eccellenza, seppur in costanza di una variegata diversità territoriale.
Parlo della dicotomia ospedale-territorio, parlo della frattura tra sanità ed assistenza, parlo della articolazione, mai tutelata in termini di corretta allocazione di risorse, tra prevenzione, cura, riabilitazione. Oggi si tratta di medicina personalizzata, di medicina di iniziativa, di progetto di salute, di piani assistenziali individuali: trasformazione lessicale dalla quale ci attendiamo una reale diversa modalità di presa in carico del cittadino. Credo che un quadro demografico profondamente modificato, l’aumento del disagio sociale, un bilancio statale drammatico per carenza di risorse, una soglia di tutela sanitaria ed assistenziale dalla quale è impossibile tornare indietro, pena la rivolta del sistema paese, impongano una radicale riconversione dell’intervento pubblico, eliminando quelle distorsioni e quelle deformazioni gestionali ed amministrative che non possiamo più permetterci. Si deve recuperare appropriatezza, efficacia, sicurezza delle cure, difendendo equità ed universalismo.
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