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Mauro Nebiolo Vietti

Corte Penale Internazionale: si condanna gli uomini non i popoli

Aggiornamento: 5 giu

di Mauro Nebiolo Vietti


234° giorno, oggi, 27 maggio, dall'incursione omicida di Hamas in Israele. E 233° giorno dalla reazione progressiva per intensità e durezza militare di Israele nella Striscia di Gaza. Un attacco aereo israeliano nella notte ha distrutto un campo di sfollati a Tal Al Sultan, a Rafah. Il bilancio è impressionante: 28 morti e 180 feriti, parte dei quali trasportati al Centro per la stabilizzazione per pazienti con traumi supportato da Medici Senza Frontiere (Msf), aperto il 15 maggio scorso. Una delle operatrici ha dichiarato in un'intervista alla Rai: "Siamo devastati e non abbiamo più parole per descrivere l'orrore".


La richiesta di cattura, su cui deve pronunciarsi la Corte Penale Internazionale, nei confronti del primo ministro e del ministro della difesa israeliano nonché di tre figure apicali di Hamas, non è stata per lo più percepita correttamente. Non sono stati messi sotto accusa lo Stato di Israele ed il popolo palestinese, ma solo alcuni soggetti a cui sono imputati comportamenti integranti gravi reati. Come ci ha spiegato Vladimiro Zagrebelsky, “la Corte Penale Internazionale giudica persone, non Stati e la responsabilità è personale”.

Per molti la richiesta nei confronti dei membri del governo israeliano è vissuta come una legittimazione dell’antisemitismo in termini globali, per altri, più moderati, la decisione è una chiamata all’antisionismo. Di converso, per alcuni la richiesta di cattura dei capi di Hamas suona come l’emersione del male assoluto e la loro eliminazione è prodromica a quella di tutti gli attivisti anche se, finora ed in particolare sul campo di battaglia, nessuno si è impegnato ad individuare i criteri distintivi tra un aderente ad Hamas ed un palestinese normale.

E’ ovvio che le decisioni della Corte influenzeranno il quadro politico, ma ciò avverrà come effetto collaterale, come è avvenuto quando sotto accusa sono finiti il premier serbo Milosevic ed i suoi generali processati per fatti personali e non come organi di uno Stato. Anche se la responsabilità penale è personale, gli effetti di tali comportamenti possono essere devastanti e il principale, come risulta dalle circostanze emerse in questi mesi di guerra, è la colata di odio che ha coinvolto strati interi della popolazione e Netanyahu non ne risponderà mai anche se questi perdureranno almeno per una generazione, sempre che si fermi questa follia.

I mass media hanno fatto emergere in questi mesi di guerra episodi fino ad allora ignoti od ignorati, ma significativi. E’ stato, per esempio, documentato che l’addestramento dei soldati è diverso da quello generalmente adottato ove si impara l’uso delle armi, il coordinamento con i commilitoni e quant’altro necessario per affrontare situazioni belliche.

Nell’esercito israeliano ci si addestra anche ad identificare il nemico come personalizzazione del male cosicché la sua eliminazione non è dettata esclusivamente dalla necessità di difendere se stessi ed i compagni, ma l’uccidere diventa un dovere e questa mentalità spiega episodi che è eufemistico definire deplorevoli; ad esempio, pochi giorni fa una pattuglia israeliana è passata in auto vicino ad un gruppo di ragazzi che giocavano; un ufficiale ha aperto la portiera e ne ha ammazzati due con la pistola e, per rintracciare episodi simili, è sufficiente sfogliare i giornali degli ultimi mesi.

La vicenda più violenta della guerra non però militare, ma è da attribuirsi ad una donna (non ricordo il nome) che, nel corso di un’intervista, al giornalista spiega di essere la portavoce del gruppo espansionista il cui scopo è di creare nuovi insediamenti. La donna, rispondendo alle domande, spiega di essere a capo di un team di architetti, urbanisti ed economisti che stanno disegnando la nuova Gaza, ovviamente abitata solo da israeliani. Alla richiesta di conoscere il destino dei palestinesi, che hanno finora vissuto in zona, la risposta è netta “non esiste uno stato della Palestina e quindi i palestinesi non esistono”.

Nell’evidenziare questa colata di odio che nessuno riesce a fermare, chi legge il testo si sarà convinto che l’autore di questo articolo se non è antisemita o antisionista è, per lo meno, filo arabo; niente di tutto questo.

Al contrario, il mio filo sionismo ha diverse sfaccettature; dopo la Shoah il popolo ebraico ha diritto ad un territorio, è poi ammirevole come gli israeliani abbiano saputo trasformare il deserto in fonte di ricchezza ed infine perché non possiamo fare a meno di uno stato democratico che costituisce una nostra punta avanzata in una zona dove la storia e la cultura dei popoli nordafricani impedisce che il concetto democratico faccia presa.

Ma questo non significa accettare ruoli e comportamenti degli israeliani che è difficile distinguere da ruoli e comportamenti di chi li ha perseguitati.

A tutto ciò si aggiunga che Netanyahu è tutto tranne che un arguto politico; nessuno crede che il servizio di intelligence israeliano non fosse informato dell’assalto da parte di Hamas. I servizi segreti hanno dimostrato negli anni di sapere non solo in che città e casa si trova un loro nemico, ma anche in quale stanza, capacità che ha permesso l’eliminazione di molti avversari; Netanyahu sapeva, ma aveva necessità di un pretesto che Hamas gli ha offerto chiudendolo in una trappola. E’ probabile che Hamas abbia calcolato che persone intrise di odio come Netanyahu e la sua squadra avrebbero iniziato una guerra con un duplice effetto: provocare un sempre più esteso isolamento di Israele e valorizzare le istanze palestinesi che, mi auguro, siano accolte per la parte relativa al riconoscimento di uno stato palestinese.

Ma c’è un terzo effetto strisciante e per ora sotterraneo: la dimostrazione al mondo arabo che Israele può essere distrutto e solo se Stati Uniti e l’Occidente sapranno sostenere efficacemente il contrario, Israele si salverà e forse sarà evitata una guerra di più ampia portata.

 

 


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