Corso Belgio: emozioni e testimonianze alla vigilia della I udienza in Tribunale
di Aida dell'Oglio
Sono ormai trascorsi due mesi e mezzo da quando, la sera del 26 giugno, dopo il secondo tentativo di dare inizio agli abbattimenti, impedito da un numeroso gruppo di residenti di corso Belgio: signore che con la carrozzina si sono poste davanti alle ruspe pronte per l'operazione, giovani e meno giovani saliti sugli aceri pericolosamente minacciati di essere i primi a cadere sotto le motoseghe, signore incatenate per i polsi all'albero fronzuto che, in tutta evidenza, ospitava nidi di piccoli uccelli nati da poco, un gruppo di coraggiosi ha cominciato ad allestire il gazebo, davanti al numero 55, al limite della zona immediatamente minacciata.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, anche quella che nell'unica violenta grandinata notturna, in agosto, ha costretto i presidianti, alle 23,30 di notte, a chiedere ospitalità agli abitanti del portone vicino, perché l'acqua, che dovrebbe defluire nei tombini sotto i marciapiedi, invece si riversava copiosa sopra lo sterrato del gazebo, costringendoci a scappare. Quello, sia pure nel divertimento generale, eravamo in cinque in quelle ore, è stato un momento critico.
Ma nel complesso, l'esperienza del gazebo, affrontata da partecipanti di ogni età, è stata profondamente positiva, ha messo infatti a contatto persone di varia estrazione, medici, avvocati, tecnici, insegnanti, commercianti, casalinghe e disoccupati di entrambi i sessi, e ognuno di loro ha liberamente contribuito con l'apporto della sua esperienza professionale e umana.
Fa sorridere sentire talvolta le voci da bar di gente che si chiede chi ci finanzia e trova anche le più svariate e fantasiose risposte. Nessuno ci finanzia. Questo è il bello. Ci siamo inizialmente autotassati e poi, di tanto in tanto, qualcuno dei firmatari ha lasciato qualche euro. Ma si sa, lo dicevano i nostri nonni: “Dove sputa il popolo... “Beh, non è che si siano davvero formati i laghi, ma siamo riusciti a provvedere a tutto quanto occorreva per i materiali vari necessari per la comunicazione esterna. E poi, la fantasia ha fatto il resto.
Venerdì sera c’è stata la nostra ultima assemblea organizzativa, per prepararci all'evento di domani, mercoledì 13, alle 11, quando il Giudice si dovrà pronunciare sulla validità della nostra opposizione e sul Progetto della Giunta Lo Russo. Tutti riponiamo le nostre speranze sulla decisione del Giudice. Siamo convinti che in questo lungo periodo si sarà fatta una sua idea precisa su quanto sta avvenendo a Torino, sulla pretestuosità, in molti casi, degli interventi demolitori, sull'inconsistenza di quella che viene definita “riqualificazione ambientale”.
Trovo nell'articolo apparso il 2 settembre sul Manifesto, a firma di Sarantis Thanopulos, psicoanalista e presidente della Spi (Società psicoanalitica italiana), il richiamo alle immagini metafisiche di De Chirico, alle sue piazze vuote e desolate, ai suoi manichini freddi, seppure geometricamente perfetti, che Thanopulos accosta a quanto ci viene proposto come restyling delle nostre città. E' il primo pensiero che ho avuto guardando le foto che l'Amministrazione ha fatto circolare da molti mesi, in cui si prefigura l'aspetto che dovrebbe avere corso Belgio, privata dei suoi aceri, ripiantumata con specie di piccolo ingombro, di nessuna ombra, che non richiedano alcuna cura e che, vivono poco più di vent'anni. Il vuoto metafisico di quell'immagine mi è rimasta impressa nella sua freddezza desolante.
Capisco l'irritazione dell’assessore Francesco Tresso, di fronte alla critica articolata del giornalista, molto meno comprendo il tentativo di giustificare il Progetto sottolineando gli aspetti positivi, pochi a nostro avviso, e tutti riconducibili a fattori economici del restyling, sorvolando sui molti e pesanti problemi che lo stesso comporterebbe in tema di salute pubblica. Ma non solo. E poi, ci sono quei due alberi del Corso, fotografati in pieno inverno, spogli e scheletriti...
Certo speriamo tutti in un blocco definitivo di questo frettoloso Progetto, ma anche trepidiamo di fronte ad un esito che ha i suoi aspetti di incertezza, considerato il silenzio di chi avrebbe potuto e dovuto essere al nostro fianco. Però, questa mattina Alessandro si è fermato al gazebo a parlare con noi. Ha dodici anni Alessandro ma l'atteggiamento di un adulto. Sa già, con grande chiarezza, qual è il contributo che può dare alla società. Mi ha chiesto di firmare la Petizione che ormai conta quasi undici mila aderenti.
L'ho guardato perplessa: un ragazzino. Lui ha capito al volo e si è presentato.
Non ha ancora tredici anni, inizierà tra poco la terza media nella scuola di quartiere, ma si è già da tempo assunto l'impegno di tenere pulita la città. Gira il quartiere con il carretto dell'Amiat, in cui raccoglie la varia spazzatura che altri ragazzi, suoi coetanei, ma anche adulti, abbandonano nei giardini pubblici e sui marciapiedi cittadini. Sulla blusa porta il cartellino di identificazione con la scritta e il logo dell'Amiat, “l'azienda per cui faccio volontariato”, mi informa con orgoglio.
Ed ha già la consapevolezza dell'adulto quando racconta dell'irrisione di cui è fatto oggetto dai compagni di scuola, suoi coetanei. “Ma non ci faccio caso. So che è giusto contribuire allo sviluppo della società di cui sono parte”.
E' solo un adolescente che non può ancora firmare? Io glielo permetto, annotando a fianco l'età. E mi spiace che la sua firma farà parte della percentuale che si dà per scontato che non sia valida. Gli chiedo di far pervenire al Presidio l'autorizzazione scritta dei genitori affinché la sua foto sia pubblicata.
Poco più tardi passa una nonna con quattro splendidi nipotini, dai due, nel passeggino, ai nove anni. Guido, il maggiore, si ferma, incantato ad ammirare il mio lapislazzuli, di cui sa tutto. E' un esperto, lui di minerali. Resto io incantata ad ascoltarlo, mentre la nonna lo guarda compiaciuta, ma non sorpresa. E lei mi racconta dei suoi primi anni a Torino, bambina immigrata da una regione del Sud, colpita dai cartelli posti davanti ai condomini:” Non si affitta ai meridionali”. “Come adesso, con i poveretti che arrivano sui barconi.” E poi, ancora una signora anziana di corso Umbria, rammaricata di quanto è accaduto lì questa primavera.
“Non ci siamo nemmeno accorti di quello che stava accadendo; sa, da noi ci sono tanti arrivati solo da pochi anni, è una zona giovane rispetto alla vostra. Adesso però sentiamo dire che vogliono terminare l'opera abbattendo anche l'altra parte del viale. Come avete fatto voi ad impedirlo? I negozianti sono in subbuglio e qualcuno ha già chiuso per sempre l'attività. Cosa succederà quando si presenteranno di nuovo le ruspe? “Le do qualche indicazione sommaria reindirizzandola agli esperti del gruppo.
Grande esperienza questa del Presidio, quasi quasi ringrazio la convergenza, non positiva, che mi ha permesso di farla, trascinandomi a forza in strada, per difendere i miei aceri.
E come non rispondere all'appello della signora del condominio alle spalle del Presidio, che nonostante il disturbo che talvolta possiamo arrecare, la sera tardi, con il nostro vocio, tutti i giorni passa a salutarci e a ringraziarci, perché, "durante la Covid-19, l'unica consolazione per noi anziani, era affacciarci al balcone a guardare la nostra alberata verde, dalla Mole Antonelliana sullo sfondo, a Superga, dall'altra parte, e ascoltare ed osservare il cinguettio dei passeri saltellanti da un albero all'altro, sotto le nostre finestre".
Sentimentalismo? C'è un fiume di letteratura che sottolinea gli effetti benefici di un'alberata verde, perfino sull'insorgenza dell'Alzheimer, ci ha spiegato il nostro illustre rappresentante dei medici. Solo loro non la conoscono o la ritengono irrilevante?
Ma se ci sono nelle nuove generazioni ragazzi come Alessandro, come Guido, non tutto è perduto. Possiamo bene sperare per il futuro.
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