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Con l'attacco al convoglio WCK, per Israele tutto è ormai lecito

di Stefano Marengo


I droni israeliani hanno bombardato il convoglio del World Central Kitchen (WCK), ONG statunitense impegnata nella fornitura di derrate alimentari alla popolazione della Striscia di Gaza. Sul campo sono rimasti i cadaveri di sette operatori umanitari. Dapprima i vertici militari di Israele non hanno confermato la propria responsabilità nella strage, poi il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che il convoglio è stato “colpito involontariamente”, per tragica fatalità. A smentire la versione del premier è però intervenuto il quotidiano israeliano Haaretz, che ricostruendo la vicenda ha evidenziato come i camion di WCK siano stati bombardati per ben tre volte nell’errata convinzione che al loro interno si nascondesse un combattente di Hamas. L’attacco, dunque, è stato pienamente intenzionale.

Erin Gore, amministratore delegato di WCK, ha dichiarato senza mezzi termini che quello odierno è stato “un attacco a tutte le organizzazioni umanitarie che si presentano nelle situazioni più terribili, dove il cibo viene usato come arma di guerra. È imperdonabile”. Le sue parole riecheggiano e suggellano tragicamente quanto numerosi esperti e organizzazioni internazionali, a partire dall’ONU, denunciano da numerose settimane, ossia che Israele sta deliberatamente affamando la popolazione di Gaza e che, per quanto sia difficile abbozzare stime precise, si deve presumere che i morti per inedia ammontino ormai a centinaia.

L’attacco subito da WCK sta facendo precipitare la situazione. È notizia di poche ore fa che alcune navi dirette a Gaza con 240 tonnellate di aiuti alimentari (l’equivalente di circa un milione di pasti) hanno invertito la rotta per via del rischio concreto di essere a loro volta attaccate. La Stessa WCK, così come un’altra ONG statunitense, la American Near East Refugee Aid (Anera), ha intanto annunciato la sospensione delle proprie attività a Gaza.  

La strage degli operatori umanitari avviene all’indomani della completa distruzione dell’ospedale al Shifa, unica struttura sanitaria di rilievo rimasta parzialmente operativa nella Striscia. Dell’enorme edificio rimane soltanto lo scheletro carbonizzato e si stima che al suo interno siano rimaste uccise oltre 400 persone tra pazienti, sanitari e altri civili che lì avevano cercato riparo.

Se fin dall’ottobre scorso l’IDF aveva preso di mira le infrastrutture civili di Gaza, la sistematicità di questi attacchi fa capire che la guerra su Gaza ha raggiunto un nuovo e autentico livello di barbarie, che supera persino, nella sua evidente inutilità, la domanda se si sia dinanzi al genocidio del popolo palestinese oppure no. La furia scatenata da Israele contro chi è ritenuto il nemico da eliminare non sembra conoscere limiti e ormai non viene nemmeno più dissimulata attraverso artifici retorici. L’establishment israeliano è sempre più arroccato nel senso di impunità che per oltre 75 anni è stato alimentato dalla copertura politica fornita nelle varie tappe cronologiche della formazione dello Stato di Israele dalle superpotenze mondiali, in primis gli Stati Uniti.

Ma se in passato questa deresponsabilizzazione aveva come pendant almeno il tentativo di giustificare razionalmente le politiche messe in atto dai governi di Tel Aviv, oggi questo velo è caduto e ci troviamo di fronte alla pura brutalità, al puro fanatismo. È la morte di qualsiasi razionalità politica, la sua abdicazione a favore di una logica del dominio e del potere assoluti che si fonda su morte e distruzione.

È difficile, forse impossibile, stabilire se lo scatenamento di questo fanatismo sia inconsapevole o risponda a un calcolo preciso. In entrambi i casi quello che è certo è che il sionismo, nella sua hybris, sta oggi giocando la sua ultima carta, quella del tutto per tutto. E così, in una follia che ha qualcosa di arcaicamente mitologico, il fiume di sangue palestinese che continua ad essere versato diventa il lavacro che dovrebbe sancire l’assoluta e incontestabile arbitraria, non negoziabile, sovranità di Israele sulla Terra Santa.

Chiunque senta la responsabilità di essere umano ha il dovere di porsi qualche domanda sulla liceità della pretesa.

 

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