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Caso Vespa-Egonu&Sylla: le parole non sono mai "neutre"

di Guido Tallone


Chi scrive o pronuncia la parola «pane», non sa cosa ha fatto: si sono combattute guerre per questa parola, essa ha provocato omicidi, porta in sé un’eredità formidabile, e chi la scrive dovrebbe sapere quale eredità porta e di che metamorfosi sia capace. Se noi, consapevoli dell’eredità insita in ogni parola, esaminassimo i nostri vocabolari, studiassimo questo catalogo della nostra ricchezza, scopriremmo che dietro ogni parola si nasconde un mondo, e chi pratica le parole, come fa chiunque redige una notizia giornalistica […], dovrebbe sapere che mette in moto dei mondi, che scatena forze polivalenti: quello che può consolare uno può ferire a morte un altro. […] La parola, lasciata in balia del demagogo senza coscienza, del tattico puro, dell’opportunista, può essere causa di morte per milioni di uomini. […] Un gruppo di concittadini classificabili a piacere può essere votato alla distruzione grazie alle parole. […] «Se le parole potessero uccidere», è ormai passata dall’ipotetico all’indicativo: le parole possono uccidere, ed è solo un problema di coscienza se si debba lasciar slittare il linguaggio nella sfera in cui diventa assassinio”.

La citazione è di Heinrich Böll ed è tratta da un suo discorso ufficiale del 1958. Ed è esortazione, linguaggio e riflessione rivolta ad un popolo – quello tedesco – che ha visto come le parole abbiano avuto la forza di generare “mostri” e di partorire i “diversi” da odiare prima e da sterminare dopo in sistematici campi di concentramento.

Ed ecco la tesi di Böll: le parole non sono mai neutrali. Mai. Anche perché compito delle parole che utilizziamo per esprimere i nostri pensieri è certamente quello di aiutarci ad avvicinarci alla verità che in modo costante e incessante cerchiamo. Le nostre parole, però, hanno anche la forza di consolidare in noi e di alimentare nella nostra testa e nel nostro cuore quei focolai di pregiudizi, di stereotipi e di cliché che sono l’humus nel quale cresce qualsiasi forma di razzismo, di ostilità e di disprezzo dell’altro che abita dall’altra parte del “mio” mondo (che è l’unico giusto!).

Prendiamo il caso delle due pallavoliste Egonu e Sylla “chiuse” da Bruno Vespa in un Tweet che le definisce: “Nere e italiane, esempio di integrazione”. Loro, le nostre atlete della nazionale di pallavolo, sono Italiane. Punto. Niente di più e niente di meno. E senza farne una tragedia va detto, in modo chiaro e fermo, che Bruno Vespa ha sbagliato il tono ed il contenuto del suo tweet. Quasi sicuramente (e non possiamo negarlo), Vespa voleva esprimere un commento positivo e (forse) schierarsi contro i troppi insulti e pregiudizi che hanno ferito queste ragazze. Possiamo perciò salvare l’intenzione di Vespa.

Il risultato del suo testo – però – è indifendibile. Certamene perché la parola “nere” è – quando è associata a persone – non solo inutile, ma anche vocabolo che racconta la storia di secoli di discriminazioni, di schiavitù, di colonialismo, di convinzioni (false e sbagliate!) di inferiorità dei “neri” rispetto ai bianchi, di sfruttamento etc. Una parola, perciò, intrisa di violenza, di prevaricazioni e di evidenti forme di razzismo da cui dobbiamo, prima o poi, uscirne. Il messaggio che invia chi definisce le nostre ragazze italiane “nere” si carica, di conseguenza, di questa “eredità” e comunica a chi legge quel tweet che le nostre campionesse si trovino ancora ad una certa distanza dalla piena cittadinanza italiana (anche se nate in Italia!). Il che è del tutto falso.

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