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Capitalismo senza imprenditori e Gruppi senza operai... in Italia

di Dunia Astrologo

Leggo sempre con interesse le “Punture di spillo” di Pietro Terna su questo magazine on-line e l’ultima uscita, “Capitalismo senza capitali”,[1] ha stimolato ancora una volta alcune mie riflessioni. In primo luogo: a me sembra che quello attuale, particolarmente nell’ottica italiana, sia piuttosto un capitalismo senza capitalisti, o - più correttamente - senza imprenditori. Chi è l’imprenditore se non, schumpeterianamente, chi introduce innovazione nel sistema produttivo, chi esercitando la sua funzione unica e particolare, fa sì che questo sistema da mero processo di accumulazione, essenzialmente statico, divenga dinamico, progressivo, capace di incentivare applicazioni tecnologiche sempre più avanzate, che garantiscono veri e propri salti di qualità[2]?

E quanti esempi di imprenditori-innovatori, cioè di capitalisti con la voglia e la capacità di rischiare i propri averi per puntare su prodotti nuovi e futuribili, o per cambiare modelli produttivi, organizzazione del lavoro, strategie di marketing e di competizione a livello internazionale ci sono e ci sono stati!

In Italia abbiamo avuto nel lontano (ormai) passato gli Olivetti, nel passato più recente i Del Vecchio o i Benetton prima maniera, il Farinetti dell’UniEuro e di Eataly. E certamente molti altri, più e meno noti. Non tutti invero hanno portato davvero la loro impresa o il loro settore a un reale salto di qualità, ma molti hanno contribuito a costruire il mito del made-in-Italy.


Il passato Fiat della Famiglia

E poi abbiamo avuto gli Agnelli. Do You remember? Anch’essi , nei 100 anni circa della storia di Fiat, hanno fatto molte svolte innovative sia nei prodotti che nei processi produttivi; ma altrettanto spesso hanno fallito o sono stati troppo “timidi” nell’innovare, come nel caso del Common Rail, il metodo di alimentazione altamente innovativo inventato al Centro Ricerche Fiat, ma venduto a Bosch e mai industrializzato, o in quello dell’introduzione anticipata rispetto ai tempi e presto ritirata dei robot di saldatura negli stabilimenti di Termoli e Cassino.

Tuttavia guardando agli anni ‘80-2000 si può dire che Fiat, in particolare nel settore automotive, ha cercato di introdurre reali innovazioni di processo labour saving e per aumentare la qualità e la competitività dei prodotti sul piano internazionale. E si può pure dire che molte di tali innovazioni, anche di carattere organizzativo, siano state il frutto di dure trattative sindacali. Poi il nuovo secolo ha visto progressivamente la sostituzione dell’imprenditore con il manager: Romiti (in uscita ormai), Fresco, Morchio, Marchionne hanno gestito al meglio l’azienda, pensando soprattutto ai notevoli bonus e ai dividendi, quindi al valore finanziario e non a quello industriale della corporate. Il loro ruolo non poteva essere quello dell’imprenditore innovatore, ma quello dell’amministratore, di colui cioè che “ripete… combinazioni introdotte nel passato, sia pure apportando quelle modifiche che la corrente pratica degli affari suggerisce di fronte a condizioni che mutano sotto l’influenza di fattori esterni”. E di fattori esterni che hanno cambiato radicalmente il mondo e il modo di fare impresa in questo scorcio di millennio ce ne sono stati tantissimi e ben li conosciamo: globalizzazione, dematerializzazione, sviluppo avveniristico del digitale, emersione di nuovi soggetti economici, nuovi mercati e nuove tecnologie introdotte in vecchi mercati, innovazione continua e così via.


Stellantis, moderno "cannibale"

Ma certo non avremmo immaginato che nel breve tempo di un ventennio dalla morte dei due fratelli Agnelli, (Gianni 2003, Umberto 2004) quella che è stata nel bene e nel male una impresa potente, solida, capace di competere a livello mondiale con concorrenti fortissimi sarebbe stata risucchiata da uno di questi e via via spolpata, come sta succedendo con Stellantis. Che si comporta in Italia come un capitalista senza imprenditorialità: stando molto attento ad accrescere profitti dove più conviene, ma smobilitando gli asset produttivi, riducendo via via l’occupazione, spostandone parte - ancora - fuori d’Italia e introducendo metodi di governo delle maestranze che ricordano piuttosto il vecchio Vittorio Valletta, anni Cinquanta, quello della virulenza antisindacale in fabbrica.

Certo, recentemente c’è stato un rinnovo del Contratto di lavoro che ha portato a un incremento dei salari -dopo anni di stasi - del 6,5% quest’anno e del 4,5 da gennaio prossimo. Un micro recupero, l'1%, dell’inflazione reale, che sta al 10%, ma tant’è: un risultato che per due dei principali sindacati dei metalmeccanici - Fim Cisl e Uilm Uil - è da considerarsi buono. Ma in questo contratto, che prevede anche alcuni miglioramenti normativi e di organizzazione del tempo di lavoro [3], non si parla delle prospettive concrete per gli stabilimenti italiani e non si dà conto della riduzione complessiva dell’occupazione, anche attraverso uscite agevolate che dovrebbero riguardare 2000 dipendenti. Inoltre, non si fa cenno al ricorso alla cassa integrazione, soprattutto a Torino, anche perché la si è ulteriormente attivata dopo la firma del contratto e dopo aver annunciato alcune novità produttive che non possono assorbirla, l’occupazione perduta, perché in realtà non decollano, come la 500 elettrica di cui si parla nell'ultima Punture di Spillo e come la Maserati che proprio non ce la fa a stabilizzarsi sul mercato. E neppure consolano le rosee prospettive dei circa 200 addetti che potranno essere impiegati nel nuovo impianto di produzione di batterie per motori elettrici, il Battery Technology Center, o gli altrettanto numerosi addetti al primo Hub di Economia Circolare a Mirafiori, che però saranno selezionati all’interno delle maestranze dello stabilimento ex FCA.


Posizioni diverse tra sindacati

Secondo il terzo sindacato di categoria, la Fiom Cgil, in aperto contrasto con Fim e Uilm, questo contratto non soddisfa le aspettative dei lavoratori; nelle parole di Simone Marinelli, il suo coordinatore nazionale automotive, “questo è il prezzo della mancanza dei necessari investimenti e dei ritardi accumulati sull’innovazione e sulla realizzazione di nuovi modelli a cui si aggiungono la crisi del mercato e le politiche industriali assenti dei governi”[4].

Mentre l’occupazione degli stabilimenti ex FCA vacilla, Stellantis ne apre uno nuovo in Algeria, dove troveranno lavoro 2000 dipendenti. Ne siamo lieti per gli algerini, ma ci chiediamo: qualcuno vorrà chiedere conto una buona volta al signor Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, di quali sono i veri progetti della Gruppo in Italia? E una volta che venissero eventualmente annunciati e suffragati da dati concreti, qualcuno andrà a fare qualche verifica o ci si accontenterà, ancora una volta, di bei discorsi e di eleganti presentazioni?

Qualcuno al governo e nelle amministrazioni locali chiarirà se esiste un piano industriale per l’automotive nell’epoca della transizione ecologica? E i sindacati cercheranno, come nel secolo scorso facevano con FIAT, di portare al tavolo delle trattative convinzioni più solide e una forza contrattuale perduta in anni e anni di acquiescenza e di sempre minore consapevolezza e mancanza di idee sugli obiettivi economici e sociali, per ottenere sviluppo e innovazione invece che decrescita e ritirata del fronte produttivo?



Note


[2]Vedasi Schumpeter , “L’imprenditore e la storia dell’impresa. Scritti 1927-1949”, Boringhieri 1993 [3]Per avere un’idea complessiva delle soluzioni organizzative emerse si può leggere: https://www.ilsole24ore.com/art/accordo-contratto-stellantis-aumento-200-euro-biennio-e-tantum-AEAvyA0C#?refresh_ce=1 . A mio parere si tratta certo di miglioramenti, ma non particolarmente avanzati per un’azienda come Stellantis, che si confronta con colossi dell’automotive che hanno da tempo introdotto migliori condizioni di lavoro per i dipendenti, aiutate -diciamo così- anche dalla forte mobilitazione dei lavoratori, soprattutto negli USA e in altri paesi europei. [4]Riportato in https://www.veritaeaffari.it/auto/stellantis-firmato-contratto-lavoratori-cosa-sappiamo/


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