Caos post Covid-19 e gli effetti sul management
di Emanuele Davide Ruffino e Edmondo Rustico|
In Inghilterra gli ospedali sono al collasso e i porti di mezzo mondo non riescono ad adeguarsi alle esigenze della ripresa economica: sono solo la punta di un iceberg dell’incertezza che caratterizza l’attuale fase e delle difficoltà che il management è chiamato ad affrontare.
Il mondo produttivo sembra essere sopraffatto dall’accavallarsi di eventi imprevisti e, a livello microeconomico, non può più condizionare tutta la conduzione aziendale nella ricerca di contribuiti e prebende o rincorrere delocalizzazioni per rincorrere situazioni di favore (e la tassazione degli utili delle multinazionali ha dato un primo avviso). L’organizzazione del non prevedibile
Alle tradizionali crisi aziendali che prendono origine all’interno dell’impresa (organizzativa, manageriale, finanziaria) e quelle generatesi all’esterno (reputazionale, settoriale e di contrazione della domanda) si sta aggiungendo una nuova forma di criticità imprenditoriale dettata dalla necessità/capacità di adeguarsi rapidamente ai cambiamenti forzati, anticipandone l’evoluzione. Non si tratta d’imparare a conoscere cosa succederà nel futuro, ma di esaminare il verificarsi di scenari alternativi e di predisporre manovre correttive per poterne sfruttare le opportunità, senza intaccare, anzi rafforzando, il rapporto di fiducia tra l’impresa e tutto il mondo che lo circonda, (ossia, fornitori, banche, clienti, dipendenti, istituzioni pubbliche). La crisi non voluta, provocata dal coronavirus, ha sconvolto i tradizionali assetti economici e sociali, obbligando il management a spostare l’attenzione, dall’utile aziendale, alla sostenibilità dell’esistente in rapporto al cambiamento economico e antropologico della società. In altri termini, ogni organizzazione è chiamata a rilevare e a valutare l’impatto della pandemia sulla propria attività, individuando i fattori che stanno determinando le trasformazioni. Le condizioni dettate dal lock down hanno portato ad assumere decisioni improvvisate, dettate dalle contingenze o dalle preoccupazioni del momento. La mappa mentale per il Contingency Plan
La letteratura economica, a partire dagli anni ’70, aveva cominciato ad elaborare studi sul Contingency Plan, per selezionare le possibili azioni da intraprendere nelle fasi di crisi, al fine di garantire continuità e sviluppo, ridefinendo le priorità da perseguire. Una mappa mentale può aiutare a stendere un Contingency Plan (o Piano di emergenza): – Individuare una cabina di regia multidisciplinare: un team coordinato da un manager (Chief Restructuring Officer), dedicato ad esaminare la situazione venutasi a creare (analisi del contingente); – Definizione dello scenario, acquisendo il maggior numero di informazioni disponibili, in particolare quelle che hanno causato la discontinuità (individuazione dei fattori di rottura); – Prospettare avverabili panorami dettati dall’accavallarsi degli eventi, anticipando le plausibili evoluzioni (chiedendosi in particolare cosa succederebbe se venisse a mancare una risorsa chiave: un fornitore strategico o se un dipendente qualificato decidesse di cambiare attività); – Monitoraggio della filiera produttiva/distributiva in cui l’azienda è inserita, valutando l’impatto della crisi, sia sull’organizzazione interna, che quelle registrate presso gli stake holder; – Riesame del mercato, per adeguare tempestivamente l’offerta in base alle informazioni che pervengono dalle ricerche di mercato e dalle analisi sociologiche; – Verifica della sostenibilità finanziaria attraverso un continuo aggiornamento del cash flow; – Sviluppare i rapporti, accrescendo la fiducia reciproca, con tutti gli stakeholder che interagiscono con l’organizzazione. Sia la fallacità umana che l’imprevedibilità di alcuni eventi comporta la predisposizione e la revisione continua del Contatibility plan che, in caso di necessità, deve essere in grado di fornire un’immediata situazione dello stato finanziario e un team che prontamente lo aggiorni in base alle nuove situazioni, dando il tempo di definire una strategic sostituibility degli elementi critici, attraverso un Compliance Program, inteso come sistema complessivo di regole, in cui vengono inquadrati le azioni organizzative e procedurali volti alla prevenzione dei principali rischi cui è esposta un’azienda. Le soluzioni per ridurre i danni
Tanto più una risorsa richiede tempo per poterla acquisire, maggiore deve essere l’attenzione nelle sue modalità di sostituzione: si pensi alla necessità di disporre di personale qualificato (ingegneri, informativi, medici, infermieri etc). Se non è più nelle potenzialità di un’azienda influire sui programmi scolatici (in passato alcune aziende, come la FIAT, organizzarono vere e proprie scuole di formazione) o nel determinare le scelte dei giovani, notevole è invece la possibilità determinare le modalità d’impiego.
Oggi parte consistente delle risorse non viene impiegata nelle loro specifiche professionalità, ma è assorbita da prassi burocratiche che distraggono dalle loro attitudini. Basti pensare a quanto tempo dedicano i medici e gli infermieri a compilare i moduli sulla privacy o sul consenso informato (normative sicuramente encomiabili, ma non necessariamente da assolvere da parte di chi ha seguito corsi di studi non orientati alla compilazione dei moduli), così come gli ingegneri devono destinare gran parte del loro tempo a verificare l’attuazione di un’infinità di norme autorizzative, distraendoli dalle attività progettuali per cui sono stati formati.
La metodologia da adottare prevede un percorso che, partendo dalla ricognizione delle normative ad elevato impatto che insistono su un’azienda (e prima ancora il difficile compito di separare ciò che è legale da ciò che non lo è, considerato il sovraffollamento legislativo e la contraddittorietà delle sentenze), permetta una mappatura dei processi e delle attività all’interno delle quali, si configurano i rischi di infrazione. Lo scoppio di una crisi obbliga a rivedere la coordinazione, la riqualificazione e il monitoraggio delle policy aziendali per adeguarle ad affrontare il mutare degli scenari.
Se, da un lato, il perimetro delle norme cogenti in cui deve muoversi un’organizzazione è sempre più articolato (per non dire incerto e indeterminato), con la previsione di sanzioni anche molto severe, dall’altro, l’illegalità, sempre più diffusa mette a rischio la reputazione, compromettendo la fiducia con la conseguenza di allontanare gli investitori e i clienti. È la sopravvivenza stessa che può essere messa in discussione se non si riesce (o non si può per l’accumularsi di norme invadenti) a gerarchizzare gli interventi in base alle necessità: problema presente soprattutto nei settori ad elevato coefficiente di regolamentazione (ma oggi è difficile trovare un ambiente non soffocato dall’accumularsi di norme).
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