Bruno Segre, come nelle commedie pirandelliane il personaggio è vivo e vegeto
Aggiornamento: 23 ago 2023
di Marco Travaglini
Ieri, 22 agosto, La Porta di Vetro, quasi in tempo reale rispetto all'annuncio mortuario e ai necrologi che sono rimbalzati nel web,[1] non si è fatta trovare impreparata ed ha rassicurato i lettori e quanti lo conoscono personalmente e per fama sulla salute dell'avvocato Bruno Segre. Il decano dell'antifascismo torinese, che il 4 settembre compirà 105 anni è vivo e vegeto. Dunque, una notizia che si è rivelata falsa come nelle migliori opere di Luigi Pirandello, anche se il morto effettivamente si chiama Bruno Segre, e condivideva con il suo omonimo la professione di giornalista oltre a essere un filosofo esperto di questioni ebraiche. Non la data di nascita, dal momento che era nato nel 1930, a differenza dell'Avvocato che ha visto la luce a Torino mentre ancora tuonavano i cannoni della Grande Guerra e l'Italia s'iniziava alla controffensiva che l'avrebbe portata alla vittoria sulla piana di Vittorio Veneto. Bruno Segre è nato, infatti, in una casa di viaBarbaroux con i balconi che "si affacciavano su piazza Castello", come scrisse nella sua autobiografia intitolata "Non mi sono mai arreso". Dopo aver attraversato da protagonista l'intera vita politica e sociale della prima capitale d'Italia lungo il Novecento e in questi ultimi due decenni, continua ad essere l'infaticabile testimone delle battaglie per la libertà e i valori costituzionali, per i diritti civili e la giustizia, temi sui quali non si è mai tirato indietro, dimostrando coraggio nel fare scelte nette e importanti come quando nei due decenni del fascismo contrasto l'ignominia delle leggi razziali, si batté contro la guerra e il regime nelle file della Resistenza. Nel suo lungo cammino è stato per decenni caparbio e determinato, diviso tra mille impegni e interessi. Laureato in legge, ultimo allievo di Luigi Einaudi ( di cui il padre era stato il primo nel 1901), antifascista, discriminato dalle leggi razziste in quanto figlio di genitore ebreo, durante il secondo conflitto mondiale Bruno Segre conobbe due volte, nel 1942 e nel 1944, l'esperienza del carcere e partecipò alla lotta di Liberazione nelle file di Giustizia e Libertà. Un'esperienza sulla quale, nell'estate del 1946, scrisse un memoriale che pubblicò soltanto dieci anni fa, nel 2013, in un volume intitolato "Quelli di via Asti".
Uomo colto e intelligente ma soprattutto innamorato del concetto di giustizia e libertà, straordinariamente motivato da quello spirito repubblicano che ne orienta le scelte, a partire dall'insopprimibile impegno a difesa dei principi di laicità e all'intransigente fedeltà ai valori di un socialismo capace di garantire i diritti individuali, ripudiando ogni settarismo e dogmatismo, avrà senz'altro colto con grande ironia e una sonora risata la notizia della "sua" scomparsa. Come giornalista Bruno Segre, oltre a collaborare a diverse testate ( tra le altre L'Opinione, diretta da Franco Antonicelli e Giulio De Benedetti, Paese Sera, Il Corriere di Trieste e Corriere di Sicilia) è stato il fondatore del mensile "L'Incontro" che in settant'anni di ininterrotta pubblicazione è stato un vero e proprio riferimento al quale mi onoro di aver collaborato grazie all'amicizia che mi lega a Bruno. L'Incontro è stato un "periodico politico-culturale" stampato su foglio unico in formato grande e con la sua testata in rosso ha segnato più di un epoca, accompagnando per ben quattordici lustri gli affezionati lettori con riflessioni e articoli dedicati alle battaglie contro l'intolleranza religiosa e il razzismo, per la pace, i diritti civili e la laicità. Peccato che oggi qual foglio (sostituito da una edizione online) non vi sia più perché l'Avvocato avrebbe senz'altro dedicato uno dei suoi noti elzeviri a questo ballon d'essai estivo. Nella sua intervista autobiografica affermò di voler essere ricordato come una persona che si è sempre opposta a tutti i tentativi di prevaricazione, d'imposizione forzata in sede politica o religiosa. Al punto di dettare le parole da incidere sulla sua ultima dimora, parafrasando un motto di Saul Bellow: "Qui giace un vinto dalla morte che non si è mai arreso".
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