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"Bologna non dimentica": 2 agosto 1980, la strage alla stazione

di Michele Ruggiero


Le cronache del ricordo cominciano, e non potrebbe essere altrimenti, sempre con i numeri: ottantacinque morti, duecento feriti per una bomba collocata all'interno della stazione di Bologna. Dietro i numeri, vite cancellate, futuri che si sono dissolti nella nuvola di una terribile esplosione.

Erano le 10.25 del 2 agosto 1980, quando l'Italia conobbe la sua ennesima strage. Un'altra pagina di dolore, dopo quelle di piazza Fontana a Milano, piazza della Loggia a Brescia, dei treni e di piccoli e grandi episodi che l'avevano preceduta e altre che sarebbero seguite.

Quel giorno i quotidiani titolavano sulla crisi industriale e sulle nubi che incombevano sul Gruppo Fiat (di lì al ritorno in fabbrica a settembre sarebbe ripreso a Torino il braccio di ferro sulla cassa integrazione con lo sciopero ad oltranza proclamato dai sindacati). Negli Stati Uniti, prossimi alla rielezione del presidente, l'attenzione dei media era tutta rivolta al cosiddetto Billygate, lo scandalo che stava travolgendo il fratello del presidente Jimmy Carter, quanto la stessa Casa Bianca, che anni dopo si sarebbe scoperto orchestrato dalla massoneria in combutta con la mafia ed altri, in un intrigo internazionale destinato a favorire il repubblicano Ronald Reagan e l'avvento di un neoliberismo voluto dalle classi dominanti per schiacciare le conquiste sociali e la democrazia nelle sue forme più alte di partecipazione collettiva. E non solo, come avrebbe scoperto a sue spese anche il nostro Paese. Tutto si tiene, soprattutto se si ha il coraggio di avere una visione d'insieme degli avvenimenti e di non considerarli slegati e semplicemente figli del caso.

La strage di Bologna non lo fu e non fa eccezione. Lo dicono le sentenze e la riapertura delle indagini che ha riportato in primo piano con il loro coinvolgimento la P2 e Licio Gelli, e di altri personaggi influenti (oramai defunti) del milieu dei servizi segreti militari e civili al servizio di più padroni, nel solco delle migliori tradizioni italiche. Manovali del crimine, secondo i giudici, sono stati i giovani fascisti terroristi dei Nar, da famigli e camerati di Giusva Fioravanti, cioè personaggi che avevano preso l'abitudine di nutrirsi di una dose di sangue quotidiana tra aggressioni, sparatorie, rese dei conti, omicidi, in quei crudeli anni Settanta e Ottanta di perversione ideologica.

Dietro le quinte, però, c'era chi la perversione la nutriva e la ricercava sul piano geopolitico, soffiando sul fuoco della divisione dei blocchi tra Est e Ovest, tra Unione Sovietica e Stati Uniti, sull'anticomunismo viscerale e ottuso giocato come posizione di rendita anche personale ed estremamente redditizia a livello finanziario ed economico. Personaggi diremmo con il pelo sullo stomaco ai quali, parafrasando Benito Mussolini, non creavano soverchi problemi di coscienza qualche centinaio di morti da gettare sul tavolo del potere per continuare la loro guerra personale con altri mezzi.

La sala d'aspetto della seconda classe della stazione di Bologna, in quel 2 agosto di quarantaquattro anni fa, fu perfettamente funzionale ai loro progetti: la creazione del caos, dell'inquietudine, della paura, della insicurezza, della stanchezza psichica collettiva, del definitivo riflusso dall'impegno politico. Ma non è andata del tutto così. Anzi. Come ogni anno “Bologna non dimentica” e l'Italia non dimentica. Non può farlo. Non possiamo farlo. E la scritta "Bologna non dimentica", appunto, che campeggia da ieri sul grande striscione esposto, oltre che a Palazzo d'Accursio, anche su una delle Torri della Regione Emilia-Romagna che posa lo sguardo sul ricordo commemorativo di oggi vale per tutte le città italiane colpite dallo stragismo, da Milano a Brescia, da Firenze a Roma e a Palermo e tante altre, meno grandi e piccole, ma ognuna di esse con i suoi cittadini pronti a difendere con coraggio la liberta e i valori costituzionali.

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