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Biennale Democrazia, ai raggi X l'indecenza delle nostre carceri

La Porta di Vetro

Ieri, venerdì 28 marzo, nell'ambito della IX edizione di Biennale Democrazia, inaugurata mercoledì scorso da Alessandro Barbero, si è svolto al Teatro Carignano il dibattito “Vagli a spiegare che è primavera. Il carcere tra giustizia e vendetta”. L'iniziativa, organizzata in collaborazione con “le giornate della legalità”, è stata introdotta da Valeria Marcenò, professoressa di Diritto Costituzionale all’Università di Torino.

Biennale Democrazia, che si concluderà domani, domenica 30 marzo, presenta un vasto programma di oltre 100 incontri, eventi e spettacoli, ai quali partecipano alcune centinaia di ospiti, italiani e internazionali.

Come in ogni edizione, gli organizzatori hanno scelto un tema-guida, che quest’anno è “Guerre e Paci”, una riflessione dedicata al complesso rapporto tra conflitto e democrazia, in uno scenario globale di crescente tensione e violenza.


I numeri del sistema carcerario italiano sono drammaticamente noti: oggi sono 62.267 le persone detenute, a fronte di una capienza regolamentare di 51.283 posti. Un sovraffollamento che, inevitabilmente, produce disagi e sofferenze, rendendo quasi impossibile quella che sarebbe la vera funzione della detenzione, ovvero la rieducazione.

Ma il dialogo andato in scena sul palco del Teatro Carignano ha preso una piega forse diversa da quella che ci sarebbe potuti attendere: si è trattato di un incontro tra due scrittori, Daria Bignardi e Edoardo Albinati, che hanno conosciuto bene la realtà delle carceri italiane, seppur in maniera diversa. Bignardi vi è entrata per la prima come volontaria 30 anni fa, rimanendovi poi come “articolo 78”, ovvero la terminologia burocratica che indica la “collaborazione con gli operatori istituzionali nelle attività trattamentali e risocializzanti”. Lo scorso anno poi ha pubblicato “Ogni prigione è un’isola”, un libro nel quale “racconta il suo viaggio nell’isolamento e nelle prigioni”. Albinati, già Premio Strega 2016 per “La scuola Cattolica”, ha invece vissuto il carcere quotidianamente, come insegnante a Rebibbia.

Il risultato della conversazione ha lasciato ben poco spazio alla retorica così come ai numeri freddi dell’emergenza italiana. Partendo dal titolo, probabilmente tratto da “Nella mia ora di libertà” di Fabrizio De André, i due scrittori hanno discusso di carcere riflettendo sul suo senso più profondo, che secondo Albinati oggi non è altro che “una forma di retribuzione del male commesso, che al contrario di quanto crediamo non è il superamento delle pene corporali di un tempo, ma finisce per riprodurle”. Ampio spazio è stato dedicato poi ai racconti delle loro esperienze personali, da quelle drammatiche ad alcune persino in forma surreale divertenti. 

Il tutto, mentre su uno sfondo immaginario per gli spettatori, scorrevano altri numeri che danno la dimensione del dramma che quotidianamente si vive dietro le sbarre nel segno dell'indecenza e della vergogna: 91 suicidi in carcere lo scorso anno, 21 nei primi 3 mesi del 2025. Sono i numeri cui questo governo, a dire la verità come la maggior parte dei precedenti, non ha ancora dato risposta, se non attraverso la nomina di un commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria (ormai, la nomina di un Commissario sembra essere la soluzione magica ad ogni problema di questo paese, salvo poi rendersi conto che spesso nulla cambia, secondo la secolare filosofia del Gattopardo), che dovrebbe elaborare un piano per incrementare di 7.000 posti la capienza delle carceri italiane. Il cui sovraffollamento, come denuncia l'Associazione Antigone per i diritti e le garanzie nel sistema penale, è sempre più grave nelle carceri per adulti, con circa 16.000 persone che non hanno un posto regolamentare; situazione che si replica ormai anche negli Istituti Penali per Minorenni, dove non si era mai registrato. Molte strutture, come ha scritto in un documento inviato da Antigone ai parlamentari, versano in condizioni fatiscenti e non garantiscono la disponibilità di servizi minimi come acqua e riscaldamenti.  Una situazione che richiede provvedimenti immediati. 

Rimane ancora aperta, come riflessione collettiva, ma sotto forma di domanda, quello che la sinossi dell’evento suggeriva: “che cosa dicono di noi le carceri, specchi sporchi ma affidabili di ogni società?”.

 

 


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