Biden: mega-donors alla finestra
di Stefano E. Rossi
Joe Biden, dopo il duello televisivo di giovedì sera, sta affrontando un problema che potrebbe diventare il vero ostacolo alla sua rielezione, cioè quello del finanziamento della sua campagna elettorale. Vero è che dei 212 milioni di dollari entrati nell’intero mese di giugno, il solo dibattito del fine settimana in poche ore ne ha fruttati ben 14 milioni, donati on line dai suoi sostenitori. Ma dopo questa scorpacciata è arrivata una brutta sorpresa. Le pressioni per il ritiro e le richieste della sua sostituzione (anche se la famiglia, come informa oggi il New York Times, fa quadrato attorno alla sua candidatura) provenienti dall’opinione pubblica progressista e dalla stampa di sinistra, hanno di fatto congelato i flussi dei contributi elettorali dei suoi principali e più danarosi finanziatori.
È chiaro a tutti che le concrete possibilità di cambiare in corsa il candidato del Partito Democratico risultino poco realistiche, visto il poco tempo residuo prima del voto. Questo darebbe a Donald Trump, per un paio di mesi, il vantaggio di organizzare una campagna solitaria e, per di più, concomitante con primarie affrettate e fratricide dei democratici. Ma nel frattempo occorre far ripartire la macchina.
Per evitare di perdere tempo prezioso e rassicurare i “Donors “, come vengono chiamati i sovvenzionatori, a riprendere il sostegno economico a Biden, si sta mobilitando tutto il partito, per primo l'ex presidente Barak Obama. Però, al momento, la situazione è in stallo: i finanziatori della Silicon Valley, come la vedova Laurene Jobs, il padre di Linkedin Reid Hoffmann e il filantropo Ron Conway, ma pure quelli della costa orientale newyorkese e della capitale, in queste ore si confrontano e stanno ancora valutando se meriterà dirottare le donazioni verso un possibile nuovo candidato, come, ad esempio, il cinquantenne governatore della Pennsylvania Josh Shapiro.
Quindi, per adesso, i mega-donors preferiscono ancora attendere, per assicurarsi del buon esito di questa fase di generale ripensamento, ma di fatto tagliando le gambe alle ambizioni di rielezione del presidente in carica. Una nuova complicazione nella complicazione in cui gli ultimi mesi prima dell’election day rischiano di diventare insostenibilmente lunghi.
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